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Festival di Roma : Incontro con Stephen Frears

My Beautiful Laundrette, Judy Dench e il cinema in America: alla Masterclass di Roma il regista inglese è un libro aperto.

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Festival di Roma: Incontro con Stephen Frears

Alla Festa del cinema di Roma il regista inglese, in occasione della presentazione di The Lost King, ha partecipato a una Masterclass in cui ha parlato del suo cinema.

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incontro con Stephen Frears

Festival di Roma: Incontro con Stephen Frears

L’incontro con Stephen Frears inizia con My beautiful laundrette – Lavanderia a gettoni con cui nel 1985 ottenne grande successo.
Frears, attento e disponibile alle domande della Masterclass, racconta di aver ricevuto una telefonata in cui il famoso Channel Four gli chiese di leggere una sceneggiatura scritta da Hanif Kureishi.
«Non conoscevo lo sceneggiatore, ho detto che l’avrei letta, per me era semplice e bellissima. Ho risposto di sì. Ho detto dobbiamo farla, e dobbiamo farla ora! E per miracolo abbiamo girato il film. È costato 500 mila sterline. Costò molto poco».
Stephen Frears, prosegue raccontando del set di Laundrette, un semplice negozio di verdura svuotato e trasformato in una lavanderia.
Il film venne fatto con innocenza. Girato con un piccolo budget, ottenne un inaspettato successo. Il compositore della colonna sonora era un allora sconosciuto Hans Zimmer, oggi tra i più famosi, se non il più famoso. Per gli attori invece aveva una lista di quattro nomi, tra cui Gary Oldman. Alla fine scelse Daniel Day-Lewis e scherza : «Avete capito quanto sono serio?

Ironico e interessato, Frears parla della “trilogia thatcheriana”. Ridendo, chiede perchè parlare di un argomento così triste come la Thatcher.
«Noi in Gran Bretagna abbiamo avuto primi ministri pessimi ma la Thatcher era molto potente. Non volevo parlare di lei ma alla fine mi sono reso conto di averlo fatto.
Parlare di omosessualità e di donne [nei film ndr] era un modo per andare contro il governo».
Su questo spunto viene chiesto :«Dicono che la rinascita del cinema inglese fu determinata dalla Thatcher perché i registi ce l’avevano con lei. Secondo lei era così
«Sì. Ma bisogna essere corretti dicendo che il sistema che ha prodotto questi film era stato idealizzato da lei. Diciamo che siamo diventati piccoli imprenditori perché lei voleva piccoli imprenditori
«Come mai oggi non ci sono molti autori nel cinema inglese?»
«Abbiamo bisogno della Thatcher! [Ride] Bisogna chiederlo ai giovani inglesi»

Prima di diventare regista, Stephen Frears è stato assistente di Lindsey Anderson e Carol Reed. Due uomini per lui straordinari da cui ha potuto trarre una mentalità indipendente e un po’ di opposizioni. Due registi che provenivano dal Neorealismo italiano, da Visconti e Vittorio De Sica, con cui sente un profondo legame come con il cinema classico e quello europeo.

incontro con Stephen Frears

Incontro con Stephen Frears: Le relazioni pericolose, Forman e le donne

Nel 1998 il regista dirige Le relazioni pericolose; curiosamente nello stesso anno Miloš Forman realizzava Valmont.
Per il film venne contattato dallo sceneggiatore Christopher Hampton, con cui aveva già lavorato e che conosceva da molto tempo. Hampton considerava Frears il miglior regista inglese.
«Cercavano un regista per quel film e lui diceva che ero il migliore inglese. Io non mi sentivo il migliore. Tutti avevano paura di Miloš. Io no. Io lo amavo Miloš».

Alla fine degli anni ’90, ad Hollywood tutti diedero peso al successo del film di Frears rispetto a quello di Forman. Un successo consacrato anche con tre Oscar.
Ma mentre Hollywood sottolineava una sfida tra Valmont e Le relazioni pericolose, Frears, ancora oggi, si dice dispiaciuto per tali affermazioni in quanto non si è mai sentito in gara con Forman che per lui è un grande regista.
Ne Le relazioni pericolose dirige una magnifica Glenn Close, affiancata da Michelle Pffeifer e Angelica Houston, che ritroverà in The Grifters con Annette Benning. Frears afferma che tante donne hanno dato il titolo ai suoi film perché per lui le donne sono esseri fantastici e forti. «Conosco solo donne forti. Ho passato la vita torturato da donne forti. Bisognerebbe fare una domanda a uno psicanalista.» e continuando «Ho anche fatto tanti film con la Dench perché è una grande, è una vera gioia».
In seguito è uscito Eroe per caso con Dustin Hoffman e Geena Davis e Rischiose abitudini per Scorsese. In questo modo Frears riflette su come Hollywood sia un luogo interessante e complicato. Lo stesso sistema affidato agli studi di produzione è un’esperienza molto diversa, che definisce simile a girare un film in un circo. «È un’esperienza molto pubblica e il prezzo è molto alto. Lì ho sbattuto contro un muro. Con Eroe per caso [amatissimo in Italia ndr] è andata così
Dopo l’esperienza americana è subito tornato a casa. «Mi dicono che sono l’unico ad essere sopravvissuto a Hollywood».

Stephen Frears festa del cinema di Roma

The Lost King

Il film presentato a Roma è tratto da una storia vera ambientata a Lester, dove Frears è nato. Un luogo noioso nel dopoguerra, ma cambiato successivamente. Anche in questo caso ha ricevuto la sceneggiatura e dopo averla ritenuta interessante ha deciso di fare il film.
É la storia della donna, interpretata da Sally Hawkins, che si è recata in un parcheggio dove vi era trascritta una R che stava a significare Re e non Riservato, come tutti credevano. E lì ha trovato le ossa del re, di Riccardo III. «Al contrario di ciò che tutti credono e dicono – prosegue il regista – Riccardo III era cattivo solo perché Shakespeare lo ha descritto così e probabilmente non era neanche gobbo ma solo ammalato di scoliosi». E, ridendo, dice: « Naturalmente Shakespeare è il massimo del massimo. Se te la vuoi prendere con qualcuno prenditela con uno grosso».

incontro con stephen frears

Incontro con Stephen Frears: la fase irlandese e Nick Hornby

Dopo l’esperienza con l’America, Frears nel 1993 realizza The Snapper, tratto dall’omonimo libro di Roddy Doyle, scrittore di cui il regista tesse le lodi. L’Irlanda, allora, era un stato teocratico gestito dalla chiesa. Il film è una metafora su questa divisione tra stato e chiesa. Argomenti quindi reali, che la sua regia ha affrontato spesso come commedia.
Si passa ad Alta fedeltà , trasposizione del romanzo di Nick Hornby, che ha avuto il merito di lanciare la carriera di Jack Black. Un successo ottenuto nonostante aver trasferito l’ambientazione a Chicago e in cui ha diretto un nervosissimo Bruce Springsteen. «Il mio compito era calmarlo!».

«Non capisco i soggetti. Sono come un bambino. Capisco solo le sceneggiature. Voglio solo quello che posso girare.»

Spiegando di voler solo leggere sceneggiature, Frears si lascia andare al rapporto tra scrittura e regia. Per il regista è fondamentale che un film sia continuamente scritto anche durante le fasi di registrazione. Nel girare Philomena ad esempio, dopo la prima lettura, ha contattato Steve Coogan (attore e sceneggiatore del film) invitandolo a riscriverlo. Dopo due o tre riscritture, nel film ha notato un errore che ha chiesto di correggere. La sceneggiatura di un film non è mai chiusa neanche in fase di montaggio.
Per Philomena ha capito solo dopo diverso tempo che era un film sul perdono.
incontro con Stephen Frears

Incontro con Stephen Frears : le ultime domande

L’incontro si è chiuso con tre domande.

«Come si rende conto che un film è finito e completo?»
«Ottima domanda. Ci si ferma. Quando pensi non ho altro da dire. Devi sapere come fermati. Ci sono persone che in sala di montaggio distruggono. Io in genere lavoro con montatori molto bravi.  Devi sapere quando fermarti
«Qual è il suo approccio con gli attori?»
«Allora mi impegno molto nella scelta. Ho un direttore del casting di cui mi fido. Cerco di chiedermi se è quello/a giusto/a. Voglio che si presentino il primo giorno e siano bravi. Devono essere attori che sono nel film. E poi prendo tempo a guardare quello che fanno.
La Deneuve lo disse anche di Truffault. Guardava quello che facevano. Gli attori sono quello che sono. »
«Ha fatto un film sulla Regina.»
Era l’unica persona nella famiglia reale di un minimo interesse.
Era come mia mamma. Seria.
Non ha fatto quasi niente ma ha consentito di proiettare su lei quello che volevano.
A Morgan avevano chiesto di scrivere un film sull’incidente di Diana nel tunnel e lui ha risposto che, non era interessante ma era interessante quello che aveva passato la Regina in quella settimana».
stephen frears

 

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