Dal 16 novembre su Netflix è disponibile Il prodigio, ultimo film del regista cileno Sebastián Lelio. Un dramma, tratto dal romanzo di Emma Donoghue, sulla necessità di raccontare storie, tra fede e ragione. Con una bravissima Florence Pugh.
‘Il prodigio’: Trama
1862. Nell’Irlanda ancora piagata dalla grande carestia una bambina (Kíla Lord Cassidy) si rifiuta di mangiare. Dopo quattro mesi di digiuno senza apparente deperimento un’infermiera inglese (Florence Pugh) viene chiamata per sorvegliarla. L’undicenne Anna è solo un’impostora o è davvero la santa che famiglia e istituzioni vorrebbero fosse?
Una storia d’altri tempi
Guarda al passato, Il prodigio di Sebastián Lelio. Non tanto o non solo per l’ambientazione storica che lo caratterizza quanto piuttosto per la forma che decide di dare alla materia trattata. Una storia d’altri tempi, quella del regista premio Oscar per Una donna fantastica, così evocativa ed essenziale da necessitare di una cornice, quasi un disclaimer per un pubblico disabituato a narrazioni di questo tipo.
“Non siamo niente senza storie”, dice infatti la narratrice Niamh Algar, sfondando più di un volta la quarta parete. Un tema dichiarato, dunque, fin troppo esplicito, forse, quello sulla necessità di raccontare (e raccontarsi) storie, che nelle mani di Lelio ha però una chiara ragione d’essere. Perché sta proprio nel lento ma inesorabile svelamento del mistero al centro de Il prodigio (e nella sua prevedibilità) la forza di un film solo all’apparenza immediato e lineare. Un’opera che proprio sulle aspettative gioca per riservare, a sé e ai suoi protagonisti, la possibilità di ribaltarle e riscriverle.
Essere e apparire
È da sempre un cinema che indaga le apparenze, del resto, quello di Lelio. Un compendio di tutte quelle storie che ci si costruisce addosso e a cui – per fede, fanatismo ma anche desiderio di libertà – si decide di credere. Un mondo dove l’essere non coincide necessariamente con l’apparire e in cui si innesta alla perfezione il personaggio di Florence Pugh. La sua Elisabeth non è infatti solamente l’emblema della razionalità della scienza contro il bigottismo superstizioso della chiesa. Ma anche, e soprattutto, un personaggio tormentato che nasconde in sé un grande dolore. È l’Irlanda stessa, d’altronde, a essere un paese abitato da fantasmi. Un luogo, reso ancora più evocativo dalle atmosfere della direttrice della fotografia Ari Wegner, dove ognuno porta con sé un fardello di lutti e dolori spesso indicibili.
Credere al potere delle storie
Parte tutto da qui, dal non detto e da quello che gli si costruisce attorno, allora, Il prodigio. Un film che mette al suo centro non tanto il bigottismo o il fanatismo religioso ma il potere, positivo o negativo che sia, delle storie cui si decide di credere. Perché le storie possono uccidere ma anche guarire, sembra dirci il finale “laico” de Il prodigio. Un miracolo sui generis che pare guardare all’Ordet di Dreyer solo per poi negarne la portata metafisica. Consapevole che forse, oggi, le storie sono tutto ciò che ci rimane, tutto ciò in cui possiamo ancora credere e avere fede.