‘La Tana’ la recensione dell’opera prima di Beatrice Baldacci
Un' Educazione sentimentale e un racconto sulla famiglia e le fragilità interiori. Il film é vincitore del Premio Raffaella Fioretta per il Cinema Italiano. Al Cinema
Portato in concorso ad Alice nella città, La Tana , DISPONIBILE SU RAIPLAY, ripresenta un’interessante nuova regista italiana, Beatrice Baldacci, già conosciuta in occasione del Festival di Venezia.
Secondo merito della pellicola, non da sottovalutare, è un cast di volti insoliti: Irene Vetere ( vincitrice del Fabrique du Cinéma Awards 2021), Lorenzo Aloi, Hélène Nardini, Elisa Di Eusanio, Paolo Ricci, Federico Rosati.
Il film, vincitore del Premio Raffaella Fioretta per il Cinema Italiano, è stato prodotto da Andrea Gori e Aurora Alma Bartiromo – in collaborazione con Rai Cinema e NABA Nuova Accademia di Belle Arti – per Lumen Films .
Nell’estate dei suoi diciotto anni, Giulio ha deciso di non partire: passerà le vacanze a casa, per aiutare i genitori con i lavori nell’orto. Nella villetta accanto, disabitata da tempo, arriva Lia, una ragazza di vent’anni. Giulio vorrebbe conoscerla, ma lei è scontrosa e introversa. Un giorno Giulio sta facendo il bagno al lago e Lia tenta di affogarlo per gioco. Giulio è un bravo ragazzo, sensibile e fin troppo educato. Attratto da lei, comincia a pensarla giorno e notte. Lia lo inizia a degli strani “giochi”, sempre più pericolosi. La ragazza però non parla di sé. Ha detto di essere venuta da sola per passare le vacanze nella vecchia casa di famiglia, dove non tornava da quando era bambina. Lia però nasconde dei segreti e non permette a nessuno di mettere piede nella vecchia casa abbandonata.
La tana riprende un percorso personale.
Il film si ricollega al corto documentario della regista, Supereroi senza superpoteri, presentato nel 2019 al lido in Orizzonti, che voleva essere un percorso di elaborazione personale in cui la regista riviveva il rapporto con la madre malata. Una ricerca faticosa dove le immagini si mischiano e si ricompongono assumendo significati del tutto nuovi. Grazie a questa dolorosa ricerca, la regista aveva ricostruito una narrazione intima per provare a ritrovare ciò che aveva perduto.
In ospedale abbracciai mia madre e mi accorsi che non riuscivo più a sentire il suo odore. Realizzai ciò che stavo perdendo e iniziai a cercare tra i miei ricordi d’infanzia una dimensione di conforto. Trovai delle vecchie VHS di mia madre: erano vive e forti ma rovinate dal tempo. Le immagini mi spingevano verso qualcosa che avevo dimenticato.
Una delle cose più riuscite de La Tana sono infatti i luoghi della storia. Sono gli ambienti a determinare già visivamente quelle che sono le caratteristiche dei personaggi e a presentarceli.
Giulio ci viene mostrato in una casa isolata, mentre lavora con i suoi genitori. Un posto lontano da tutto che mostra quello che è lo stretto ed esclusivo rapporto che il ragazzo ha con i suoi familiari. A spezzare l’equilibrio arriva Lia che ha deciso di trascorrere le vacanze nella vecchia casa di famiglia, abbandonata da alcuni anni.
La forza del film sta proprio nella relazione fra i due ragazzi impostata sul binomio ‘maestra’- allievo, tanto caro a molta letteratura, inteso come esplorazione della sessualità e scoperta del mondo intimo.
Let’s play a game
La maturità di lei e il mondo sconosciuto che si porta dietro rappresentano per Giorgio un’attrattiva troppo seducente che lo trasporta a scavare dentro di sé e lasciare da parte il fanciullo che era. Come un gioco di sguardi e contatti si instaura una sorta di pericolosa Education Sentimentale.
La Tanadunque funziona bene quando mostra il rapporto fra i due giovani (entrambi convincenti) ma perde purtroppo ritmo e fascino quando se ne allontana.
La relazione fra i due diviene ‘insana’ e Lia comincia a mostrare i suoi aspetti più negativi: autolesionismo e disturbi psicologici. É qui, in questa seconda parte. che il film eccede purtroppo nell’ostentare e nel voler raccontare troppe cose. Allontanandosi dal rapporto dei due giovani la storia diviene meno interessante e le altre tematiche della pellicola (se pur importanti) vengono trattate in modo forse troppo approssimativo.
Tuttavia Irene Vetere e Lorenzo Aloi costruiscono un buon avvicinamento tra loro e sono bravi a trasmettere l’idea di ‘scoperta’ rendendo molto credibile il loro rapporto e i sentimenti vissuti per certi versi in modo molto adolescenziale. La Lia di Vetere, che appare così sicura da un lato e incapace di sorridere con trasporto, fa ben comprendere la maschera di fragilità interiore che la tormenta e il Giulio di Aloi ha il giusto disincanto dei tormenti dell’amore fanciullesco. Un film comunque interessante con una regista da tenere d’occhio.
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