Wet sand – la recensione
In una Georgia risolutamente ortodossa, di religione come di atteggiamento, in cui la Chiesa di stato arriva ad abolire la giornata dei diritti LGBT (sostituendola con la festa del Family Day) per suffragare l’ unica possibilità di unione familiare eterosessuale come legittima, non c’è da stupirsi che nella piccola località rurale e balneare del Mar Nero, risulti così dura andare avanti per chi ha scelto di condividere un amore nella più assoluta segretezza, per non creare scandali e rendersi oggetto di una vera e propria persecuzione, fisica quanto morale.
”Perdonami se ti ho mentito e ti ho lasciato solo. Ma tu sei sempre stato più forte e più coraggioso di me.
Goditi questo vino. L’ho preparato apposta per te. Bevilo. Ci rincontreremo. In paradiso, all’ inferno, o in un posto dove non dovremo più nasconderci.
Ti amo molto. Tuo per sempre. Eliko.”
Il cinema militante della Naveriani, che esordisce nel lungometraggio con questo film straziante, ma anche lucido, duro e fiero di sé, dopo il mediometraggio d’esordio del 2016 (I am truly a drop of sun on Earth) ed un corto del 2019 (Red ants bite), si accanisce a sfaccettare le ragioni di una maturazione ad un sentimento che, per quanto puro, viene osteggiato e umiliato con l’intransigenza di chi ritiene di trovarsi di fronte l’essenza di un male verso cui non c’è rimedio.
Wet sand ha la dignità di procedere senza timori contro un modo di pensare retrogrado e perverso che sfocia nel compimento di atti di giustizia sommari, nella delinquenza più comune e nella violenza più gratuita. Un pensiero che sfigura persone in nome di un credo che dovrebbe indurre alla tolleranza e alla comprensione, ma che invece riduce i suoi proseliti a sentimenti di barbara intransigenza.
Una barbarie che si accanisce contro chi non si omologa, arrivando a profanare addirittura i corpi senza vita, istigando chi si accanisce a resistere a farsi seppellire ancora vivo entro una sabbia che, pur umida e bagnata, consenta di nascondersi ed estraniarsi da un pensiero comune retrogrado e abbietto.
“What difference a day makes” cantava Dina Washington, che riascoltiamo nella situazione più appropriata possibile lungo questa struggente storia di ottusa intolleranza da una parte e di temerario orgoglio dall’altra.