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In Sala

‘I tuttofare’ di Neus Ballús, guardarsi senza capire un tubo

Tra disavventure picaresche e realismo documentario, il terzo film dell'autrice catalana è una riuscita commedia su come riparare gli sguardi

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È questione di tandem: anche quando non funzionano.  I tuttofare (Sis dies corrents) della regista catalana Neus Ballús, al cinema dal 9 giugno grazie ad Academy Two, aveva visto assegnarsi il Pardo d’Oro a Locarno 2021 per la Migliore interpretazione maschile. Non ad un singolo attore protagonista, bensì alla coppia degli interpreti principali: Mohamed Mellali e Valero Escolar. Nel film, rispettivamente, Mohamed e Valero – omonimia rivelatrice del metodo della cineasta di Barcellona, che ama lavorare con attori non professionisti. Ne I tuttofare, i due, idraulici ed elettricisti specialisti di ogni riparazione, tutto fanno tranne che assortirsi. Moha, marocchino, è in prova per sostituire il terzo uomo, il pre-pensionato Pep (Pep Sarrà); il partner Valero diffida, straparla, boicotta.

Da lunedì a sabato, in sei set diversi, se ne seguono le colorite incomprensioni, tra disavventure saporite, umanissime oscillazioni d’umore e siparietti surreali. Con un problema di fondo: quando si a che fare con gli altri, si tende a non capirne un tubo. Anche da idraulici. Sperimentale, audace, verace: un riuscito ibrido tra commedia e documentario su come riparare gli sguardi.

Il trailer

 

La trama

Una settimana nella vita di Moha, Valero e Pep, lavoratori in una piccola azienda di riparazioni alla periferia di Barcellona: sono loro che entrano in casa tua e aggiustano ciò che è rotto. Moha, il più giovane, è in prova per una settimana. È timido ma si comporta sorprendentemente bene con i clienti e dovrebbe sostituire Pep che sta per andare in pensione. Ma Valero non è affatto a suo agio con il ritiro di Pep, dubita che Moha possa prendere il suo posto e pensa che i clienti non accetteranno facilmente un lavoratore marocchino. Forse sei giorni non bastano per far cambiare qualcuno e per fargli superare i pregiudizi. Forse è troppo poco tempo per costruire un’amicizia. Ma forse è un tempo sufficiente per scoprire che dobbiamo imparare a vivere insieme: un piccolo passo per un idraulico ma un grande passo per l’umanità. (Sinossi ufficiale. Fonte: Academy Two)

Six rooms

Documentarista di formazione, all’opera terza la regista Neus Ballús mostra la propria inclinazione al reale con una messinscena protesa alla verità dei personaggi. Il vantaggino, certo, era di famiglia: il compagno della madre è idraulico. Ma il metodo è inequivocabile: un casting che ha i contorni del tipico making of del documentario, con osservazione di persone reali e immersione nell’ambiente di lavoro nell’arco di tre anni. Calando il procedimento da cinema del reale nella struttura della finzione, I tuttofare diventa una commedia atipica: un racconto picaresco in chiave low fi, in cui anche le intonazioni sur-reali restano dentro la realtà. L’idea del tour, anzi, della vuelta degli idraulici in sei diverse case, diventa piuttosto l’esplorazione di sei casi di un mondo pazzo ma vero: un vecchietto salutista, due temibili gemelline combinaguai, la domotica impazzita nella villa di uno psichiatra e altro ancora.

Il nonno salutista fa esercizio fisico sotto lo sguardo di Moha

Il nonno salutista (Pere Codorniu) fa esercizio fisico sotto lo sguardo di Moha. ©Distinto Films, El Kinògraf

In questo, c’è quasi una simbiosi tra la regista e Moha, quando dice: “ogni giorno entriamo in casa di qualcuno di diverso”. E aggiunge parole che sembrano più la dichiarazione di poetica di un documentarista:

Non sapevo che da grande, grazie al mio lavoro, avrei potuto osservare le persone senza nascondermi.

Così, la macchina da presa trascorre insistentemente su balconi, file di finestre, schiere di palazzoni, quasi col brivido di accarezzare storie anonime. Con la cura di guardare, da Hopper delle ramblas, cartoline di vite talora solitarie.

Moha e Valero affacciati ad un balcone, elemento ricorrente de I tuttofare

Moha e Valero affacciati ad un balcone, elemento ricorrente de I tuttofare. © Lab Creative Studio

Che lo stile trasudi da documentario nella camera a spalla, nei mancati controcampi con voice off, in certe riprese spiate a distanza tra i piedritti di una porta, è questione di pelle stilistica; più sostanziali, invero, per capire il nerbo I tuttofare, sono l’afflato di (ri)scoperta dell’umano e il gusto per il dettaglio affioranti in ognuno dei sei quadretti. Con Valero, tra l’altro, affaccendato a mostrare all’alacre e timido Moha di avere i nervi a fior di pelle.

Problemi di connessione

Oltre ai quadri, è d’autore la cornice. Ne I tuttofare, le tappe del viaggio nel reale di Valero e Moha sono intervallate da brevi pennellate sulle loro riflessioni e malinconie, abilmente costruite in dittico, proprio mentre il racconto, invece, li separa insistendo sull’elettricità del loro inconfessato attrito. Un esempio: il montaggio alterna l’insonnia di Valero, dovuta alla dieta, con quella di Moha, dovuta all’esame di catalano. L’uno si vede grasso, l’altro straniero: due casi di disagio da accettazione. Meno diversi di quanto credano, nella propria umanità, sul posto di lavoro i due non riescono a sperimentare una vera connessione. In bocca a Valero, borbottone buono, c’è il pregiudizio, la profezia non-stop sul fallimento dello stage del neo-collega. In bocca a Moha, invece, le parole lucide di un immigrato in minoranza:

Non conosco i miei vicini, anche se stiamo molto vicino. C’è solo una parete che ci separa. Ma siamo connessi alla stessa rete. Di acqua, luce, gas e telefono. E il nostro edificio è connesso ad altri, e la nostra città ad altre città. E anche i continenti sono connessi. Eppure, continuiamo a stare da soli.

La forza del film è anche in questo duetto fuori sincrono. Che non è un duetto; che deve imparare ad esserlo.

I tirocinanti

I tuttofare diviene allora un film di tirocinio, in cui Moha non è l’unico stagista. Si tratta di ricostruire una capacità di guardare l’altro: i tuttofare diventano tirocinanti dell’avvicinamento, alla ricerca di una lingua da connettere. Proprio il clash linguistico (il catalano, il castigliano, la lingua nativa di Moha) è ulteriore aggravante. Non a caso, nel primo incontro con Valero, Moha non riesce a pronunciare correttamente il nome della ditta (confonde Losilla con Lucìa), suscitando la diffidenza dell’altro. Ma non è mera questione di etnie: Moha esperisce la difficoltà di dialogo anche con gli irritanti coinquilini connazionali. I “dialoghi” più gustosi della sceneggiatura, scritta da Neus Ballus con Margarita Melgar (pseudonimo di Montse Ganges e Ana Sanz-Magallón), sono tuttavia nei giochi di sguardi, tacite sfide tra i tubi all’O.K. Corral. Fugaci o evitati, sono soprattutto da sincronizzare: come nella scena in ospedale – introdotta da uno stacco geniale, che fa solo intuire una scazzottata in cantiere di Pep – in cui quando Moha guarda Valero, l’altro ha lo sguardo altrove, e viceversa.

Foto dal set: Moha e Valero seduti in ospedale

Foto dal set: Moha e Valero seduti in ospedale. © Lab Creative Studio

Non arrivano pugni nell’occhio, nella narrazione low fi – o baja fidelidad – de I tuttofare: azzeccatissima nel proprio tono dimesso, anche nei migliori momenti di umorismo. I sei giorni del titolo originale, Sis dies corrents, corrono che è una meraviglia, strizzati negli ottantasette minuti del film e punteggiati di sketch. Tanto basta per riposarsi al settimo giorno, con un sorriso sulle labbra e la sensazione di un tirocinio spettatoriale sulla lentezza, premurosa, di saper guardare.

I tuttofare

  • Anno: 2021
  • Durata: 87'
  • Distribuzione: Academy Two
  • Genere: Commedia
  • Nazionalita: Spagna
  • Regia: Neus Ballús
  • Data di uscita: 09-June-2022

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