Blade Runnercompie 40 anni ma continua ad influenzare il mondo del cinema. Il film, diretto nel 1982 da Ridley Scott (Il Gladiatore,Sopravvissuto – The Martian, Alien) è universalmente riconosciuto come l’opera di genere science-fiction più importante del XX secolo.
La pellicola ha avuto un enorme impatto sulla società e sull’immaginario collettivo per la sua rappresentazione futuristica di un mondo distopico post-apocalittico.
La genialità di Scott, che lavorò con il “futurista visivo” Syd Mead, aveva previsto molto di quello che la società di oggi ci mostra e questo lo rende una pellicola sempre attuale.
Blade Runner 40 anni trama e visione distopica
Ambientato a Los Angeles, nel 2019, Rick Deckard (Harrison Ford) ha il compito di uccidere quattro replicanti, androidi fuggiti da una colonia fuori dal mondo. La sua indagine lo porta in contatto con il dottor Eldon Tyrell (Joe Turkel) e la sua assistente, Rachael (Sean Young), un replicante con ricordi umani. Mentre Deckard affronta il fuggitivo principale, Roy Batty (Rutger Hauer), arriva a capire che la linea tra umano e non umano non è chiara.
Blade Runner è uno di quei film della fine degli anni ’70 e dei primi anni ’80 che hanno re-immaginato come dovrebbe apparire un mondo di fantascienza.
Già con AlienScott aveva portato con la nave NOSTROMO un’estetica industriale del futuro. I pod di sospensione ad alta tecnologia, il computer della nave (associati all’azienda), i claustrofobici alloggi pieni (associati all’equipaggio della classe operaia). Realizzato nel 1979, anche Alien è una visione avvincente di un futuro in cui gli interessi commerciali dettano il modo in cui viaggiamo verso le stelle.
Ma, mentre Alien si svolge principalmente nel mondo autonomo del Nostromo, Blade Runner allarga la visione di Scott e realizza un’intera città con elementi art deco e da film noir che giocano a fianco di schermi video giganti e uno strato sociale multiculturale ma alienante.
Tra smog e pioggia malsana (provocata da un chiaro disastro ambientale) ci ritroviamo ina dimensione urbana fortemente attuale.
In questo paesaggio degradato anche gli interni sono simbolici, specchio dell’isolamento degli individui l’uno dall’altro e dalla società. Tyrell, la cui fortuna si basa sul lavoro replicante, risiede in un attico pieno di aquile dorate e busti classici, suggestivo di un imperatore romano nella sua decadenza. J.F. Sebastian (William Sanderson), vive in un condominio deserto che si sta sgretolando dall’umidità. Ma è l’appartamento di Deckard che è il luogo più importante e pensato del film.
Solitudine e Ambienti
Deckard deve chiedersi cosa sta facendo e qual è davvero la differenza essenziale tra lui e loro? E, se non c’è una vera differenza. lui chi è? Philip Dick.
Appena illuminato dalle lampade e dagli schermi, Deckard vive in un habitat che oscilla tra vecchio e nuovo. Monitor, fotocamere e DISPOSITIVI digitali allegati. Ambiente fatiscente ma circondato da una nota tecnologica predominante.
Sembra quasi di muoverci nelle nostre case con schermi onnipresenti in ogni scena. Dall’ufficio del capo della polizia Bryant (M. Emmet Walsh) a ogni stanza della casa di Deckard, non manca mai un Monitor a riflettere immagini e rumori che possano distrarre dalla mancanza di contatto umano reale.
Ugualmente simbolico e il fatto che, accanto all’accumulo di tecnologia, il mondo di Deckard è popolato anche dal Passato e dal suo valore.
Libri, vecchie fotografie, un pianoforte antico, Memoria. Un aspetto questo, caro all’ideologia espressa da Philip K. Dick, il cui romanzo di origine Do Androids Dream of Electric Sheep? è stato radicalmente cambiato per l’adattamento cinematografico.
Gli eroi futuristici di Dick sono attratti da anacronismi come dischi, libri tascabili e ceramiche. Il personaggio di Deckard riflette anche il senso di colpa di un mondo destinato all’estinzione di animali da allevamento (è ossessionato dall’idea di avere una pecora elettrica) suscitando un perenne senso di nostalgia con personaggi continuamente immersi in un inconsolabile spleen esistenziale.
La tecnologia è sì dominante in Blade Runner, ma c’è dunque un’ uguale e potente spinta verso il vecchio e la conservazione dell’umanità.
Ho visto cose che…
Uno dei momenti più celebri, importanti e ricordati della pellicola è sicuramente il monologo (non presente nel romanzo originale) pronunciato dal replicante Roy Batty (interpretato dall’attore Rutger Hauer) prima di morire sotto una pioggia battente.
I’ve seen things you people wouldn’t believe, attack ships on fire off the shoulder of Orion, I watched c-beams glitter in the dark near the Tannhäuser Gate. All those moments will be lost in time, like tears in rain. Time to die.
Il testo del monologo fa sicuramente riferimento al Passato da replicante di Roy, al tempo in cui ha militato nei corpi speciali extramondo. La pellicola non fa comunque alcun riferimento temporale a fatti che ci aiutino a comprendere cosa possano essere i raggi B o le porte di Tannhäuser”, lasciando tutto alla fantasia e alla libera interpretazione degli spettatori. Per quanto riguarda i bastioni di Orione, in inglese c’è un riferimento più chiaro. Il testo in lingua originale recita “the shoulder of Orion” (letteralmente “la spalla di Orione”).
Il replicante sembra rammaricarsi per il fatto che le memorie di ciò che ha visto, quelle cose che gli umani non potranno mai vedere, svaniranno con lui. E con lui, con il suo essere artificiale, svanirà anche quel che resta del suo lato umano che ha fatto parte brevemente della sua vita.
I sogni, la memoria e la realtà sono dunque parte imprescindibile di un film che rimane una delle visioni più potenti del cinema.
Blade Runner 40 Anni: il Film usciva il 25 Giugno in America.
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