Come si può raccontare in maniera esemplare un modello di leggenda se non tramite i racconti e le testimonianze di chi ha conosciuto quella leggenda? Lo fa Rai Play col compianto Gianni Minà, nel nuovo episodio: ‘Muhammad Alì, il più grande‘ , che abbiamo visto per voi.
ROMA, 1960.
Il diciottenne Cassius Marcellus Clay Jr. vince la medaglia d’oro per i pesi mediomassimi alle Olimpiadi italiane, poco tempo dopo, in Ohio, il neo-campione getta il riconoscimento nella corrente di un fiume, come protesta verso il proprio paese per discriminazioni razziali ricevute dopo che un ristoratore si era rifiutato di servirlo perché nero.
Basterebbe questo singolo episodio per riassumere la personalità e lo spessore di Cassius Clay, personaggio e campione di livello globale che, tra i primi dell’epoca moderna, si è fatto portavoce e difensore dei diritti del popolo nero, rendendolo un simbolo, allora come oggi, della lotta alle ingiustizie.
Figlio di Marcellus Sr. e di Odessa Lee Grady, il piccolo Clay nacque il 17 Gennaio 1942 a Lousiville, nel Kentucky, in un duro contesto di segregazione razziale, contesto che fin dall’infanzia segnò il futuro campione, come testimoniato più volte dagli stessi genitori.
LA BICICLETTA
All’età di 11 anni, poco dopo Natale, il ragazzino era ad uno spettacolo di Rock ‘n’ Roll, quando si vide derubato della propria biciletta, vicino era situato una stazione della polizia, cui si rivolse per denunciare il furto. In quegli uffici incontrò Joe E. Martin, agente in servizio che gli consigliò di imparare a boxare, se proprio voleva ritrovare la sua bicicletta. Cassius fu così indirizzato in una palestra in Columbia dove iniziò la propria carriera sportiva.
Il giovane aveva talento, e non ci mise molto a dimostrarlo, come raccontato nello speciale Rai Play. A poco più di 18 anni vinse il tintolo olimpico a Roma, dove conobbe il giornalista Gianni Minà, inaugurando un sodalizio di collaborazione e di amicizia durato per oltre quarant’anni.
L’ASCESA E IL CAMBIO NOME
Man mano che aumentava la sua popolarità, aumentava anche la forza dei suoi pugni, dei suoi successi, e aumentava anche la forza della sua voce. Pochi giorni dopo aver vinto il primo titolo mondiale contro Sonny Liston, Clay annunciò di essersi convertito alla fede islamica e unito alla Nation of Islam.
Era nato Muhammad Alì. Divenne poi famoso anche per i non sportivi come personaggio provocatorio e stravagante. Prese infatti il controllo di numerose conferenze stampa e interviste, parlando liberamente anche di problemi non legati al pugilato. Trasformò profondamente il ruolo e l’immagine del pugile afroamericano negli Stati Uniti, diventando punto di riferimento del Potere nero.
Nel 1967, tre anni dopo la conquista del campionato mondiale, il pugile si rifiutò di combattere in Vietnam per la sua religione e la sua opposizione al conflitto. Fu arrestato e accusato di renitenza alla leva, e privato del titolo. Non combatté per i successivi tre anni. L’appello di Ali arrivò alla Corte suprema degli Stati Uniti d’America, che annullò la condanna nel 1971. La sua battaglia come obiettore di coscienza lo rese un’icona degli anni sessanta.
IL TEMPORANEO RITIRO, IL DECLINO E LA MALATTIA
Dopo aver scontato una squalifica di tre anni per aver rifiutato di andare in Vietnam, Alì tornò sul ring, dove dimostrò di non aver perso lo smalto sui guantoni ma soprattutto il suo “trash-talking”, ovvero insulti e comportamenti provocatori nei confronti dell’avversario di cui possiamo definirlo iniziatore. Nel 1981 Muhammad Alì era ormai l’ombra dell’incredibile atleta di un tempo: lento, indebolito, incapace ormai di mettere al tappeto gli avversari: erano i primi sintomi dell’avvento della sindrome di Parkinson che il 3 Giugno 2016 lo avrebbe messo K.O. per l’ultima volta.
Si dice che la morte sia un’usanza che tutti, prima o poi, dobbiamo rispettare. E prima di farlo, Cassius Clay ha anche rispettato lo sport e la vita, come pochi altri. In tempi ben diversi da quelli di oggi, Ali dimostrava il vero coraggio di risalire la corrente in anni nei quali praticamente nessuno lo faceva, soprattutto quando tanto da perdere aveva.
Dopo la sua scomparsa, mentre ancora oggi tutto il mondo celebra un atleta che ha infranto la barriera dell’immortalità sportiva, il pensiero torna a quella bicicletta rubata poco dopo Natale.
Ad ormai settant’anni di distanza, quella bicicletta è stata una speranza che ha tracciato un percorso, che ha dato voce e possibilità agli oppressi di sperare in qualcosa di migliore, che ha fatto sentire uomini e donne le persone discriminate, i morti in guerra e le famiglie che vedevano perdere i propri cari. Una bicicletta che ancora oggi predica e impone dedizione, impegno, rispetto, lavoro.
Ancora oggi noi ci troviamo qui ad ammirare e ad applaudire Cassius Clay, il ragazzino che tirava di boxe in una stradina sconosciuta del Kentucky.
Quella stradina dove una piccola bicicletta e uno spettacolo di Rock ‘n’ Roll sono stati la cosa più preziosa nella gioventù di un bambino divenuto storia.
Il lavoro di Rai Play per raccontare e riassumere la strada di questo grande campione è straordinario. Scorrevole, coinvolgente e chiarissimo, unito alle testimonianze personali di amici e parenti che hanno conosciuto Clay Jr. fin dalle fasce. Continuando su questa scia e con questo tipo di cura nei dettagli, la Rai può dare via a un nuovo modo di raccontare storie e intrattenere il pubblico, tenendolo, come sempre, ben informato.
L’episodio ‘Muhammad Alì, il più grande’ è disponibile su Rai Play qui.