François Truffaut nasce a Parigi il 6 febbraio 1932. La madre, Jeanine de Monferrand, è una diciottenne che diventerà segretaria di redazione presso il quotidiano L’Illustration. Il padre, un certo Roland Levy, rimane sconosciuto a François sino all’età adulta. Il cognome che il piccolo François porta è quello di Roland Truffaut, impiegato presso uno studio d’architettura che conosce Jeanine a Parigi e decide di riconoscere il bambino pur non essendone il vero padre.
L’infanzia e la giovinezza
L’infanzia di colui che, negli anni, diventerà dapprima critico cinematografico, poi innovativo e affermato regista, non è stata per nulla facile. È lo stesso Truffaut a descriversi come “la disperazione dei suoi genitori”, “allievo terribile, bocciato agli esami di quinta elementare”. Confessando di essere stato un ladruncolo durante la guerra quando barattava, insieme ad altri coetanei, oggetti rubati con il vino che poi rivendeva.
Assiduo frequentatore di sale cinematografiche sin dalla giovane età, dopo la guerra il giovane François finisce in riformatorio. Sino a quando non incontra colui che sarà il suo mentore, André Bazin, che lo prenderà sotto la sua ala protettrice diventando, per lui, quella figura di riferimento che gli era mancata sino ad allora. Una sorta di padre spirituale e di guida, fondamentale per la sua crescita artistica.
André Bazin
Gli esordi: la Nouvelle vague
André Bazin è stato fra i più influenti critici cinematografici d’Oltralpe, fondatore della prestigiosa rivista Cahiers du Cinéma, sulle cui pagine si è formata una nuova generazione di critici, diventati successivamente tutti registi. Sono stati infatti i vari François Truffaut, Jean-Luc Godard, Claude Chabrol, Eric Rhomer, Jacques Rivette a rivoluzionare, alla fine degli anni Cinquanta, il modo di intendere e di fare il cinema.
I futuri, giovani registi, sotto la guida di Bazin, hanno elevato con i loro scritti la figura del metteur en scène a vero e proprio Autore, non considerandolo più come un mero esecutore di una sceneggiatura scritta da altri, ma mettendone in risalto l’autorialità a tutto tondo, esaltando la figura di cineasti come, ad esempio, Jean Renoir, Robert Bresson, Max Ophüls, Abel Gance, Jacques Becker, Alfred Hitchcok, Orson Welles, Nicolas Ray, Roberto Rosselini, riconoscendo l’importanza e la complessità della loro opera presa nella sua totalità.
Come cineasti, Truffaut, Godard e i loro compagni d’avventura hanno dato vita alla Nouvelle Vague, movimento che, rifacendosi alla lezione del Neorealismo italiano, proponeva un modo nuovo di fare cinema, lontano da quello accademico visto in passato. I giovani registi realizzavano film a basso costo, con nuovi modelli di sceneggiatura slegata dai vecchi cliché e predicando il ritorno nelle strade a confrontarsi con il mondo reale.
In particolare, François Truffaut esordisce dietro la macchina da presa realizzando alcuni cortometraggi, fra i quali Les mistons (1957) che reca in nuce uno dei suoi temi più cari, quello legato all’infanzia, che svilupperà più a fondo in seguito.
Due anni dopo gira il suo primo lungometraggio, I quattrocento colpi (1959), uno dei film chiave della Nouvelle vague. Il film segue la vita del giovane Antoine Doinel, vero e proprio alter ego del regista, interpretato da Jean-Pierre Léaud che tornerà a vestirne i panni in altri quattro film, in una vera e propria serie che accompagnerà la crescita del personaggio, seguendolo dalle prime esperienze giovanili sino alla maturità.
In seguito, nel suo primo periodo di attività, realizza alcune opere entrate di diritto nella storia del cinema. Fra tutte Jules e Jim (1962) e Baci rubati (1968), terzo episodio della saga di Antoine Doinel.
Jean-Pierre Léaud
Il prosieguo della carriera
Venuta meno la spinta della Nouvelle vague, i vari registi del movimento hanno continuato a realizzare film seguendo, ciascuno, il proprio riconoscibilissimo stile.
In particolare, Truffaut realizza nel corso di tutta la sua carriera, interrotta dalla prematura scomparsa avvenuta il 21 ottobre 1984 a causa di un tumore al cervello, quattro cortometraggi e ventuno lungometraggi. È stato, inoltre, produttore con la sua casa di produzione Les Films du Carrosse e attore in alcuni suoi film, oltre che protagonista per Steven Spielberg in Incontri ravvicinati del terzo tipo (1977).
Fra i suoi film più significativi, a partire dagli anni Settanta, da segnalare Il ragazzo selvaggio (1970), ispirato a fatti realmente accaduti alla fine del XIX secolo; Effetto notte (1973), geniale e sentito omaggio dedicato al cinema; L’ultimo metrò (1980), ambientato durante l’occupazione di Parigi da parte dei nazisti e La signora della porta accanto (1981), disperato e cupo dramma su un amore impossibile.
La carriera di Truffaut termina nel 1983 con il suo ultimo film, Finalmente domenica!, un noir girato con tocco lieve ed estremamente ironico.
Sette film imperdibili
Partendo dal presupposto che per comprendere appieno l’arte di François Truffaut sarebbe opportuno dedicarsi alla visione della sua filmografia in toto, proviamo a estrapolarne alcune pellicole che, meglio di altre, rendono l’idea della sua grandezza.
I quattrocento colpi (Les quatre cents coups, 1959)
Vincitore del premio per la miglior regia al Festival di Cannes, è un film dalla forte componente autobiografica, il primo della serie di Antoine Doinel. Il titolo italiano è una pessima e incomprensibile traduzione del modo di dire francese “Faire le quatre cents coups” che si può tradurre con “Fare il diavolo a quattro” o, anche, “Fare ogni genere di esperienze”.
Il giovane Doinel è un ragazzo in rivolta contro tutti, in particolare, i genitori e i professori, per i quali è solo un indisciplinato da punire. Questa mancanza di comprensione da parte degli adulti porterà Antoine a compiere vari gesti di ribellione, sino a rubare oggetti da rivendere. Scoperto – e con il consenso della madre – viene inviato presso un istituto di recupero per minori, dal quale fugge durante una partita a pallone giocata con i compagni di sventura. Nel finale, fra i più famosi della storia del cinema, Antoine, scappando, giunge al mare, che vede così per la prima volta. Si ferma e volge lentamente lo sguardo in macchina e, con un fermo immagine, ci fissa, interrogandoci e, forse, giudicandoci.
Con il racconto della propria esperienza, Truffaut realizza così un film che, in osservanza a quanto teorizzato dalla Nouvelle Vague, costituisce uno sguardo reale sulla vita quotidiana, con tutte le sue sfumature e le sue complessità.
Jules e Jim (Jules et Jim, 1962)
Attraverso la storia dell’amore tenero e prolungato nel tempo fra due amici, il francese Jim (Henry Serre) e il tedesco Jules (Oskar Werner), e una donna, Catherine (Jeanne Moreau), Truffaut realizza il film più importante della sua prima produzione e, certamente, fra i più significativi di tutta la sua carriera registica.
Tratto dall’omonimo romanzo di Henri-Pierre Roché, un anziano scrittore ultrasettantenne incredibilmente alla sua opera prima, Jules e Jim è un film incentrato su una figura femminile che si rivela essere più forte degli uomini che incontra. Una donna decisa ad affermare la propria libertà, senza per forza dover rispettare le convenzioni e le leggi, siano queste naturali o imposte. Non importa se, per sostenere questa sua indipendenza, a Catherine non resterà che la morte.
Opera imprescindibile nella filmografia di Truffaut, Jules e Jim è un ragionamento sull’amore e sulla sua forza dirompente, nonché sul rapporto di coppia che Catherine vuole a tutti i costi scardinare considerandolo un sistema imperfetto, ma che, alla fine, per non cedere, non avrà altra scelta che gettarsi nella Senna.
La sposa in nero (La mariée était en noir, 1967)
La sposa in nero è la riduzione cinematografica di un romanzo di William Irish (meglio conosciuto con lo pseudonimo di Cornell Woolrich, autore dal quale Hitchcock trasse La finestra sul cortile). È il resoconto della vendetta di Julie (Jeanne Moreau), una giovane donna alla quale, per errore, viene ucciso il marito sul sagrato della chiesa il giorno delle nozze da parte di un gruppo di cinque uomini annoiati e ubriachi.
A uno a uno i colpevoli della morte del giovane vengono spietatamente uccisi da Julie. In ciascuno di loro è percepibile quanto di peggio l’uomo possa rappresentare. Julie diventa così, per loro, la giustiziera, andandone a colpire la meschinità, l’arroganza e la viltà.
Il finale, discostandosi da quello dell’opera letteraria, rende ancora più glaciale questo film, considerato da molti, forse un po’ troppo superficialmente, il più hitchockiano fra le opere di Truffaut. La vendetta della donna è compiuta. Julie può così ricongiungersi idealmente con il suo sposo e, sulla parola fine, partono significativamente le note della marcia nuziale di Mendelssohn.
Baci rubati (Baisers volés, 1968)
L’incipit di Baci rubati, con la macchina da presa che si sofferma sul portone della Cinémathèque française, chiusa per protesta dopo la rimozione del suo storico fondatore Henri Langlois da parte dell’allora ministro della cultura André Malraux, è l’unica concessione del regista al Sessantotto e a quel particolare evento. Un episodio che scosse gli animi di tutti i cinefili francesi (fra i quali, ovviamente, Truffaut), che protestarono con manifestazioni anche violente e che permisero a Langlois di essere reintegrato.
Poi, sulle note di Que reste-t-il de nos amours cantata da Charles Trenet, la camera si allontana dal Museo del Cinema con una panoramica che dalla Tour Eiffel sorvola i tetti di Parigi, terminando alla finestra di una cella del carcere militare dove Antoine Doinel è rinchiuso.
Baci rubati è il terzo episodio della serie dedicata all’alter ego di Truffaut. Dopo essere uscito dal carcere e congedato per instabilità caratteriale, Antoine si fidanza con Christine, trova impiego come guardiano notturno presso un hotel, poi in una agenzia investigativa e, infine, come tecnico presso un’agenzia di riparazioni di televisioni. Si allontana da Christine, ha una fugace relazione con Fabienne, per ritornare, infine, da Christine con la quale scambia una promessa, poco convinta, di matrimonio.
L’ottavo lungometraggio di Truffaut è stato piuttosto criticato, alla sua uscita, da una parte della sinistra francese che rilevava un totale disinteresse da parte del regista a quanto stava accadendo nel paese (il film esce pochi mesi dopo il maggio ’68). In effetti, a parte, come detto, l’omaggio iniziale a Langlois, non si percepisce granché del fermento dell’epoca. L’intento di Truffaut non era, tuttavia, quello di realizzare un film politico; bensì di descrivere i personaggi, i loro sentimenti, i compromessi e la mediocrità alla quale cede Antoine, decidendo di sposare l’insignificante piccolo-borghese Christine, rinunciando all’amore vero e senza tornaconti di Fabienne.
Alla fine, Baci rubati si rivela un “film di personaggi”, come affermato dallo stesso Truffaut nella prefazione alle Aventures d’Antoine Doinel (Ed. Mercure de France, Febbraio 1971), “personaggi che hanno il sopravvento sulle situazioni, sull’ambiente, sul tema”.
Effetto notte (La nuit américaine, 1973)
Film sul cinema, film dentro il film, Effetto notte è un atto d’amore verso il cinema che si sviluppa sull’immaginario set di Je vous presénte Paméla, l’opera cinematografica che una troupe guidata dal regista Ferrand (lo stesso François Truffaut) sta girando a Nizza. Il film segue la lavorazione dal primo giorno sino all’ultimo ed è un modo per raccontare le vicissitudini dei vari componenti della troupe, le loro vicende sentimentali, i loro problemi, le loro vite e le difficoltà che insorgono a mano a mano che la lavorazione del film avanza.
Il titolo si rifà a una particolare tecnica che prevede l’oscuramento di una pellicola per creare, per l’appunto, un effetto notte (in francese si usa il termine “Nuit américaine”) ed è significativo di come il regista abbia voluto, in qualche modo, rappresentare quanto di falso ci possa essere su un set cinematografico, che alla fine genera un prodotto percepito dallo spettatore come reale.
Fra gli interpreti, oltre a Truffaut, vanno annoverati il solito Jean-Pierre Léaud, Jean-Pierre Aumont e Jacqueline Bisset.
L’ultimo metrò (Le dernier métro, 1980)
Gérard Depardieu è Lucas Steiner, un direttore di teatro ebreo costretto a nascondersi nei sotterranei del teatro stesso per sfuggire all’arresto durante l’occupazione nazista di Parigi. Nonostante la guerra e l’occupazione, però, l’attività del teatro va avanti. A dirigerlo è la moglie di Steiner Marion (Catherine Deneuve), impegnata nelle prove di una nuova pièce. Sarà solo a Liberazione avvenuta, quando Lucas Steiner può finalmente tornare a vedere la luce del sole, che capiamo che quella a cui stiamo assistendo non è altro che la nuova opera che lo stesso Steiner ha realizzato, mettendo in scena la propria esperienza.
L’ultimo metrò è un film sul teatro che, nelle intenzioni del regista, avrebbe dovuto costituire il secondo capitolo, dopo Effetto notte, di una trilogia sul mondo dello spettacolo. L’ultimo, un film sul musical-hall, non verrà mai realizzato a causa della prematura scomparsa di Truffaut.
Il film deve il titolo al fatto che le repliche in tempo di guerra a Parigi erano previste in maniera tale da permettere agli spettatori di prendere l’ultima corsa della metropolitana prima del coprifuoco. Si avvale della fotografia di Nestor Alméndros, che, volutamente, utilizza colori spenti per rendere l’idea della tristezza della popolazione costretta a vivere sotto il tallone della dittatura.
Ne L’ultimo metrò, ancora una volta, come già avvenuto in Fahrenheit 451, la cultura diventa un faro nella notte, unica luce a rimanere accesa rischiarando il buio della ragione, dovuto a un sistema dittatoriale che tende a cancellare, per poter dominare incontrastato, ogni forma di libero pensiero.
La signora della porta accanto (La femme d’à côté, 1981)
Penultimo film nella filmografia di Truffaut e secondo con Gérard Depardieu protagonista, in questo caso accanto a Fanny Ardant, al tempo compagna di Truffaut (che rivedremo nel successivo Finalmente domenica! recitare portando in grembo il frutto della loro relazione).
I due attori interpretano rispettivamente Bernard e Mathilde. Il primo, felicemente sposato e con un figlio, abita in un villino nei pressi di Grenoble. Un giorno, nella casa contigua, va a vivere Mathilde con il suo compagno Philippe. Dopo un loro primo, casuale incontro, scopriamo che i due si conoscono e che, in passato, hanno avuto una relazione. Inizialmente intenzionati a tenere nascosta la loro storia, fra l’uomo e la donna scocca nuovamente la scintilla che li getterà l’uno nelle braccia dell’altra. Ma insieme alla ritrovata passione, torneranno le numerose incomprensioni che li avevano allontanati anni addietro. Sarà Mathilde a porre fine al tormentato rapporto uccidendo l’amante con un colpo di pistola mentre fanno l’amore, per poi rivolgere l’arma verso di sé e spararsi a sua volta.
La signora della porta accanto è una cupa storia d’amour fou raccontata in terza persona da Odile Jouvet (Véronique Silver), l’anziana vicina di casa testimone della tragedia. La quale pronuncerà, alla fine, la frase: “Se mi chiedessero un epitaffio di quei due direi: ‘Né con te, né senza di te”, sancendo, di fatto, l’impossibilità, per i due amanti, di vivere l’uno senza l’altra e, allo stesso tempo, insieme.
Filmografia di François Truffaut
Une visite (1954) cortometraggio
L’età difficile (Les Mistons, 1957) cortometraggio
Une historie d’eau (1958, co-diretto con Jean-Luc Godard) cortometraggio
I quattrocento colpi (Les quatre cents coups, 1959)
Tirate sul pianista (Tirez sur le pianist, 1960)
Antoine e Colette (ep. di L’amore a vent’anni, L’amour à vingt ans, 1962
Jules e Jim (Jules et Jim, 1962)
La calda amante (La peau douce, 1964)
Fahrenheit 451 (id., 1966)
La sposa in nero (La mariée était en noir, 1967)
Baci rubati (Baisers volés, 1968)
La mia droga si chiama Julie (La sirène du Mississippi, 1969)
Il ragazzo selvaggio (L’enfant sauvage, 1970)
Non drammatizziamo… è solo questione di corna (Domicile conjugal, 1970)
Le due inglesi (Les deux anglaises et le continent, 1971)
Mica scema la ragazza! (Une belle fille comme moi, 1972)
Effetto notte (La nuit américaine, 1973)
Adele H. – Una storia d’amore (L’histoire d’Adèle H., 1975)
Gli anni in tasca (L’argent de poche, 1976)
L’uomo che amava le donne (L’homme qui aimait les femmes, 1977)
La camera verde (La chambre verte, 1978)
L’amore fugge (L’amour en fuite, 1979)
L’ultimo metrò (Le dernier métro, 1980)
La signora della porta accanto (La femme d’à côté, 1981)
Finalmente domenica! (Vivement dimanche!, 1983)