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‘Tre di troppo’ Conversazione con Fabio De Luigi

Come  nella commedia americana degli anni novanta Tre di Troppo mescola generi ed estetiche senza rinunciare alle premesse di leggerezza e divertimento

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tre di troppo fabio de luigi

Come  nella commedia americana degli anni novanta Tre di Troppo mescola generi ed estetiche senza rinunciare alle premesse di leggerezza e divertimento. Del film abbiamo parlato con Fabio De Luigi.

Uscito il 1° gennaio, è ancora in alcune sale, grazie a Warner BrosTre di troppo, la commedia diretta e interpretata da Fabio De Luigi, con Virginia Raffaele.

Tre di troppo di Fabio De Luigi: grande successo

Viste le difficoltà del momento mi fa piacere aprire questa conversazione con una buona notizia ovvero che Tre di troppo, appena uscito in sala, si è piazzato al secondo posto del box Office, subito dopo l’inarrivabile Avatar – La via dell’acqua. Questo vuol dire che esiste ancora un cinema italiano capace di riportare il pubblico in sala.

Pare di sì, adesso siamo secondi per quanto riguarda la classifica degli incassi settimanali e non in quella generale, però si tratta comunque di un risultato interessante e bello da commentare. Per i film italiani la situazione è ancora difficile, ma le feste natalizie hanno riportato la gente a vedere anche titoli nostrani perché poi, nel resto dell’anno, il pubblico ha preferito i grandi film d’oltreoceano. Per noi la sfida rimane quella di confrontarci con delle produzioni mostruose da tutti i punti di vista.

Una commedia non solo divertente e leggera

La tua commedia mi ha ricordato un po’ quella americana degli anni novanta in cui divertimento e leggerezza andavano di pari passo con una trama che spesso diventava qualcos’altro: per esempio un thriller o un film d’avventura.

Mi fa piacere che tu l’abbia notato perché è il punto da cui siamo partiti assieme agli sceneggiatori. Prima di iniziare a scrivere abbiamo rivisto quei lungometraggi con l’intenzione di riproporne il linguaggio tipico, quello in cui una commedia familiare poteva diventare anche occasione di avventura e, in generale, di qualcosa di più e di diverso.

Anche perché la storia di Tre di troppo, oltre a essere godibile dal punto di vista delle interpretazioni, coinvolge lo spettatore come succede per certi film in cui si rimane incollati allo schermo per sapere se i protagonisti usciranno sani e salvi dalla vicissitudine che li hanno investiti.

Questa è la cosa per la quale ti ringrazio maggiormente perché è proprio questo l’aspetto su cui io e i due sceneggiatori – che sono i veri responsabili del copione – abbiamo cercato di porre attenzione, sia in fase di scrittura che di messa in scena. Al di là del divertimento che ci si aspetta vedendo in scena me e Virginia Raffaele, era interessante avere una storia che fa venire la voglia di sapere come va a finire, per cui mi fa piacere che tu abbia trovato questi aspetti all’interno del film.

L’evoluzione dei personaggi

Anche perché, oltre a raccontare la storia di questa potenziale famiglia, tu metti in scena anche l’evoluzione psicologica dei protagonisti, come pure degli altri personaggi. Anche questo è un aspetto che stimola la curiosità dello spettatore.

Sì, abbiamo cercato di definire un arco narrativo proprio dei personaggi, con i due eroi impegnati in un’avventura dalla quale escono in qualche modo trasformati. In meglio o in peggio non importa. Quello che invece mi interessava è che la trasformazione riguardasse non solo i protagonisti, ma anche il resto dei personaggi.

Ho trovato Tre di troppo molto sincero perché la trasformazione dei personaggi rispecchia quanto succede nella vita di tutti i giorni. Accade quasi sempre, infatti, che al nostro cambiamento faccia seguito quello degli altri e questo nel tuo film si vede in maniera chiara.

È così. Quando cambi, chi ti sta davanti finisce per fare lo stesso. L’idea di fondo era quella di Se mi lasci ti cancello in cui, pur tornando alla vita precedente, quella appena vissuta continua a far sentire i suoi cambiamenti: rimane dentro, sedimentata da qualche parte.

L’empatia in Tre di troppo di Fabio De Luigi

Nell’arco di questa trasformazione una delle sfide era quella di mantenere viva l’empatia dei personaggi, il tuo e quello di Virginia, nonostante la loro incostanza. Tre di troppo riesce a farlo senza ricorre a eccessi caricaturali.

Marco e Giulia sono quasi respingenti però i loro sono dei difetti propriamente umani. Da parte nostra non c’era la presunzione di dire che chi ha i figli è migliore di chi non li ha. Noi raccontiamo solo due persone che sono fatte in quel modo e che poi si trovano di fronte a una situazione di cambiamento. Nel farlo abbiamo cercato di essere il più realistici possibile, pur in un linguaggio di commedia che, necessariamente, deve andare a cercare la forzatura, altrimenti non sarebbe tale. Per essere divertente la comicità deve nascere dal contrasto e, quindi, da situazioni che bisogna forzare rispetto alla norma. Per trovare un equilibrio bisognava lavorare bene sulla verità dei personaggi a cui accadono queste cose altrimenti diventava tutto poco credibile. Il fatto che la conclusione susciti un’emozione significa che prima hai creduto a quello che ti ho raccontato: altrimenti hai riso tanto senza però credere ai personaggi e alla loro storia.

A proposito di equilibrio, ti chiedo se la soluzione escogitata per non far venire meno l’empatia dei protagonisti sia stata quella di metterli in scena in modo buffo e talvolta ridicolo.

È probabile, nel senso che lo sforzo era proprio quello. Personalmente l’arroganza, la spocchia e anche il cinismo fuori luogo mi diverte perché spesso è il contrario di quello che uno vuol far vedere di sé. Per questo ho provato a mettere in scena dei personaggi che all’inizio non fossero ammiccanti, ma piuttosto vittime del loro modo di essere, in certi casi un po’ respingente.

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Un film solo per famiglie?

Sicuramente Tre di troppo è un film per famiglie, ma in realtà mi sembra qualcosa di più personale, ovvero una sorta di ringraziamento verso chi ci ha messo al mondo, nella considerazione di come tutto questo non sia una cosa facile.

Quello è venuto veramente così, ho preso la decisione di dedicarlo ai miei genitori senza rifletterci tanto. Mi interessava raccontare questa storia. Lo spunto mi sembrava interessante e soprattutto mi pareva avere le potenzialità per piacere al pubblico. Da parte mia ci ho messo dentro tutto l’amore e l’attenzione che si deve nei confronti di chi va a vedere un film.

Rispetto ai miei genitori, mio padre è venuto a mancare da non tantissimo tempo, mentre la scomparsa di mia madre è avvenuta di recente quindi è stato quasi naturale dedicarlo a loro, anche in virtù dei temi trattati.

La scena in cui i protagonisti scoprono di avere tre figli, per come l’hai girata, i primi in una stanza i secondi in un’altra, con l’aggiunta di lasciare fuori campo i bambini, in un primo momento visibili solo ai presunti genitori, ma non al pubblico, trasmette l’idea di una condizione, quella di mettere al mondo dei figli, intrinseca alla condizione umana, ma possibile solo se si riesce a vedersi come famiglia.

Eh sì, è un po’ quello che hai detto: potenzialmente i figli ci sono, basta trovare, in qualche modo, il coraggio di metterli al mondo.

Da attore, e in questo caso anche da regista, il tuo è un cinema che non ha mai rinunciato a dialogare con il pubblico. Un rapporto che ti porti dietro dalla tua formazione in programmi come Zelig e in quelli con la Gialappa’s Band, in cui, in un modo o nell’altro, gli spettatori erano sempre presenti.

Sì, con alti e bassi, perché non sempre è stato così. Magari, però, per quanto riguarda le cose al cinema, ogni tanto, quando mi è stata data la possibilità, ho anche cercato di allontanarmi dallo specifico a cui ti sei appena riferito. Sicuramente quando approccio un copione cerco sempre di pensare a chi è rivolto e che tipo di linguaggio e tono usare, tenendo presente i paletti dettati dagli investimenti del produttore che cerco sempre di rispettare.

La figura maschile in Tre di troppo di Fabio De Luigi e nei precedenti film

In Tre di troppo racconti un universo maschile depotenziato della sua presunta virilità. Capita spesso che i tuoi personaggi decidano poco o niente, sottomessi dalla personalità dominante della controparte femminile. Succedeva anche in uno dei tuoi primi film, Ogni volta che te ne vai, in cui il protagonista si ritrovava a rincorrere una donna misteriosa e sfuggente.

Guarda caso anche lì collaboravo alla sceneggiatura insieme al regista Davide Cocchi. Ogni volta che te ne vai nasceva da questa idea ma non avevo mai pensato al film in questa chiave. In effetti, come dici tu, si tratta di una costante dei miei lavori.

Anche in Tiramisù, il tuo film d’esordio come regista, il protagonista, a un certo punto, ha paura di essere lasciato dalla moglie.

Sì, lì la particolarità era che il personaggio interpretato da Vittoria Puccini lo lascia nel momento in cui lui ha un exploit dal punto di vista professionale.

In questo senso Tre di troppo, rappresenta una novità perché ti propone alle prese un uomo sicuro di sé e del suo rapporto coniugale.

Si tratta di un rapporto paritario. La sequenza iniziale, quella del ballo a due, nasce nella mia testa proprio per raccontare in immagini una coppia unita. È talmente a tempo nella vita che, invece di raccontarla nelle scene parlate, ho preferito farlo attraverso la loro passione per la musica. Inoltre quella scena mi permetteva di descrivere con immediatezza il carattere della coppia, il loro essere all’unisono. Non a caso quando tornano a ballare, travolti dalle questioni famigliari, perdono il passo, cominciando ad andare fuori tempo allo stesso modo in cui succede nella loro vita quotidiana.

I personaggi

Sempre dal punto di vista visivo, il ballo iniziale rimarca la distanza psicologica, ma anche fisica che vi separa dagli altri, in quella che costituisce una costante di buona parte del film. Anche nella tumultuosa scena del compleanno sembrate impermeabili alla sua disastrosa conclusione. Dritti e immobili, pare che non siate nemmeno lì, tanta è la differenza, di postura e atteggiamento, rispetto all’agitazione di chi vi circonda.

Esattamente. Siamo soli in mezzo agli altri, siamo noi, in quella che si può definire una coppia ideale. La modalità che hai descritto mi serviva per rendere in commedia, e quindi in divertimento, ciò che segue, ovvero la rottura di quel rapporto monolitico. Non a caso nella sequenza iniziale continuiamo a ballare anche a casa, da soli, a sottolineare che gli altri non contano niente rispetto alla centralità del nostro rapporto. La postura, poi, sancisce il distacco rispetto a quel mondo che guardiamo da lontano, senza lasciarci coinvolgere anche quando succedono disastri.

Prima della scena del ballo mi ha colpito l’introduzione dei personaggi: tu, edonista a cominciare dall’abbigliamento e dal taglio di capelli, Virginia in pieno controllo di sé, le mani sul volante, pronta a mangiarsi la vita con un colpo di acceleratore. Quella presentazione mi ha fatto pensare a Diabolik e Eva Kant.

Sì, in chiave diversa, però, può essere. Non ci avevo pensato, ma la tua analisi potrebbe avere un senso.

Tre di troppo di Fabio De Luigi: commedia, ma non solo

Tre di troppo è quasi un racconto di fantascienza, senza contare che la trama si sviluppa utilizzando luoghi ed estetiche provenienti anche da altri generi. Penso alla maledizione pronunciata dal personaggio di Barbara Chichiarelli, confezionata con le forme del cinema horror.

Beh, un po’ sì, nel senso che ho giocato su quelle corde perché credo siano rappresentative di quel momento. Tu l’hai definito un film di fantascienza: io aggiungo che è anche surreale e di fantasia. In effetti questi erano gli elementi del copione che mi preoccupavano di più, e cioè rendere in qualche modo accettabile una cosa totalmente impossibile. Anche lì, come dicevamo prima per i personaggi, il lavoro è stato quello di rendere il più possibile vero quel momento. Anche con il linguaggio visivo non mi sono molto trattenuto perché per me era interessante che la scena avesse qualcosa di sinistro. Volevo che fosse in grado di generare il tipo di cortocircuito che poi rende tutto credibile e divertente.

Rispetto ai due personaggi protagonisti Tre di troppo potrebbe essere anche un romanzo di formazione “tardivo”. Nel caso di Marco questo diventa evidente nella scena in cui lui torna all’età dell’adolescenza.

Sì, molto tardivo, come il radicchio. Scusa la battuta, mi è venuta spontanea, però quello che dici è vero.

La genitorialità, a un certo punto, è trattata come un virus, contagiosa e letale come quella di certi film catastrofici, mentre il bambino che abbraccia Virginia sembra venire fuori da uno Zombie Movie.

Hai usato l’immagine che era scritta sul copione. Mi riferisco alla scena in cui la mamma si rivolge ai protagonisti per raccogliere i soldi della gita e in un attimo, intorno alla macchina, si raduna una folla di genitori inferociti. Qualche inquadratura non sono riuscito a montarla, ma il riferimento era proprio quello degli zombie intenti ad assaltare la macchina. Mi piaceva far trovare i protagonisti in una sorta di incubo buffo.

L’animo dei personaggi

Nel film c’è una ricerca estetica volta a riflettere lo stato d’animo dei personaggi. Quando i personaggi entrano a casa del personaggio della Chichiarelli l’inquadratura frontale schiaccia l’attrice deformandone il pancione. In più la luce è molto scura e questo contribuisce a creare un’atmosfera mortifera, in linea con il sentimento negativo dei protagonisti nei confronti della nascita di un figlio.

Sì, mi sono molto interrogato con il direttore della fotografia e, secondo me, ha fatto un bellissimo lavoro. Tra le altre cose abbiamo deciso di utilizzare ottiche diverse: si vede poco, ma la testa e la coda del film sono state girate con un tipo di inquadratura più patinata. Le scene sono ferme e spetta ai carrelli creare il movimento. Al contrario, quando entriamo in questo incubo, in questa bolla temporale, come dici tu, c’è più luce, però è tutto più mosso. Lì usiamo moltissimo la macchina a mano. A livello di temperatura di colore forse c’è un salto impercettibile, ma comunque presente.

Chichiarelli e Balsamo

Parlavamo di personaggi che si trasformano. Al cinema Barbara Chichiarelli la ricordavamo solo nel film dei Fratelli D’Innocenzo. Nel tuo la ritroviamo doppiamente trasformata. È come vederla per la prima volta. Irriconoscibile anche all’interno dello stesso personaggio. Da casalinga disperata a un certo punto la vediamo nei panni di una sensuale ballerina.

Anche lì, tornando sempre al ragionamento che facevo prima, mi piaceva l’idea di avvalermi del talento di attori che magari non sono propriamente legati alla commedia: un po’ per uscire dalla sensazione di vedere sempre la stessa cosa, un po’ perché era interessante ritrovarli in un contesto così forzato rispetto alla realtà. Mi serviva che fossero solidi e più veri. Non volevo che ammiccassero perché la risata non si cerca mai forzando battute ed espressioni. In questo senso gli attori sono stati tutti straordinari.

Tra questi figura Fabio Balsamo, attore in ascesa di cui è impossibile non innamorarsi.

Anche io ne sono innamorato.

Rispetto alle sue uscite più recenti, tu lo fai apparire con un tono quasi serioso.

Almeno nella mia testa il personaggio era così definito che non mi sembrava il caso di caricarlo ulteriormente. La prima volta che lo vediamo, lui è rapito dal tema del film e dalla cura dei figli quasi in maniera superiore alla moglie. Loro sanno tutto dei bambini e sono pronti a darti mille, consigli, fino al punto di slacciarsi la camicia e spalmarsi la crema sui capezzoli in maniera dimostrativa. Vederglielo fare in natura così seriosa mi divertiva molto perché era davvero una cosa assurda. D’altronde se lo avessimo caricato di più sarebbe diventato una barzelletta, invece così si ha l’idea di una cosa che può anche succedere quando uno è talmente preso da non rendersi conto di essere ridicolo.

Il film è stato girato durante la pandemia quando Fabio non aveva il successo che ha oggi. Quando l’ho scelto non lavorava così tanto al cinema mentre oggi è uno degli attori più richiesti. Sono contento di questo suo momento perché è un grande e se lo merita.

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Virginia Raffaele e Fabio De Luigi in Tre di troppo

La scelta di Virginia Raffaele, oltre che per l’indubbia bravura, ti permetteva di avere a fianco un alter ego comico utile anche a rappresentare il rapporto alla pari dei protagonisti di cui parlavi all’inizio. È così?

Sì, è proprio così! Non ho tanto da aggiungere vostro onore. Il senso era proprio quello. Tre di troppo era un film di coppia nel vero senso della parola, al di là del copione e dei personaggi di cui abbiamo detto. Lo era in termini di importanza di entrambi i protagonisti perché, di fatto, lei è il mio alter ego. Peraltro è quello che ci diciamo ormai tutti i giorni quando ci sentiamo quindi mi fa piacere che anche per te sia così.

Quanto, nelle vostre performance, è dipeso dall’alchimia, quanto dall’improvvisazione, quanto dalla bontà della sceneggiatura?

Virginia è molto rigorosa, ha un approccio simile al mio: è molto precisa nelle sue cose, quindi abbiamo ragionato a lungo sul copione poi, quando tra di noi si è stabilito un clima di reciproca fiducia, ci siamo lasciati andare. Non prima di aver stabilito i confini oltre i quali non ci dovevamo spingere. Lei si è dovuta fidare necessariamente di me nonostante non sia un regista con tantissima esperienza. Altrettanto ho fatto io con lei, credendo che potesse restituire bene il suo personaggio.

Entrambi avete lavorato di sottrazione evitando il rischio di essere caricaturali e gigioneschi.

Totalmente, nel senso che era la cosa che continuavo a ripetere da subito a Virginia e che poi ho continuato a fare durante tutta la lavorazione, con lei e con gli altri. Amo chi recita un po’ in sottrazione, soprattutto al cinema, soprattutto all’interno di storie che hanno già delle forzature necessarie in commedia. In generale si tratta di compensare l’assurdità di quello che accade con la verità di chi è chiamato a recitare quelle situazioni.

Fabio De Luigi oltre Tre di troppo

Per concludere questa chiacchierata su Tre di troppo, chiedo anche a te, Fabio De Luigi, che tipo di cinema ti piace e quali gli attori e i registi che preferisci?

Mi piace Gene Wilder, Paul Thomas Anderson. Lui non c’entra tanto con la commedia, ma ha fatto un capolavoro come Ubriaco d’amore. Mi piacciono tante cose a cominciare da Il Dottor Stranamore per continuare con la commedia italiana. Dei fratelli Coen sono da sempre innamorato. Tognazzi, Sordi, Totò e Troisi fanno tutti parte del mio vissuto: la loro grandezza è inutile stare qui a sottolinearla. Verso Peter Sellers ho una grande empatia e un’ispirazione forte perché in lui ho trovato la capacità di far ridere con poco e con una grande asciuttezza. È stato un gigante della recitazione in sottrazione dunque per me è un attore di riferimento. Gene Wilder viene ricordato fin troppo poco e invece è un altro che io trovo grandissimo.

La recensione di Tre di Troppo di Fabio De Luigi

Tre di Troppo

  • Anno: 2023
  • Durata: 107'
  • Distribuzione: Warner Bros.
  • Genere: commedia
  • Nazionalita: Italia
  • Regia: Fabio De Luigi
  • Data di uscita: 01-January-2023

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