Eat Bitter è un documentario di Pascale Appora Gnekindy e Ningyi Sun, in concorso al Festival Visioni dal Mondo nella sezione internazionale.
Eat Bitter porta le storie di Thomas e Luan come esempio di scontri e avvicinamenti culturali nella peculiare realtà della Repubblica Centrafricana: un paese quasi disperato, ma che dalla disperazione non si fa mai sopraffare, così come i suoi protagonisti. E dove la sabbia rossa diventa il collante di un viaggio di crescita e ripresa.
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Eat Bitter di Pascale Appora Gnekindy e Ningyi Sun, la trama
Thomas Boa, aspirante cantante, nella vita fa il sand diver. Ovvero si immerge nelle acque di Bangui, nella Repubblica Centrafricana, per recuperare sabbia rossa dal letto del fiume. Thomas lavora alle dipendenze di Jeannet, che a sua volta è in affari con Jianmin Luan. Lui, cinese dello Shandong, ha lasciato la terra di Mezzo molti anni fa per continuare il suo lavoro di sempre, il costruttore, molto più proficuamente in Africa. Nella fattispecie, al momento è una banca il possente edificio – o almeno così pare nelle strade spoglie di Bangui – della cui costruzione si sta occupando proprio Luan.
I due personaggi si ammazzano di lavoro e tentano il possibile per tenere insieme i cocci delle loro famiglie alternative. In una evoluzione piena di poesia e speranza, la loro costanza e caparbietà farà trovare ad entrambi un riconoscimento professionale, una famiglia riunita, e una ritrovata serenità.
Eat bitter than taste sweet
Gli interessi della Cina in Africa
Eat Bitter inizia con coraggio, chiarendo al pubblico sin da subito che la Repubblica Centrafricana è uno dei paesi più poveri al mondo, dove il 71% della popolazione vive sotto la soglia di povertà.
Ma l’incipit è anche un omaggio ai panorami africani, dei colori caldi e scottanti, del sole arancio e della terra rossa. Quella terra che pochi minuti dopo vediamo trasformata in un edificio.
È la sabbia, infatti il leitmotiv di questo film. Questo elemento è la speranza di vita per famiglie così diverse in questo posto conteso tra fazioni armate e business men asiatici.
The collaboration between the Chinese and the Central African is not a win-win for us. They’re like white people and they definitely make more money than us.
Ecco, in realtà raccontando di una situazione poco conosciuta o ancora poco visualizzata, ovvero gli affari della comunità cinese in Africa, si parla di famiglie che si frantumano tutte per la stessa ragione: l’instabilità, l’insicurezza e la mancanza di una dignità di vita. Ci fa pensare a quanto fortunati si possa essere ad essere nati nella parte opulenta del mondo. Tuttavia, questo non è un film disperato: i personaggi di Eat Bitter hanno la scorza dura e ci vuole ben altro per abbatterli.
Il rosso e il nero
Non è che il protagonista Thomas sia uno stinco di santo; per quanto si spacchi la schiena per i propri figli, le sue compagne lo scaricano una dopo l’altra e la madre lo biasima di continuo. A tratti diventa arduo connettersi alle incomprensibili relazioni con le donne che lo circondano. Forse la fede o forse gli affetti mitigano le turbolenze dell’animo in quella vita disagiata, dove la polvere rossa decide.
Il canto di Thomas, e quell’ossessivo riaffiorare dall’acqua e svuotare secchi di sabbia pesanti e stracolmi, creano sequenze d’effetto, dalla poesia narrativa molto sottile. Ma il riemergere a ripetizione dall’acqua, replicare quei gesti che abbiamo già esplorato, ora ridondanti sebbene instancabili, sembra voler redimere quei peccati che il ragazzo si porta appresso dal suo nido coniugale.
I primi piani crucciati, seriosi, ci rimarranno nella testa persistenti. Le rughe sono solchi profondi scavati da quella vita che a forza di fatiche, ha inciso i corpi e arrossato e annerito la pelle di tutti i protagonisti.
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