Another Body di Sophie Compton e Reuben Hamlyn, al Biografilm 2024, sviscera le appropriazioni senza consenso di volti femminili reperiti su qualsiasi profilo social in rete, nel mirino di migliaia di anonimi che, sovrapponendo e manipolando le immagini virtuali, producono video porno senza il consenso delle interessate.
I due registi, intervistando una giovane studentessa, scoperchiano un drammatico e ramificato vaso di Pandora, un sottobosco on line di combinazioni deepfake sessualmente denigratorie che rimangono il più delle volte non perseguibili.
Sinossi
Taylor Klein è una giovane studentessa universitaria americana di ingegneria, una tradizione professionale all’interno della sua famiglia. Un giorno riceve da un amico la segnalazione che lei stessa compare in un filmato porno circolante sul web. Umiliata e angosciata, scopre che qualcuno ha manipolato quel corpo applicandogli il suo viso.
Incontrando altre coetanee del college, come lei vittime, Taylor affresca un problema sociale e culturale di proporzioni globali, di sfruttamento delle immagini e misoginia che può colpire qualsiasi donna, soprattutto quelle pubblicamente esposte nei diritti civili, come star impegnate, senatrici e ambientaliste.
Sulla mia pelle
Sophie Compton, regista e attivista britannica per le rivendicazioni femminili, con Reuben Hamlyn modula con Another Body quasi un diario di bordo di Taylor e compagne, con interviste frontali, frammenti di social media, animazioni 2D e 3 D, per captare un flusso digitale di immagini, ora sordido e asettico, ora frastornante e bulimico.
Il senso dell’inchiesta pare cedere il passo al valore della testimonianza e quindi in particolare alla voce umana, da cui si innalza, seppure con toni fermi e lucidi, un grido silenzioso di impotenza nell’abbandono delle istituzioni.
Più volte, infatti, le vittime di Another Body espongono l’inerme risposta di rassegnazione delle autorità competenti di fronte alla loro denuncia penale. In alcuni stati americani infatti non esistono leggi in vigore a tutela delle parti offese, anche quando si riesce a ritracciare il responsabile della pornografia deepfake.
Ma tra le prede dell’odio sessista in rete si trovano anche personalità famose, voci libere nel mondo dello spettacolo (spesso esposte in proteste civili) e della politica, come Emma Watson, Alexandria Ocasio-Cortez, Greta Thunberg. Come se l’essere donna e avere uno spazio conquistato nel proprio ambito di competenza fosse ancora un peccato originario, in un Occidente imbevuto di mentalità patriarcale e popolato da predatori virtuali.
Anche se il documentario si chiude su una svolta di progressista speranza (Taylor spiega che la Casa Bianca sta varando leggi più severe contro questi reati), i numeri che i due registi espongono restano inquietanti: a maggio 2023 sono stati stimati due milioni e mezzo di casi di deepfake pornografico, il 90% senza il consenso delle donne ivi inquadrate.
Another Body | I limiti dell’irreale
In questo modo Another Body diventa un esempio di cinema informativo e divulgativo, che nell’odissea di lacrime trattenute per la privazione dei propri diritti umani cerca di intercettare sempre la dignità delle sue protagoniste, trovando la sua via di emancipazione nella solidarietà tra loro stesse. Un senso di mutuo aiuto nella condivisione che scorre attraverso la testimonianza e il racconto orale, come accade anche in Anche io di Maria Schrader, il film con Carey Mulligan e Zoe Kazan basato sullo scandalo Weinstein.
Tuttavia, a differenza di quest’ultimo, l’opera di Sophie Compton e Reuben Hamlyn, pur nei suoi nobili e urgenti intenti, non riesce mai veramente ad afferrare un respiro narrativo di coralità, a risarcire la bellezza possibile delle immagini oltre il virtuale. Non si spinge ad articolare un pensiero politico o filosofico sui diritti femminili più ampio e coinvolgente, ad approfondire tutte le implicazioni etiche dell’utilizzo delle nuove tecnologie di intelligenza artificiale.