Nel concorso internazionale della terza edizione del Sentiero Film Factory di Firenze, dalla Francia arriva anche Calcutta 8:40, l’ultimo cortometraggio di Adriano Valerio. Una storia intima e discreta, fatta di sentimenti trattenuti e dolorosi, che conferma la capacità dell’autore italiano trapiantato oltralpe di mettere in scena, con sguardo attento e riconoscibile, la consistenza quasi tangibile di emozioni e sentimenti.
Un cinema emozionale
Dopo aver esordito nel lungo con Banat – Il viaggio (su RaiPlay) ed essere transitato, quest’anno, alle Giornate degli autori di Venezia col doc Casablanca, Valerio dà infatti ancora una volta prova di saper restituire, attraverso l’immediatezza di pochi, significativi tratti, un’umanità sofferta e sincera. Un cinema che segue da vicino le emozioni dei suoi protagonisti spezzati dalla vita, outsider e loser alle prese con relazioni problematiche ma vitali, tra incontri provvidenziali e separazioni dolorose.
Storia di una separazione
Proprio lo spettro di una separazione, di un rapporto impossibile da vivere appieno, è al centro di Calcutta 8:40. La storia di un padre, Yann (Lionel Dray), costretto a lasciare di nuovo la metropoli indiana e il figlio che lì vive con la madre per tornare alla sua vita a Parigi. È attraverso i suoi vagabondaggi tra le strade della città notturna, in attesa del volo che lo riporterà a casa, ancora una volta lontano da suo figlio, che il regista dà forma alla malinconia, alla tristezza e al rimpianto che diventano più forti poco prima dell’alba, mentre le emozioni irrompono con l’immediatezza di istantanee, suggerendoci interi universi emotivi fatti di rimorsi e scelte sbagliate.
Un corto apparentemente elementare e immediato che nasconde, però, il senso di un cinema stilisticamente rigoroso e attento come pochi ai sentimenti di quell’umanità spaesata che lo abita e attraversa.