Presentato in anteprima mondiale al Sundance Film Festival del 2023, Passages di Ira Sachs è diventato da subito uno dei film più attesi della stagione. In occasione dell’uscita nelle sale italiane, distribuito da Lucky Red, e successivamente in piattaforma, su MUBI, del film abbiamo parlato con il regista americano Ira Sachs.
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Ira Sachs e il suo Passages
La prima sequenza è l’unica in cui vediamo il protagonista sul set mentre dirige una scena del suo film. La sua importanza è quella di collegare il pubblico e il privato del personaggio raccontando la difficoltà di Tomas a controllare la realtà, tanto nel cinema quanto nella vita.
Diciamo che la scena iniziale è in qualche modo così come la descrivi: Tomas non è in grado di controllare quello che ha davanti. Lo vuole con forza ma non ci riesce mai. Credo che fin dall’inizio vengano messe in chiaro due cose: la prima è che lui è un uomo di potere; la seconda è che desidera cose che non può avere. Per quanto mi riguarda il mio modo di dirigere è l’opposto di Tomas. Credo di non dover dire nulla a un attore su un qualcosa che sarebbe comunque in grado di fare. Il mio compito è quello di dargli fiducia facendolo arrivare da solo alla propria versione della realtà. Tomas si comporta in maniera opposta. Le similitudini tra me e lui è che entrambi siamo a nostro agio con il potere e che per questo meritiamo di essere “riportati a terra”.
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Quella sequenza riflette sulla relazione tra arte e vita sottolineando come la seconda sia impossibile da controllare.
È vero. Hai descritto la mia esperienza per cui penso tu abbia ragione. Possiamo far accadere cose nella nostra professione mentre è più difficile che questo succeda nella vita.
La scena del bar
Una scena più di altre è significativa rispetto al titolo del film. Parlo di quella girata nel piano bar in cui fai incontrare i tre personaggi principali. L’hai diretta come una sorta di minuetto in cui i protagoniti si relazionano scambiandosi di continuo la posizione a fianco dell’altro. Si tratta di una sorta di staffetta esistenziale che rimanda alla volontà degli stessi di andare oltre le barriere che impediscono alla passione e al desidero di potersi esprimere.
Credo tu abbia un bel modo di descrivere Passages e ti ascolto con interesse perché mentre dirigo un film non sono così consapevole delle mie azioni. Cerco di non ragionare troppo su quello che faccio perché quando inizi a diventare troppo critico fai fatica a cogliere la realtà. Comunque quello che dici è molto logico e credo che in me ci fosse questa consapevolezza. In effetti il film è composto da una serie di ingressi e di uscite.
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Passages è un film con molti dialoghi ma le scene più importanti sono quelle in cui a parlare sono solo le immagini. Penso al ballo di Agathe e Tomas in cui la reciproca curiosità si trasforma nella bruciante passione con cui i personaggi si ritroveranno a fare i conti.
Sì è vero. In momenti in cui non ci sono dialoghi cerco di creare comunque una narrativa. Mi ricordo che durante il montaggio c’è stato molto lavoro per raccontare la storia che hai visto e ho dovuto scegliere espressioni e movimenti che potessero raccontare la vicenda senza le parole. Lì la difficoltà è stata quella di definire molto velocemente una coreografia capace di testimoniare la nascita di una relazione.
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PASSAGES, from left: Ben Whishaw, Franz Rogowski, 2023. © MUBI / Courtesy Everett Collection
L’amore in Passages di Ira Sachs
Le scene d’amore tra Agathe e Tomas ma anche tra quest’ultimo e Martin, sono necessarie per portare a galla i tormenti dei protagonisti. Tenuti nascosti, i sentimenti a un certo punto esplodono in un tripudio di carnalità. Si tratta di scene
molto realistiche in cui sono i corpi a raccontare la vita dei personaggi.
Per me queste scene sono dei modi per segnare l’esperienza di guardare un film: sono dei punti di contatto tra gli spettatori e lo schermo: parlo di scene che vanno al di là delle esigenze presenti nelle altre scene. Si reggono da sole e sono parte del film ma in maniera autonoma perché ne diventano la memoria.
Penso all’impatto che hanno avuto su di me i corpi in Je, tu, il, elle di Chantal Akerman. Non riesco a dimenticarli, li vedo ancora davanti a me per cui quello che sto facendo è cercare di creare in quei momenti nuovi ritmi che fanno parte di Passages ma che allo stesso tempo sono separati da esso. Nel lungometraggio della Akerman è la regista, con la sua visione, a essere protagonista e io sono interessato a film in cui si scoprono i registi attraverso la loro arte.
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La qualità degli attori è straordinaria e lo si vede dal modo in cui Adele Exarchopoulos rimane dentro il personaggio anche nelle scene in cui la sua figura non è centrale all’interno dell’inquadratura. Il suo volto non smette mai di trasmettere lo sguardo di una donna innamorata.
Penso le farebbe piacere sentire questo. Nello specifico credo sia una combinazione di cose: lei è un’attrice molto attenta, molto accurata. Quando la macchina da presa è in azione Adele ha una concentrazione per certi versi misteriosa. Aggiungo che nella sua attenzione verso Tomas c’è anche la mia verso di lei. Sono entrambe parte degli stessi momenti. Quelle sono sequenze di persone che prestano attenzione ed è letteralmente tutto quello che voglio nel cinema. Tu lo hai colto e descritto molto bene.
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A colpirmi è stata anche l’ultima sequenza per il suo essere il risultato di diversi stati emozionali. La luce rossa che a un certo punto avvolge la corsa di Tomas in bicicletta sembra dirci che nonostante tutto lui è ancora vivo e che le sue emozioni sono di nuovo pronte a tuffarsi in una nuova esperienza.
Su quella scena ci sarebbero molte cose da dire. È una sequenza di estasi e tormenti simili a quelli che attraversano le nostre vite. Il mio cinema e in particolare la sequenza di cui parliamo volevano esserne il riflesso.
Il protagonista
Prima parlavi della memoria del film. Penso che Franz Rogowski abbia proprio questa qualità. Il suo modo di calarsi in personaggi sempre diversi genera un alone di mistero che è impossibile dimenticare. Qual è stato il criterio con cui l’hai scelto?
Ho scritto il film per lui dopo averlo visto in una piccola parte nel film di Michael Haneke Happy End e nello specifico nella scena dove lui canta e balla in un karaoke bar. È un momento di caos e estasi e ad attrarmi è stata la sua presenza scenica. Ero interessato a comprendere l’energia che possiede come attore ma anche come essere umano quindi ho scritto il film per scoprirlo.