Presentato nella sezione Sentiero Mexican’s Way della sesta edizione di Entre dos mundos, il Festival del Cinema Iberoamericano di Firenze, La melodía torrencial di José Luis Saturno è un corto in stop motion frutto di un’equilibrata e impalpabile mistura tra urgenze del presente e fantastico popolare, dove sugli squilibri climatici sussurrano lugubri magie e la ricomposizione del ciclo della vita, ma senza assoluzione per l’umano.
Sinossi
Nella piaga di una perenne siccità un villaggio messicano ripone una speranza in un misterioso e torvo musicista errante: la sua melodia con la fisamormica riporterà la pioggia, ma essa – come lui stesso preannuncia – sarà inarrestabile. Il popolo, senza indugio né riflessione, accetta, acclamando lo sconosciuto salvatore.
Dopo l’esibizione arriva una pioggia torrenziale, poi un’alluvione che provoca centinaia di vittime, con un nuovo assestamento della natura.
Tra perizia tecnica e un antico immaginario
In La melodía torrencial c’è il sentore di leggende indigene, c’è l’accezione locale della cultura musicale, ci sono echi ancestrali del regno dei morti, ma anche, nella tecnica di animazione, il cinema di Guillermo del Toro e di Tim Burton (omaggiato nella veste grafica dei titoli di testa).
Con una voce narrante maschile rauca e solenne che scandisce il racconto e che gli conferisce l’andamento di una perduta ballata, José Luis Saturno staglia il suo inquietante e ipnotico protagonista (abito nero, occhi scuri e vitrei, grigia capigliatura ribelle) su una tavolozza di forte contrasto chiaroscurale bicromatica, dove un rosso allucinato di un cielo apocalittico incombe sulle ombre livide dei vivi.
Eppure, nonostante i richiami visivi di cupa inesorabilità aleggia una percettibile presa narrativa fiabesca, un manto mitico di cui è alfiere il vagabondo musicista, che si carica di simbolismo di morte, ma anche di richiami biblici ed evangelici (il diluvio universale, la croce cimiteriale spezzata).
E su questo triste figuro, forse residuo della cavalleria medievale, il regista applica peculiarmente la forza espressiva dello stop motion, ma anche altri stralci di animosità, associandolo al potere della musica e al palcoscenico del teatro (con una tenda viola che David Lynch approverebbe).
Il diniego della catarsi
Il villaggio messicano come il ‘gran teatro del mondo’, dunque, dove Saturno allestisce un’umanità che è una piccola corte dei miracoli, volubile, sprovveduta, avventata, ridotta quasi all’invisibilità dal film, su cui gravano in filigrana le responsabilità del dissesto ambientale.
Nel mistero con cui si chiude un corto (dopo una purificazione per acqua solo apparente) non manca un epilogo di inquietante avvertimento sul presente: il suggello di un lavoro di regia che in quasi sette minuti riesce con intatto gusto fantasmagorico a far scorrere interpellanze civili nel fasto di una parabola macabra e sinistramente incisiva.