L’uomo del labirinto, disponibile in streaming su Netflix, è il secondo film dello scrittore/regista Donato Carrisi, dopo La ragazza nella nebbia. Come per il primo film, anche questo è tratto da un suo bestseller, pubblicato nel 2017.
L’uomo del labirinto è un film del 2019 e può vantare un cast d’eccezione che vede le interpretazioni di Toni Servillo, Valentina Bellé, Dustin Hoffman, Vinicio Marchioni e Luis Gnecco (indimenticabile protagonista del film Neruda di Pablo Larraìn).
Trama
Samantha Andreetti (Valentina Bellé) si risveglia nel letto dell’ospedale Santa Caterina dopo quindici anni di prigionia, quando è stata rapita una mattina prima di andare a scuola. A sorvegliarla, e provare a ricostruire i suoi ricordi, il dottor Green (Dustin Hoffman).
Nel frattempo, l’investigatore privato Bruno Genko (Toni Servillo), che quindici anni prima era stato incaricato dalla famiglia di Samantha di ritrovarla, viene a sapere che Samantha è libera. Genko, affetto da una cardiopatia terminale, inizia una vera e propria corsa contro il tempo dedicandosi nuovamente al caso.
Un bel segnale all’industria cinematografica italiana
Il secondo film di Donato Carrisi può tranquillamente considerarsi un unicum all’interno del panorama cinematografico italiano. Se già con La ragazza della nebbia si era portato qualcosa di nuovo al cinema italiano, con L’uomo del labirinto si passa oltre. Il film, per struttura, interpretazioni, dialoghi, colpi di scena e cast, ha tutta l’aria di avere un respiro internazionale. A dire la verità, quello che fa Carrisi, però, è riportare in auge un certo tipo di cinema che in Italia si faceva, eccome. L’uomo del labirinto riporta uno stile cinematografico tanto caro a Dario Argento, Lucio Fulci e quel cinema giallo italiano considerato di cassetta che tanto manca alla nostra industria.
Un film che in teoria dovrebbe fare bene a tutto il sistema. Innanzitutto per il coinvolgimento di una star internazionale come Dustin Hoffman, che ritorna a recitare in un film italiano dopo quarantasette anni, quando interpretò Alfredo in Alfredo, Alfredo di Pietro Germi. Poi perché dal finale de L’uomo del labirinto tutto lascia intendere che si voglia dar vita una piccola saga, cosa alquanto rara per quanto riguarda la nostra cinematografia.
Lo spazio-tempo indefinito
L’uomo del labirinto si contraddistingue per una regia visionaria che segue le vicende di Bruno Genko e percorre i labirinti della mente di Samantha Andreetti.
Lo spazio-tempo del film contribuisce a confondere lo spettatore, portandolo all’interno di un viaggio allucinato. Si riesce ad intuire che ci troviamo ai giorni nostri quando si fa riferimento al rapimento di Robin Basso del 1983 e a quando Genko paga da bere tirando fuori una banconota da cinquanta euro. Il resto, però, dà l’impressione che ci troviamo in un periodo di tempo non definito. Da una parte seguiamo le indagini di Bruno Genko, che riesce a far sentire la sua puzza di sudore fino a casa dello spettatore, dall’altra, invece seguiamo i ricordi sbiaditi di Samantha Andreetti.
L’uomo del labirinto, poi, ci proietta in un perfetto non-luogo. La città, le case, i locali sono simili a quelli già visti in tanti film di generi diversi. Guardando L’uomo del labirinto possiamo trovare cose che ci ricordano film come Sin City, Enter the Void o Blade Runner.
Il non-luogo destabilizza lo spettatore che viene sballottolato (anche qui) da una parte seguendo le indagini di Genko e dall’altra, soprattutto, provando a ricomporre i ricordi di Samantha Andreetti.
Interpretazioni
Notevoli le interpretazioni degli attori. Toni Servillo è magistrale e si cala perfettamente nel ruolo dell’investigatore solitario e ostinato. In questo film Servillo si dimostra attore completo. Non abbandona mai la sua vena da attore di teatro di razza, ma soprattutto riesce a calarsi perfettamente in un ruolo assai utilizzato nel cinema mainstream. Il suo Genko rispetta tantissimi cliché del cinema di genere, riuscendo, però, a dargli spessore. Ne L’uomo del labirinto, però, un cliché viene abilmente aggirato. Nei film polizieschi/noir, di solito, vediamo il poliziotto solitario che deve risolvere questo caso perché “è l’ultimo giorno di lavoro prima della pensione”. Qui, invece, c’è qualcosa di più grande. Per Genko è l’ultimo giorno prima della morte.
Dustin Hoffman è il solito gigante del cinema. Probabilmente, provoca un effetto boomerang in quanto recita solo al fianco di Valentina Bellé, che dà un’interpretazione un po’ troppo caricata e, sicuramente, non è aiutata dal suo stesso doppiaggio. Strano come non si sia scelta l’opzione della lingua originale nella recitazione; (almeno) su Netflix, sicuramente avrebbe dato un po’ di credibilità in più alla prova dell’attrice.