Ultimo tassello di un unico grande romanzo cinematografico, Astolfo trova nel quotidiano i motivi di un ottimismo capace di diventare poesia. Con Stefania Sandrelli musa ispiratrice e corpo perturbante di un universo romantico e fuori dal tempo. Di seguito la conversazione con Gianni Di Gregorio.
Distribuito da Lucky Red
Astolfo di Gianni Di Gregorio
Tutto il tuo cinema è raccontato come un unico lungo romanzo. Lo si vede anche nel rapporto tra il nuovo film e quello precedente. Se Lontano Lontano esplorava l’ipotesi di un cambiamento attraverso il viaggio in un luogo lontano da Roma Astolfo trasforma quell’idea in un fatto concreto raccontandocene le conseguenze.
Sì, mi sembra una giusta interpretazione perché poi il mio cinema è un flusso inconscio dello stesso racconto. In questo caso entra in gioco il rapporto con il reale e con l’età che avanza. Astolfo è stata la conseguenza di un periodo di ricerca coinciso con lo scoppio della pandemia. A quella ho risposto con una reazione allegra e felice, basata sull’idea che, nonostante le difficoltà, si può stare bene comunque. Mi sono stupito di me stesso perché non credevo di poter reagire con questa positività.
In questo flusso di coscienza ritornano temi a te cari. Astolfo riprende il discorso sentimentale già trattato in Gianni e le donne ma lo fa con una positività allora assente.
Hai ragione, con molta più positività, ma anche con coraggio perché mi sono reso conto che in precedenza era come se girassi intorno. In Gianni e le donne idealizzavo il mio grande amore verso le donne rasentando però una certa indeterminatezza. In Astolfo invece c’è una storia d’amore che all’inizio avevo paura di affrontare di petto, poi per fortuna sono riuscito a farlo. Ho avuto l’ardire di superare i miei fantasmi e sono contento di averlo fatto.
Lo spazio
I luoghi per te non sono mai uno sfondo tant’è che li fai diventare protagonisti della storia attraverso l’uso frequente di campi lunghi. Come Woody Allen, anche tu utilizzi il cinema per scrivere lettere d’amore dei luoghi in cui vivi.
Ti ringrazio del paragone perché Allen è un regista che amo tantissimo. È vero, i campi lunghi nel mio cinema diventano un po’ iconici e trasmettono significati.
La sensazione è che sia proprio l’osservazione di quei luoghi a stimolare la tua ispirazione. Senza di quelli non ci potrebbero essere i tuoi personaggi.
Sì, infatti in Astolfo è la scoperta di quel mondo a farmi venire in mente questi personaggi un po’ sconclusionati però assolutamente simpatici, di quelli che ci fanno così compagnia da diventare nostri amici. Pensare il mio cinema in questo modo mi piace perché lo fa sembrare la conseguenza di un moto naturale, frutto della mia curiosità verso gli altri. In realtà è un atteggiamento che mi appartiene. Io sono uno che si ferma per ore a parlare per la strada con le persone. Mi piace scoprire la vita degli altri e questa è una cosa che mi ha sempre fatto conoscere tanta gente, regalandomi un ritorno d’amicizia e di affetti inaspettato. Quando ero giovane mi preoccupavo del mio carattere. Pensavo di non arrivare da nessuna parte per via della mia mitezza, invece mi sono reso conto del contrario perché le persone rispondono al mio modo di essere avvicinandomi e cercandomi.
I personaggi di Astolfo di Gianni Di Gregorio
Nei tuoi film l’attenzione verso gli altri si traduce in una verità che sembra appartenere a un mondo arcaico in via d’estinzione. Per schiettezza e vitalità i compagni di viaggio del protagonista hanno echi pasoliniani. Quando Astolfo e i suoi nuovi amici si ritrovano attorno alla tavola non ho potuto non pensare a figure come quella di Ninetto Davoli.
Sì, come no, è vero. Ho amato molto quel Pasolini lì. Nel film ci sono echi del suo modo di stare e direi sullo stare proprio insieme.
Senza sovrastrutture ma con tutta l’umanità del mondo.
Sì, lo si vede nelle scene delle lunghe partite a carte. In quel momento emerge tutta la dimensione della loro felicità.
Perché sono liberi e fuori dagli schemi: vivono in questa casa che è un po’ una sorta di comune.
Certo (ride, ndr), dove c’è libertà, tolleranza e una condivisione materiale che diventa spirituale. Hai ragione!
La casa assume anche valenze simboliche perché il muro che separa l’abitazione di Astolfo da quella del prete mette in risalto gli antipodi su cui è costruito il film. Da una parte c’è lo spazio della libertà, dall’altra quello della manipolazione. È evidente da quale parte stai.
Sì, è vero. Lì, in maniera bonaria, mi è venuta voglia di giocare con quel tipo di potere da cui ognuno cerca di difendersi per come riesce. Sia il prete che il sindaco sono personaggi un po’ esagerati però questo mi serviva per ricordare che poi c’è sempre un qualcosa che ti viene imposto e con cui devi fare i conti.
Racconti anche le contraddizioni di una religiosità, quella ufficiale, che non riesce a farsi “carne”. Il muro restituisce un’immagine lontana da qualsiasi tipo di condivisione. Astolfo è l’unico capace di mettere in pratica la cosiddetta agape cristiana.
È vero, quel muro rimanda a un discorso più ampio in cui c’è molto di quello che hai detto.
Il quotidiano di Astolfo di Gianni Di Gregorio
Nella composizione delle scene dai vita a una sorta di poetica del quotidiano che nel cinema italiano, e non solo, è un po’ dimenticata. Penso alla scena casalinga in cui il tuo personaggio si ritrova a leggere un testo seduto in cucina. Accanto a lui, sul tavolo spoglio, c’è una bottiglia di vino iniziata e un bicchiere mezzo vuoto. Dello stesso tenore sono certi campi lunghi iniziali dove ti si vede con le buste della spesa in mano. In Astolfo ridai dignità a quel quotidiano destinato il più delle volte a rimanere fuori campo.
Ti ringrazio molto. Io ci credo a questa poetica del quotidiano, nel senso che nell’affrontare un personaggio che, hai ragione nel definire parte integrante di un unico grande racconto, ci sia la possibilità di dare spazio ai gesti quotidiani e al tempo che passa. Sento che quelli sono passaggi necessari: le buste della spesa rappresentano la parte più autentica della nostra vita, quella che preferisco rispetto al sensazionalismo di certi eventi. Questi ultimi nel cinema sono necessari, ma il fatto di essere minimali permette di giocare meglio con i sentimenti. Ecco, io preferisco indagare le piccole cose rispetto a quelle grandi.
Non a caso rispetto all’antenato capace di conquistare un feudo, Astolfo si accontenta di mettere a segno una conquista sentimentale.
È così. La conquista sentimentale per lui rappresenta una rinascita. Anche se ha paura di buttarcisi, questa volta dimostra di avere quel coraggio e quella pazzia che gli impediscono di desistere. Lui teme quell’esperienza perché sta vivendo un momento in cui iniziava a stare bene. Alla sua età ti possono venire mille insicurezze. A un certo punto lui dice di non essere in grado di sostenere una situazione del genere, però, alla fine, la sua temerarietà gli consente di non tirarsi indietro.
Spazio e tempo
Tornando all’immagine precedente, in quella della bottiglia e del bicchiere mezzo vuoto c’è un senso del tempo e, nello specifico, una sospensione dello stesso che ti e ci porta a riconsiderarlo accrescendo il valore del singolo istante.
Mi ritrovo nelle tue parole. Tante volte si fanno delle cose di cui ti rendi conto solo dopo averne parlato con i critici. Nella scena in questione la sospensione temporale esiste. Il bicchiere per me è un leitmotiv, però anche il tempo, la solitudine e la ricerca di una compagnia, di un sostegno, sono tutte tematiche che mi piacciono molto. Le trovo una parte importante del racconto.
Rimane il fatto che nessuno mette in scena quella bottiglia come fai tu.
Probabilmente hai ragione. Tutto nasce dal chiedermi come sarei io in casa mia. La risposta è quella bottiglia con il bicchiere riempito a metà che, nel loro insieme, sono segni del tempo, di una vita, di pomeriggi vissuti fino in fondo. Hai colto una cosa importante, grazie.
Elementi nascosti
L’uso costante dei campi lunghi ti permette di raccontare il rapporto del protagonista con il resto dell’ambiente facendo emergere aspetti della personalità dal suo modo di camminare. Nella prima parte del film ti vediamo spesso fare delle scale oppure camminare in salita. Al contrario, dopo aver conosciuto Stefania, la tendenza si inverte con l’apparire di percorsi sempre meno erti e addirittura in discesa.
Sì, è vero. Esiste questo rapporto tra la dimensione esterna del personaggio e il suo stato d’animo. A un certo punto non c’è solo una discesa, ma anche un’apertura del paesaggio, quando lui va in montagna e davanti a noi appare una natura incantevole e sterminata. Trevi, il paese dove abbiamo girato, è fatto tutto di scale. Non ci può salire nessun mezzo tanto che usano ancora gli asini per trasportare le cose. Mi piaceva far capire questa fatica, quanto fosse arduo arrivare a quel negozietto. Poi, dopo aver conosciuto Stefania, per lui inizia un percorso in discesa e lui inizia ad andare in campagna.
A quel punto la realtà diventa edenica, paradisiaca. In quello ti diverti a giocare con i contrasti: penso al campo lungo in cui vediamo Astolfo intento a scrivere a Stefania per chiederle un appuntamento. La cosa buffa è che lo fa con un cellulare in un contesto bucolico che rimanda a un romanticismo da penna e calamaio.
È vero, in quel contesto il cellulare appare come un oggetto desueto, fuori posto perché uno si aspetta di vedere un foglio bianco e una penna (ride, ndr). Il posto dove abbiamo girato è veramente magico, accanto alle mura ciclopiche del castello alla sommità del paese. Vedendolo mi è venuta in mente l’inquadratura in cui lui trova il coraggio di mandare il messaggino con il cellulare. Sono effettivamente due mondi opposti tant’è che lui fa una fatica immensa a mandarlo. In quella sequenza ci tenevo a sottolineare anche questo mondo arcaico, con le mura del quarto secolo avanti Cristo.
Riferimenti per l’Astolfo di Gianni Di Gregorio
A un certo punto c’è una scena in cui citi il romanzo di Ludovico Ariosto, Astolfo sulla luna. In quello il protagonista vi andava per recuperare i beni che l’uomo aveva perduto, soprattutto quelli morali. In questo senso l’immagine del “tuo” Astolfo al chiaro di luna è un po’ una sintesi del personaggio attraverso il quale metti in scena un modo di vivere più umano, fatto di bene, condivisione e amore.
Ti ringrazio, questo passaggio è molto bello, per cui non aggiungo nulla di più.
Sempre continuando con i riferimenti, quello dell’amico con la spider rossa rimanda per contesto e similitudine dei caratteri a Il sorpasso: tu al posto di Trintignant e l’altro in quello di Gassman.
Il sorpasso è un altro film che ho amato tantissimo. A ispirami in questo caso è stato il film di Risi, ma anche un mio amico coetaneo che era stato a lavorare in Svizzera. Rimasto vedovo è tornato nel suo paesino e ha iniziato a fare la vita del diciottenne. Lui non è un dongiovanni ma un uomo innamorato di tutte le donne. Pensa che io gli telefono anche solo per divertirmi ad ascoltare le sue avventure. Lui mi dice sempre: “questa volta mi sono rovinato perché mi sono innamorato per davvero”. Lui ci crede veramente e questa cosa: magari dura un anno e poi ricomincia con un’altra. Questo aspetto di lui mi fa simpatia e anche un po’ di invidia (ride, ndr). Perciò ci tenevo a metterlo nel film.
Stefania Sandrelli
A proposito di riferimenti al grande cinema italiano mi sembra che anche la presenza di Stefania Sandrelli vada in quella direzione. Inoltre mi sembra che lei si addica alle modalità del tuo cinema, a questa tua poetica che anche nella recitazione procede all’insegna di un understatement, in cui tutto accade e nulla è enfatizzato.
Che bello! Sì sì! Con Stefania è stato un incontro bellissimo. Per me era un mito e poi mentre scrivevamo il film io pensavo proprio a lei, pur chiedendomi se avrebbe accettato di farlo. Comunque hai ragione tu, è una scelta estetica e anche cinefila. Ti posso dire che Stefania si è divertita tantissimo a girarlo.
Peraltro la Sandrelli è ancora una bellissima donna.
Bellissima e con un carisma, un’empatia e un’affettuosità che non conoscevo. Peraltro io non l’avevo mai incontrata prima del film.
Posso chiederti come lavora e che tipo di attrice è?
Trovo sia molto istintiva: è proprio un’attrice vera, ma anche dotata di grande naturalezza. Questo le ha permesso di entrare nel film con la naturalezza e la sottrazione necessaria a farla integrare col resto del paesaggio. Il personaggio lo ha costruito con la semplicità e la naturalezza che ricercavamo. Lei sullo schermo è potentissima. Le basta un sorriso per catalizzare l’attenzione. Sul set è stata disponibilissima. Si è anche molto divertita avendo capito quanto tutti l’amavamo.
Ad accompagnarti in questa avventura sono stati due campioni del calibro di Marco Spoletini e Maurizio Calvesi. Il primo è riuscito a restituire la poetica minimale interna alla storia senza far perdere ritmo al film, il secondo a creare quel bilanciamento tra realtà e sogno che è un’altra caratteristica del film.
Riferendomi al lavoro di Spoletini, bisogna sottolineare che la storia si svolgeva spesso all’interno della casa e dunque nello stesso ambiente. Dunque hai ragione sul fatto che lì il ritmo era essenziale per non far arenare la vicenda. Già in fase di scrittura cercavo di dargli un certo passo per evitare una certa staticità. Mi domandavo se era il caso che i personaggi giocassero sempre a carte. Dovendo essere così abbiamo cercato di trovare il ritmo altrove, per esempio, nei dialoghi e nell’interazione tra i personaggi. In questo Spoletini è stato importantissimo. Maurizio Calvesi è un maestro della fotografia. Quella del mio film è riuscita a renderla reale e allo stesso tempo sognante. Sono stato fortunato ad averli entrambi accanto a me.