Gomorra – Stagione finale è l’atto conclusivo del cult Sky Original prodotto da Cattleya in collaborazione con Beta Film. I primi due episodi della quinta e ultima stagione saranno trasmessi, in prima TV mondiale il 19 novembre su Sky e in streaming da NOW.
IL 15 Novembre, invece, si è tenuta, presso il Teatro Brancaccio di Roma, la conferenza stampa di presentazione, condotta da Malcom Pagani, con la partecipazione di Antonella d’Errico (Executive Vice President Programming Sky Italia), Nils Hartmann (Senior Director Original Productions Sky Italia), Riccardo Tozzi (Fondatore e CEO di Cattleya) e Gina Gardini (Produttrice).
Erano presenti, inoltre, Roberto Saviano, ideatore della serie tv, i registi Claudio Cupellini (Una vita tranquilla, La terra dei figli) e Marco D’Amore (L’immortale).
Tra gli attori protagonisti non potevano mancare Salvatore Esposito, che dalla prima stagione interpreta il personaggio di Genny Savastano; Ivana Lotito e Arturo Muselli, entrati a far parte del cast solo nella seconda e terza stagione, ma che sono riusciti a imporre con potenza i loro personaggi. La Lotito con Azzurra, moglie di Genny e il Muselli con Sangue blu, il giovane e ribelle boss di Napoli centro.
Roberto Saviano
La Serie TV Gomorra (la prima stagione risale al 2014) nasce da un’idea di Roberto Saviano, che nel corso della conferenza stampa, si sofferma sul percorso di gestazione, dal suo omonimo romanzo, edito da Mondadori, proseguito nel 2008 con il film diretto da Matteo Garrone e concluso, poi, con la Serie TV.
“La necessità di raccontare una Storia con profondità, dando allo spettatore il diritto alla complessità”.
Per lo scrittore campano, Gomorra racconta il più complesso dei poteri, il quale purtroppo spesso viene schiacciato dalla sintesi, utilizzata dalla cronaca. L’idea di farne una serie tv, dunque, nasce come una scelta naturale e obbligata.
Roberto Saviano, inoltre, ricorda come Gomorra sia divenuto, nel corso degli anni, uno strumento Universale. La serie, attraverso il racconto di Scampia, è il simbolo delle periferie di tutte le metropoli del mondo, da Parigi a Città del Messico, passando per Chicago.
“Quando ho incontrato il protagonista di Narcos, mi disse che attraverso Gomorra riconosceva la sua favela”.
Tutto ciò è stato possibile grazie alla serialità, che consente di sviluppare una narrazione nel profondo. L’uso della lingua napoletana, infatti, non ha l’obiettivo di realizzare un’opera di carattere documentaristico; piuttosto è uno strumento per indagare questa profondità.
“In Gomorra non c’è solo il male, se ci fosse solo ombra non vedreste tutto questo”.
È il male che permette al pubblico di vedere la luce e l’ombra fa intuire la crudeltà.
La Serie Tv, però, non chiede allo spettatore un giudizio, ma richiama l’attenzione ad ascoltare e osservare un mondo che rappresenta il racconto della nostra epoca.
“Gomorra non dà al pubblico un cibo già masticato e offre una visione estremamente sfaccettata, dove difficilmente si può distinguere il bene dal male”.
La produzione
È Riccardo Tozzi, invece, a ribadire come quest’opera sia stata una scelta coraggiosa. Un percorso iniziato nel 2008 con Romanzo criminale e giunto alla Serie TV ideata da Roberto Saviano in maniera innovativa.
Per il fondatore di Cattleya, Gomorra è anche un lavoro che presenta una filosofia profonda che ha saputo influenzare tutte le altre serie prodotte in Italia. Ciò è avvenuto perché è stata realizzata con precise scelte poetiche e produttive.
Scelte senza dubbio complesse, come quella di girare in esterni, invece di lavorare in studio, che avrebbe reso tutto molto più semplice. Ma ciò dipende dalla volontà della produzione di rispettare la tradizione italiana del neorealismo. E questa tradizione, secondo Riccardo Tozzi, va sempre tenuta viva, con una profonda adesione ai codici di genere.
Antonella d’Errico conferma le parole di Riccardo Tozzi, sottolineando il coraggio di Sky nel produrre una Serie come Gomorra, non solo per la materia narrativa affrontata, ma soprattutto per la qualità di ogni suo componente.
“All’estero è la Serie più citata, non solo per quanto riguarda la produzione italiana, ma la serialità in generale”.
Gomorra è senza dubbio uno spartiacque per le serie tv italiane e non solo; ciò viene ribadito da Nills Hartman che afferma:
“C’è un prima e un dopo Gomorra”.
Gina Gardini, invece, svela alcuni retroscena molto interessanti, riguardanti la fase di scrittura e realizzazione della serie. Genny Savastano, per esempio, doveva morire sul finale della prima stagione. Ma la Gardini racconta come tutti gli autori impegnati nella scrittura percepirono che il personaggio aveva ancora un percorso lunghissimo da compiere.
“Come squadra abbiamo deciso di portare Genny avanti, sacrificando altri personaggi”.
La scrittura di Gomorra
Il modus operandi degli autori della serie è stato quello di fare indagini sulla realtà storica e all’interno di questa inserire la storia dell’universo di Gomorra, abitato da personaggi mostruosi e dando voce al punto di vista del male.
Anche Leonardo Fasoli si sofferma sul male e sui personaggi mostruosi raccontati, i quali generano dolore. E ciò era già presente nel romanzo di Roberto Saviano, dove è percepibile una sofferenza del narratore nel raccontare tale realtà.
“Nella serie il ruolo che era di Roberto, viene trasferito al pubblico. Noi, che abbiamo scritto la serie ci siamo buttati in questo mondo, ci siamo innamorati, nonostante sia un mondo terribile, lacerato come una zona di guerra”.
Il libro di Roberto Saviano gioca un ruolo fondamentale anche nel racconto di Maddalena Rovagli, che lo cita come la principale fonte per la prospettiva psicologica dei personaggi, in cui è lampante lo strazio personale.
“Conoscere il mondo di Gomorra permette di entrare in contatto con il dolore dei personaggi che vivono nel male”.
Questi sono personaggi negativi, ma comunque umani, che vivono dolorosamente le loro contraddizioni.
Maddalena Rovagli, inoltre, ricorda come la serie tv ha posto l’attenzione su un territorio difficile e si augura che tale attenzione continui.
Il cast e la regia
Marco D’amore nella sua doppia veste di attore e regista, definisce questa sua esperienza citando Johann Wolfgang von Goethe, il quale definiva il palcoscenico sottile come una corda di un funambolo, affinché nessun inetto vi si arrischi.
“Ho vissuto questi anni stando in equilibrio su questo sottile filo, percependo la pericolosità del racconto”.
L’interprete di Ciro l’Immortale, poi, ribadisce la complessità di Gomorra in ogni suo aspetto. Dal girare in territori a rischio, all’affrontare una tematica difficile come il mondo criminale campano e non solo. Ma tutto ciò è stato fatto rinunciando al linguaggio convenzionale della serialità italiana.
“Tutto ciò ha cambiato la mia vita, mi ha reso molto più comprensibile nei confronti di chi ha fatto scelte diverse dalle mie, perché ha altre storie alle spalle”.
Diversamente da Marco D’Amore, nato a Caserta nel 1981, per cui consapevole fin dall’inizio della criticità dei luoghi raccontati, Claudio Cupellini è entrato in questo mondo in punta di piedi.
Il regista, non solo non conosceva il mondo della serialità, ma soprattutto aveva poca familiarità con la materia narrativa. Ma ha superato queste difficoltà grazie alla struttura già creata dalla produzione e dai chi lo aveva preceduta alla regia, come Stefano Sollima.
Salvatore Esposito paragona la sua esperienza in Gomorra a una storia d’amore.
“La fine di Gomorra per me è stata come una fine di una relazione. All’inizio c’è l’euforia, ma poi arriva la malinconia, però anche la consapevolezza di aver dato il massimo”.
L’interprete di Genny Savastano sottolinea come grazie a questa serie tv abbia conosciuto tantissime persone, tra cui il suo idolo Diego Armando Maradona.
“Quando incontrai Diego, lui mi disse di essere un mio grande fan. Paradossalmente si erano invertiti i ruoli”.
Per Ivana Lotito, Gomorra è stata un’esperienza totalizzante, assoluta da tutti i punti di vista.
“Il mio lato professionale si è intrecciato con la mia vita privata”.
L’attrice è riconoscente nei confronti degli altri colleghi della serie e verso i registi. Sono questi ultimi, secondo lei, ad averla conosciuta dietro la macchina da preso, meglio di sé stessa. E con loro ha dato vita a un personaggio che non è mai vittima.
Ivana Lotito, inoltre, dà interessanti anticipazioni su Azzurra, che in questo atto finale vivrà una sorta di asfissia. La sua sarà una prigionia causata da ragioni esterne, ma soprattutto psicologiche.
Anche Arturo Moselli ci offre delle anticipazioni sul suo personaggio. Sangue Blu sarà dominato da un “silenzio religioso”. L’attore non a caso usa questa espressione; infatti, il giovane e ribelle boss è un personaggio molto religioso.
Una religiosità del tutto atipica, ovviamente. Il termine viene usato con l’obiettivo di indicare la necessità di Sangue blu di credere a qualcosa, ed è questa sua necessità che lo porta all’azione.
Gomorra: banalizzazione del male o opera pedagogica?
Nel corso degli anni Gomorra ha subito non poche critiche. Il capo d’accusa rivolto agli autori è stato quello di normalizzare il crimine. Così la pensavano bravi magistrati che condannarono la serie già nel dicembre del 2017.
“Gomorra è sufficiente a spiegare il fenomeno o è una rappresentazione tranquillizzante che limita la percezione del fenomeno mafioso?”
Sono queste le parole di Giuseppe Borelli, l’allora Procuratore aggiunto Antimafia. Nella stessa direzione vanno le dichiarazioni di Federico Cafiero De Raho, il quale sottolineava la mancanza dello Stato.
“In Gomorra vediamo i camorristi che esercitano il potere della violenza, ma non vediamo mai lo Stato che interviene, che reagisce e reprime”.
Il primo a rispondere a queste accuse è Marco D’amore:
“Anche i procuratori possono sbagliare!”
L’attore e regista, con passione, continua respingendo ogni accusa, affermando che le critiche giungono da persone che non hanno mai messo piede a Scampia, Caivano o a Ponticelli.
Salvatore Esposito, invece, rimanda le accuse al mittente, affermando che nella serie lo Stato è presente. Nella prima stagione, infatti, Pietro Savastano viene arrestato e finisce al 41 bis. Inoltre in Gomorra 4 viene introdotto il personaggio del magistrato Walter Ruggieri, interpretato da Gennaro Maresca.
Nella questione interviene anche Riccardo Tozzi, che ricorda la presenza dei buoni in Gomorra, rappresentata dalle vittime. In riferimento all’essenza dello Stato, invece, sottolinea come questa sia riferita al mondo della scuola e del lavoro, assenze ben visibile nei luoghi reali raccontati.
“La repressione da sola in quei territori è inutile, perché la situazione socio economica permette il proliferare del male”.
Roberto Saviano, invece, sostiene che la presenza dello Stato è articolata dal punto di vista criminale e questo è un merito innovativo della serie.
Successivamente, lo scrittore si sofferma sul potere di emulazione. Ma Gomorra racconta un mondo reale, che esiste, per cui molti si possono identificare. Non si diventa, però, criminale per una serie tv !
“Io sento di aver fatto un lavoro pedagogico, nel momento in cui ho raccontato le dinamiche del male”.