Alla 3° edizione di Alta Marea Festival, rassegna di cinema indipendente che si svolge a Termoli dal 27 al 29 luglio, arriva Chiusi fuori di Giorgio Testi.
Il cortometraggio del regista italiano, trapiantato a Londra ed esperto di avanguardie digitali, esprime al meglio l’anima dell’evento. Indipendente, colto, sperimentale e dal sapore internazionale. Taxidrivers è media partner del Festival.
Prodotto da Pulse Films, in collaborazione con Fondazione Teatro della Toscana, e distribuito da Save The Cut – Son of A Pitch Italia, Chiusi fuori è stato già selezionato per numerose rassegne internazionali e italiane, con gradimento di pubblico e critica. A citarne alcune: Los Angeles – Italia 2022: Italian Shorts: Beautiful! (che anticipa la serata degli Oscar), VIFA Vienna International Film Awards 2022 con Menzione d’Onore e Accordi @ DISACCORDI 2022 per Miglior Cortometraggio Italiano.
Per la prima volta insieme in un film, Stefano Accorsi e Colin Firth “aspettano Godot” su un palco che è acceso, oltre ogni distanza fisica.
Chiusi fuori, la sinossi ufficiale
Mentre sta per provare Aspettando Godot di Samuel Beckett, Stefano Accorsi si ritrova di colpo in un teatro. Buio, vuoto, le porte sprangate, i collaboratori scomparsi. Che succede? Non fa in tempo a capirlo che lo scenario cambia ancora. Stefano è ora sul palco allestito insieme a Colin Firth, in abiti da scena, a recitare l’inizio dell’opera. Sino a che l’incantesimo si spezza. Siamo tornati al presente, Stefano è nel teatro animato di gente. Sorride. Qualunque cosa sia successa, il teatro è vivo, più forte di ogni chiusura.
Chiusi fuori, la parola al regista
In un’intervista rilasciata a Firenze Made in Tuscany, Gorgio Testi racconta com’è nata l’idea del corto:
È frutto dell’incontro di più persone: Colin Firth (in quel periodo in Italia), Stefano Accorsi, ma anche Martina Zambeletti, Rodrigo D’Erasmo e Lucia Calamaro. Aspettando Godot fotografava perfettamente il momento storico, così abbiamo deciso di costruire un racconto attorno ad un estratto dell’opera di Beckett, ambientandolo all’interno del Teatro della Pergola per ridare vita a un emblema della violenta frenata che il mondo dello spettacolo ha subito durante la pandemia: il teatro.
Alle prese con il suo primo cortometraggio, uno dei cineasti più attenzionati della scena cinematografica londinese realizza un’opera accurata, densa, chiusa e dai connotati stilistici forti. Un inno alla resilienza del teatro e alla sua natura senza tempo. Un plauso alla sua essenza che si svela monumentale anche nel paradosso di non poter essere ancora e di nuovo se stessa.
Tra attualità e tensione al futuro
Durante la pandemia, Stefano Accorsi e Colin Firth sono nello stesso posto, ma solo virtualmente. Accorsi dal Teatro La Pergola e Firth nel suo studio a Londra, spartiscono il medesimo spazio, chiuso forzatamente e “ri-occupato” tra sogno e futurismo. Se il Covid ha fatto vacillare le certezze di ognuno, la tecnologia viene in soccorso, offrendo strumenti nuovi a far risorgere il luogo che da sempre è espressione di comunità.
Stefano Accorsi in una scena del cortometraggio
Ho forse dormito mentre gli altri soffrivano? Sto forse dormendo in questo momento? Domani, quando mi sembrerà di svegliarmi, che dirò di questa giornata? Che col mio amico Estragone, in questo luogo, fino al calar della notte, ho aspettato Godot? Che Pozzo è passato col suo facchino e ci ha parlato? Certamente. Ma in tutto questo quanto ci sarà di vero?
Il punto di partenza è il nesso con la storicità, l’opera antica e eterna di Beckett. Aspettando Godot descrive al meglio l’impotenza dell’attesa, ma anche l’inciampo nell’assurdo. L’insensatezza della vita umana e l’imminenza della fine. Eppure continuare ad aspettare, dialogare nella ricerca di un significato.
Semanticamente, si tratta di una metafora della pandemia, con il suo carico di finitudine, irragionevolezza e cognizione del fallimento. Che sulla via della risoluzione, fa incontrare umanità e tecnologia. Sulla stessa linea, Accorsi e Firth realizzano l’irrealizzabile, da un capo all’altro dello spazio-mondo, creano un’asse temporale che attraverso passato, presente e futuro s’incunea e resiste tra realtà incarnata e avvenirismo.
D’altra parte e al nocciolo, è una riflessione sul teatro come vita dentro e oltre la sfera artistica. In questo senso, Chiusi fuori implica l’essere estromessi coercitivamente dal teatro. Questo “fuori”, come luogo fisico e simbolico, è un magma che ribolle per impossessarsi nuovamente della vita e dell’arte. Pertanto, il corto si rivela un’esortazione potente alla bellezza che perdura e al teatro come luogo di ri-cominciamento del fare comunitario.