Dopo la vittoria nella sezione Orizzonti alla 73° Mostra di Venezia del 2016 col documentario Liberami, la regista Federica Di Giacomo è tornata sul Lido alla alla scorsa edizione per presentare nelle Giornate degli Autori il suo nuovo film,Il palazzo- Unfinished, un’opera sperimentale che accosta materiale d’archivio a riprese inedite e propone così una riflessione fra il passato e il presente, le aspirazioni giovanili e le disillusioni e le amarezze del presente.
Vent’anni fa uno stabile d’epoca nel centro di Roma- la cupola di San Pietro sullo sfondo-, viene trasformato da un gruppo di giovani amici in un set cinematografico permanente, dove ognuno di loro viene ripreso e partecipa a un film in continua evoluzione, che sembra non concludersi mai ma al contrario protrarsi senza fine.
Demiurgo dell’opera è Mauro Fagioli che, col passare del tempo, si chiude nel palazzo evitando ogni contatto con l’esterno prima di spegnersi prematuramente. La sua scomparsa riunirà, due decenni dopo i protagonisti di quel film mai finito, i quali si troveranno eredi di quell’opera incompiuta, testimonianza di un passato che si riverbera sul loro presente.
Alternando il materiale d’archivio girato negli anni da Fagioli a riprese inedite della regista, il film passa senza soluzione di continuità da un passato perduto ma al contempo impresso sulla pellicola- e quindi vivo e ancora capace di parlare-, a un presente che mostra con quella stessa freschezza e autenticità i medesimi personaggi ormai cambiati e allontanatisi gli uni dagli altri, gravati dal lascito di un’opera girata in un ventennio eppure rimasta incompleta.
Intanto, anche il palazzo si è trasformato: non più set dove si gira un film senza fine, ma per alcuni rifugio- come già lo era stato per Fagioli durante la malattia-, dove perseguire la propria ispirazione artistica; per altri invece luogo ormai lontano, confinato in un tempo e in una stagione della vita dalla quale si sentono distaccati.
Quando tutti si trovano sulla terrazza- sia chi è rimasto ad abitarvi sia chi se n’è allontanato-, affiorano non solo le memorie della giovinezza, ma anche le delusioni di un presente che non si è rivelato, per le irresolutezze dei singoli o per le difficoltà che hanno impedito loro di realizzare le proprie aspirazioni, quello immaginato e auspicato nella giovinezza.
Il palazzo acquisisce dunque il ruolo di vero protagonista, fil rouge fra il passato e il presente, testimone dei mutamenti dei singoli, e al contempo pietra di paragone che colloca ognuno dinanzi all’esito delle sue scelte, come uno specchio che rimanda l’immagine veritiera di quanto sono oggi gli amici di un tempo, i quali- nonostante la maturità ormai raggiunta-, seguitano a condurre un’esistenza priva di consapevolezza di sé, segnata dall’incertezza e dalla precarietà non solo economica ma più profondamente esistenziale.
L’altro protagonista, presente soltanto nelle immagini di repertorio ma che funge da fondamentale trait-d’union fra il palazzo e i personaggi e fra questi ultimi nel loro rapporto-, è lo stesso Fagioli, che di quel palazzo aveva fatto non solo la propria abitazione ma una sorta di bottega rinascimentale dove ognuno, pur sotto alla sua direzione, era coinvolto in un progetto artistico collettivo, del quale costituiva una parte integrante e infine, negli anni della malattia, la propria torre d’avorio.
Forte di un linguaggio sperimentale che si distacca volutamente da quello del cinema narrativo, il film si arricchisce di molteplice letture proprio nella scelta consapevole dell’incompiutezza (come dichiara in modo esplicito il sottotitolo): in quest’accezione, il “non finito”, lascia allo spettatore la libertà di formulare da sé un’autonoma lettura dell’opera, che viceversa un finale chiuso impedirebbe.
Sul tema dell’incompiutezza di un’opera, del “non finito”, non sarà azzardato ricordare come proprio quell’espressione racchiusa fra le virgolette sia stata e sia tuttora riferita a una delle ultime opere di Michelangelo, quella Pietà Rondanini custodita al Castello Sforzesco, più volte rielaborata dall’artista ormai quasi ottantenne che, se osservata da un preciso punto di vista, offre una possibile chiave di lettura.
Tuttavia, proprio la scelta compiuta da Michelangelodi fondere in un abbraccio le due figure del gruppo scultoreo, e di lasciare alcune parti incompiute, rilancia all’osservatore la libertà di trarre diverse e molteplici interpretazioni della stessa.
Un ulteriore elemento che accresce di complessità l’opera riguarda la dicotomia fra la “comunicazione”, intesa come forma di discorso volta alla massima brevità e uniformità col linguaggio corrente; e l’”espressione”, intensa invece quale enunciato che racchiude e si fa portatore di un preciso stile e poetica del soggetto dell’enunciazione, secondo la distinzione proposta da Pasolininelle Nuove questioni linguistiche, pubblicate sessant’anni fa e forse più attuali oggi d’allora.
Nello specifico del film, la “malattia” di esprimersi, così chiamata da uno dei personaggi, riguarda più nel dettaglio quella sorta di costrizione imposta dalla cultura contemporanea a dar voce soltanto alla parte considerata migliore di sé, o comunque per gli altri più interessante e attrattiva, per essere accettati e apprezzati.
Le proprie debolezze e fragilità, in una parola l’intimità dell’individuo, vanno al contrario taciute, pena l’emarginazione dal contesto culturale, sociale ed economico nel quale viviamo.
Ma grazie a quella spontaneità e freschezza di cui si diceva all’inizio, il film riesce a mostrare i sentimenti più riposti dei diversi personaggi, quasi rendendoli palpabili, nel loro confronto fra di loro, in quello col passare del tempo e con la morte di un amico; e- più importante di tutti-, in quello con se stessi, con quello che sono e sono stati.
Trama
Nel cuore di Roma, con vista San Pietro, si erge un Palazzo. Il proprietario, come un mecenate rinascimentale, negli anni offre asilo ad una eclettica comunità di amici che ne trasforma ogni angolo in un set cinematografico permanente. Mauro, il più carismatico del gruppo, dirige i condomini in un film visionario, isolandosi progressivamente dal mondo esterno fino a non uscire più dal Palazzo. Nel momento della sua morte prematura, il gruppo di amici si ritrova, chiamato a ricevere in eredità le migliaia di ore filmate del capolavoro incompiuto a cui tutti hanno preso parte. Un lascito che scuote lo spirito assopito del gruppo e mette ciascuno a confronto con i propri sogni giovanili, in un tragicomico romanzo di formazione fuori tempo massimo.
Con Mauro Fagioli, Rocco Purvetti, Alessandra Tosetto, Andrea Zvetkov Sanguigni, Francesca Duscià, Simone Vricella, Tiziana Della Rocca, Osvaldo Kreinz, Virginia Zullo.
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