Sam Mendes in Empire of Light, ultima sua fatica, visto in anteprima fuori concorso al Torino Film Festival, sembra avere ben presente la lezione di Alfred Hitchcock che diceva: “Il cinema è la vita senza le parti noiose”. Attualmente è disponibile su Disney Plus.
The Fabelmans&;Babylon&Empire of Light il cinema attraverso il cinema
Empire of Light: un memoir degli anni Ottanta
Hilary (Olivia Colman) è una donna sola di mezza età che lavora come responsabile dello staff nel cinema Empire in una cittadina balneare sulla costa del sud dell’Inghilterra. È sottoposta a controllo medico per la sua schizofrenia e Mr. Ellis (Colin Firth), direttore della sala cinematografica, approfitta della sua debolezza sottoponendola a rapporti sessuali nel suo ufficio, sfruttando meschinamente la sua posizione di potere. Hilary instaura un rapporto emotivo con il giovane nero Stephen (Michael Ward) che arriva come nuovo componente dello staff di sala.
Ambientato tra la fine del 1980 e il 1981 – una delle scene racconta la serata della prima nella regione di Momenti di gloria davanti alle autorità locali – Sam Mendes racconta un periodo della sua adolescenza. Dopo aver portato sullo schermo i ricordi di guerra di suo nonno con 1917, si ripete, scrivendo la seconda sceneggiatura, creando un memoir degli anni Ottanta inglesi, in cui il centro rimane il cinema Empire e il ritratto delicato e intenso di una donna sensibile che osserva da distanza la quotidianità.
Hilary, pur lavorando da tanti anni all’Empire, non ha mai visto un film proiettato nella sala, tutta presa dal perfetto funzionamento del cinema, dalla biglietteria, dall’accoglienza degli spettatori con un sorriso, dalla vendita di dolciumi e popcorn.
È Stephen che stupito le chiede come mai non abbia mai visto un film, visto che lui assunto da pochi mesi ne ha già guardati parecchi e cita a memoria i dialoghi più significativi dei personaggi. E Hilary che risponde che i film sono per i “clienti”.
La Storia che scorre fuori dal cinema in Empire of Light
Così come l’ascesa della prima ministra Margaret Thatcher e della sua politica neoliberista, che provocherà una crisi economica nazionale, rimane sullo sfondo. Il colore della pelle di Stephen non è una barriera per Hilary, ma Stephen è oggetto di aggressioni verbali da parte di skin heads. E l’uomo chiede alla donna perché non legga i giornali. La scelta di Mendes di far scorrere gli eventi storici al di fuori dell’Empire, che a volte s’introducono con violenza nella bolla della quotidianità della sala cinematografica, rappresenta benissimo il distacco dalla vita della protagonista, in continua lotta con la malattia.
La violenza della cronaca poi farà il suo ingresso – letteralmente – quando una sfilata di skin heads sul lungomare, di fronte all’entrata del cinema, irrompe nella hall frantumando e sfasciando tutto, malmenando le persone e, soprattutto, picchiando a sangue Stephen, urlando slogan razzisti.
La sequenza in questione è la più movimentata in Empire of Light che, per il resto, ha una struttura narrativa centripeta che riporta sempre tutto alla sala cinematografica. E la storia d’amore tra Hilary e Stephen è anche una storia di crescita per entrambi, di esperienze emotive vissute insieme che, in qualche modo, rafforzano le personalità della donna e del giovane.
Le luci dell’Empire
Ma l’ultima opera del regista inglese non è semplicemente un’intensa storia tra una donna matura con problemi mentali e un giovane uomo nero, che devono subire l’ostracismo di una società intollerante con i diversi, scritta e diretta con eleganza e precisione. É soprattutto, una dichiarazione d’amore verso il cinema.
Se leggiamo Empire of Light come le “luci dell’Empire”, la sala cinematografica è il luogo della vita.
Hilary e i suoi colleghi appaiono più una famiglia allargata che una piccola comunità in cui solidarietà e amicizia sono le forze sotterranee che tengono legate l’ una agli altri. La sala cinematografica diventa un mondo a parte con la sua hall ariosa fronte mare, la scala coperta di velluto rosso, così come le sale lussuose e ampie.
Ma il palazzo nasconde anche una parte dismessa. Così se sono ancora funzionanti due sale, l’Empire in origine ne aveva quattro. E le altre due hanno una che di fantasmatico, scenografie di un passato sfavillante e glorioso.
Ed è significativo che gli incontri amorosi tra Hilary e Stephen avvengono in questi locali, come vivere all’interno di una bolla (il vecchio Empire) che è all’interno di un’altra bolla (l’intero palazzo dell’Empire). Le brutture si lasciano al di fuori della sala cinematografica.
L’impero delle luci
Ma Empire of Light può anche essere “l’impero delle luci” in cui viene messa in scena la magia del cinema.
E, in effetti, fin dall’inizio la cabina di proiezione è proibita a chiunque, regno di Norman (Toby Jones), il proiezionista che ogni sera ripete il rito di far viaggiare gli spettatori in mondi e avventure diverse, evadere dalla vita quotidiana, volare via liberi.
Stephen riesce a diventare l’assistente di Norman e Mendes racconta come l’illusione del movimento di immagine fisse è la proiezione del rullo di pellicola davanti al faro della luce.
E le luci sono anche i fuochi d’artificio esplosi durante l’ultimo dell’anno e che Stephen e Hilary osservano dal tetto dell’Empire. Grazie anche alla fotografia dai colori caldi e pastello e di una notte illuminata dalla luce di Roger Deakins, metaforicamente, il cinema tracima dalla sala nella notte della cittadina.
E alla fine, anche Hilary abbraccia la magia della luce guardando significativamente come suo primo film l’ultimo di Peter Sellers attore, Oltre il giardino di Hal Ashby, in cui il personaggio Chance Giardiniere esce dalla sua casa dopo aver vissuto per un’intera vita all’interno di quattro mura. Allora, anche Hilary riesce a uscire dalla sua gabbia grazie alla magia della Settima arte.