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È reale? di Gianfranco Pannone

Un week-end televisivo

La rubrica di Gianfranco Pannone per Taxidrivers

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Mi capita sempre meno di dedicare il tempo libero alla televisione, trovo ci siano cose più belle da fare e a sera preferisco di gran lunga leggere un libro o il giornale.

Tuttavia per me questo inizio febbraio è stato diverso e le sorprese non sono mancate.

Sanremo, prima di tutto. Nella serata di sabato con mia moglie e un’amica abbiamo deciso di vederlo (quasi) per intero. Mal ce ne incolse? Secondo me no. Considero la maratona sanremese più una lezione di antropologia sul Paese (o almeno su una parte di esso) che una stanca abitudine, magari inseguendo certe riflessioni ancora attuali dell’ormai celebre Fenomenologia di Mike Buongiorno di Umberto Eco.

Si tratta del Paese reale? Per molti versi sì, a mio parere. Un Paese che si guarda allo specchio, attraverso la lente deformata della tv, vero, ma che ci dice molto più di quello che crediamo. Certo, valutare l’immaginario italiano attraverso la sola Sanremo può risultare piuttosto deprimente, ma immergendosi nella kermesse, pur tra qualche inevitabile botta di sonno, vengono alla luce diverse cose. Che, per esempio, il suo Direttore, Amadeus, ha utilizzato la carta dei giovani cantanti, attirando un numero notevole di telespettatori tra i 14 e i 25 anni, a dar retta ai dati auditel, cosa che pare non accadesse da anni. E poi che il mondo fluyd sia stato di fatto sdoganato, specie attraverso un’evidente femminilizzazione della figura maschile. Per non dire del disinteresse verso i temi sociali delle canzoni in gara a vantaggio dei sentimenti (ma è bene ricordare che anche il privato è politico).

Sono dati interessanti, a mio giudizio, per chi come me si occupa di “cinema del reale”. Anni fa scrissi qualcosa di simile su Il grande fratello, che certo mondo intellettuale respingeva senza se e senza ma, non cogliendone, appunto, il lato antropologico. Quel programma, poi, ha perso il suo appeal, ma a me ha fatto tanto riflettere, per esempio, sulle conseguenze del “berlusconismo” nell’immaginario collettivo; un modo di vedere le cose che certo è ancora nei pensieri e in determinati comportamenti degli italiani; in quell’ansia di mostrarsi, di esibirsi, magari senza filtri tra pubblico e privato, per esempio, che ho poi ritrovato a Sanremo 2022. Qualcosa di cui anni fa si occupò egregiamente anche il regista Erik Gandini con il suo Videocracy, in cui emerge il mondo di cartapesta dei Fabrizio Corona e dei Lele Mora, figure fortemente legate all’ex Cavaliere. Come non dimentico il Berlusconi di Sorrentino, maschera nazionale, affidata a un grande Toni Servillo, più vera del vero.

Non sono qui per fare la morale. Penso, piuttosto, che chi come me guarda al mondo provando a muovere possibili narrazioni, debba evitare di abbandonarsi a certo snobismo facile facile, e al contrario confrontarsi senza remore con quella cultura pop di cui, volente o nolente, è intriso l’immaginario contemporaneo. Beninteso, un pop per buona parte facilone e volgarotto, se non provinciale, ma che ha, come tutto del resto, un suo perché. Sanremo di quest’anno mi è arrivato, più che nelle edizioni precedenti, sopra le righe, enfatico, nel fondo populista. Tuttavia chiedo: è giusto che il mondo intellettuale di fronte a tutto questo si chiuda nel proprio rassicurante fortino? Io non ho pregiudizi e comprendo che, oltre la solita solfa sulle ragioni del business, ben due anni di covid abbiano provocato anche risposte vitalistiche sopra le righe. Beninteso, non giustifico Sanremo di quest’anno, che poco mi è piaciuto specie per via di tutto il kitsch (cominciando dai costumi dei cantanti giovani e non) che l’ha caratterizzato; l’ho pure scritto sul mio profilo facebook (diventando così io stesso parte del gran circo mediatico). Ma quel mondo è reale! Anche con il suo strombazzare sorpresa e gioia di vivere, sentimenti che nascondono invero un’angoscia collettiva di fondo. Insomma, per me il grande carnevale della “fine del mondo”, autocompiaciuto e ricco di iperboli, va compreso senza fare la bocca storta.

Cosa non darei per realizzare un dietro le quinte di Sanremo in forma di film documentario! Ma non me lo permetteranno mai. Perché? Perché la realtà vista in tutta la sua naturale crudezza è sempre scandalosa. Il grande fotografo Raymond Depardon, quando realizzò il suo ritratto politico di Valerie Giscard d’Estaing, subì per anni la censura del film voluta dallo stesso allora Presidente della Repubblica francese. La sua colpa? Aver mostrato con un documentario il lato più inedito e retrivo della politica. Sì, sugli scandalosi dietro le quinte del “cinema del reale” ci si potrebbe fare un poderoso libro. E la musica avrebbe un ruolo non indifferente. Robert Altman, per realizzare Nashville giocò tutta la propria astuzia nello stare in bilico tra finzione e realtà, bypassando così la trappola del “solo vero”. La finzione va smascherata stando sia davanti che dietro le quinte? Sì, mostrandone la doppia faccia.

Siamo dentro un mondo fragile, ed è perlopiù plastica quella che, oggi più di ieri, ci propinano Amadeus & co, con il loro fare intriso anche di non sempre digeribili buoni sentimenti, ma, insisto, la soluzione è arretrarsi inorriditi spegnendo la tv?

Malgrado tutto, mi sento parte di questa società. Che, sì, amo poco, e che spesso rifuggo. Ma che comunque voglio provare a capire, perché il mestiere che faccio mi ha insegnato ad essere curioso e a contaminarmi. Credo che qualcosa di simile abbia mosso anche il Santo Padre, accettando la domenica successiva al sabato sanremese (coincidenza interessante!) l’invito di Fabio Fazio a Che tempo che fa. Non era mai accaduto, e ho riacceso la tv con un misto di curiosità e diffidenza.

Francesco ha giocato facile? Non credo affatto. Piuttosto è voluto scendere dal suo piedistallo ed entrare in forma diversa nelle case degli italiani. Un atto rivoluzionario, a pensarci bene, tantopiù che in casi come questi, proprio grazie a certa semplificazione che è insita nel linguaggio televisivo, il rischio che avrebbe potuto correre era quello della banalizzazione del messaggio religioso. Eppure questo Papa fuori dal coro lo ha fatto, con il suo sorriso paterno, ma senza sorvolare sui problemi della nostra vita, che poi sono sempre gli stessi: la difficoltà davanti a un Dio silenzioso (“Perché il Signore permette la morte di tanti bambini?”), così come l’esser fermi sui principi universali (“Con gli immigrati quello che si fa è criminale.”).

Il Santo Padre è stato soprattutto un uomo in quel frangente televisivo. E con la sua presenza all’indomani del Festival Sanremo (chiudendo pure l’intervista con una bella citazione dal grande De Sica neorealista), ci ha ricordato infine che la festa era finita e che ora è arrivato il momento di rimboccarsi le maniche per il bene di tutti.

Pannone Gianfranco

P.s. Il mio week end televisivo si è concluso con il ritorno de L’amica geniale, intenso ritratto dell’Italia che fu, prodotto dalla Rai e diretto con maestria da Daniele Luchetti. La televisione pubblica come dovrebbe essere: colta, creativa e… popolare.