Nella sezione Cannes Acid del Festival di Cannes 75, si è fatto notare un film molto intimo e spirituale intitolato Magdala.
Diretto dal giovane e sensibile regista Damien Manivel, il film è appena uscito in qualche sala in territorio francese.
Magdala – la trama
“Marie de Magdala était la disciple la plus proche de Jesus.
Après la crucifixion, elle fut chassée hors du pais.
La légende raconte qu’avant perdu sa terre et son bien-aimé,
elle se rétira dans une foret pour démeurer a tout jamais seule.
Ce film est une reverie sur les dernièrs jours de sa vie.”
La Maddalena ha scelto la via del ritiro, e la troviamo sola in mezzo a una rigogliosa boscaglia, anziana e appesantita dagli anni, vestita di un semplice saio un po’ liso, mentre si muove lentamente, come una vecchia testuggine che non ha fretta, ma coglie ogni occasione per contemplare, nel ricordo o nelle manifestazioni naturali che la circondano, la potenza di quel Messia di cui ha avuto l’onore di essere discepola prediletta.
Magdala – la recensione
Il giovane talentuoso Daniel Manivel ama le sfide e non si preoccupa di piacere a tutti i costi o di costituirsi un seguito lucroso di proseliti.
Forte di questo suo coraggioso ed orgoglioso intento cinefilo, dirige opere sperimentali che definire ardite costituisce ancora poca cosa.
L’autore di A young poet (2014), premiato a Locarno 2014 con la Menzione Speciale Cineasti del presente, e noto ai cinefili anche per il tenerissimo Takara – La notte che ho nuotato (2017, co-diretto con Igarashi Kohei in una coproduzione franco-giapponese), si sofferma sulla figura un po’ misteriosa, un po’ sempre sul filo dell’eresia, di Maria di Magdala, nel periodo successivo al calvario del Cristo.
Per rappresentare la lenta figura in movimento entro una selva che pare un gigantesco grembo accogliente, per quanto inevitabilmente misterioso, Manivel ha scelto una ex ballerina e coreografa conosciuta come Elsa Wolliaston, che si muove come seguendo una coreografia del corpo e dell’espressione, elevando alla sacralità ogni movimento altrimenti abituale e frutto del semplice incedere verso un terreno amico, ma sconosciuto.
Il cinema di Manivel – lo ha già dimostrato filmando gesti quotidiani e l’innocenza dell’infanzia – si arma di solennità e di capacità di cogliere il tocco poetico nel semplice gesto quotidiano.
La scelta come protagonista assoluta e praticamente muta dell’artista sopra citata, che rende lirico anche il semplice atto di abbeverarsi lentissimo facendo colare la goccia di rugiada dalle foglie che la sovrastano, trasforma il film senza una vera trama, in una liturgia di preparazione a un viaggio definitivo e santificante, che la prescelta del Messia ha inteso percorrere da sola, nella solennità e nella sacralità di un contesto naturale assai consono al percorso di raggiungimento della meta finale.
Ne scaturisce una vera e propria esperienza mistica e quasi sensoriale, che coinvolge lo spettatore lungo un viaggio in cui tempo e spazio si fondono, per raggiungere una perfezione che solo attraverso l’armonia della natura padrona e madre, di cui egli riesce a percepire la potenza e l’esclusività.