Una película sobre parejas di Natalia Cabral e Oriol Estrada regala freschezza ed ironia alla Selezione Ufficiale. Rompendo i classici schemi, oscillando tra metafiction ed autofiction, è una riuscita riflessione sulla creatività e l’affettività condivisa. Sul fare cinema in maniera indipendente, oggi.
Natalia Cabral e Oriol Estrada sono due giovani registi e insieme una coppia. Li conosciamo intenti a spiegare ad uno sparuto pubblico dominicano il loro ultimo lavoro documentario, non trovando essi stessi le parole giuste. Il loro prossimo progetto per il quale ottengono un finanziamento non lo riescono proprio ad inquadrare perfettamente… Non sanno cosa rappresentare. La vista di una coppia di ciechi con il loro figlioletto al parco fa intravedere una via d’uscita: realizzare un documentario sulle coppie, su come si vive in due, gioie, difficoltà, compatibilità.
Quando le professioni coincidono e in più c’è una figlia di mezzo (la piccola e deliziosa Lia), è davvero molto difficile mantenere un equilibrio creativo, emotivo, intellettuale, affettivo, cercando di emulare i maestri del cinema d’autore.
Cos’è il cinema, oggi?
“Nessuno vuole vedere il cinema, tutti sono solo su Netflix, Instagram, Whatsapp… Tu stessa non passi un sacco di tempo davanti ai social?” chiede Ori a Nati, che non può che annuire.
Una película sobre parejas riporta in primo piano il senso ed il significato di opera cinematografica in questo tempo. Cosa si può ancora raccontare? Come si può ancora raccontare?
L’arrivo di un finanziamento da affidare ad un loro progetto appare un piccolo miracolo di cui gli stessi registi avrebbero fatto volentieri a meno: ansia, pressione sull’individuare un contenuto attraente, e poi le difficoltà realizzative, quelle creative: “Cominciamo dai titoli, fare i titoli è rilassante…” consiglia Nati ad Ori. Lia, la piccola, da portare sempre con sé genera frustrazione in Natalia, che vuole essere la madre migliore e la regista migliore.
In Una película sobre parejas vita e cinema si mescolano, frappongono, fino a diventare un linguaggio capace ancora di lasciarci varchi di ispirazione, anche in una semplice composizione cromatica di una scenografia, anche nei titoli di coda che chiudono il film: l’occhio si rilassa, si stupisce, si sente meno pigro e si diverte.