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Zero la nuova serie italiana originale Netflix

Le periferie italiane sono un incredibile crogiuolo multiculturale, dove spesso l’unico “bianco” sei tu.

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Zero - essere invisibile è il vero potere

Dal 21 Aprile disponibile su Netflix la nuova serie originale italiana Zero, nata da un’idea di Antonio Dikele Distefano e Menotti, prodotta da Fabula Pictures con la partecipazione di Red Joint Film.

ZERO è un timido ragazzo di nome Omar con uno straordinario superpotere: diventare invisibile. Non un supereroe, ma un eroe moderno che impara a conoscere i suoi poteri quando il Barrio, il quartiere della periferia milanese da dove voleva scappare, si trova in pericolo.

Zero dovrà indossare, suo malgrado, gli scomodi panni dell’eroe e scoprirà l’amicizia di Sharif, Inno, Momo e Sara, e forse anche l’amore.

La serie è liberamente ispirata al romanzo Non ho mai avuto la mia età, edito da Mondadori,  di Antonio Dikele Distefano,  che ha scritto la serie, creata da Menotti (Lo chiamavano Jeeg Robot, Benedetta follia, Non ci resta che il crimine), insieme a Stefano Voltaggio (anche Creative Executive Producer di ZERO) Massimo Vavassori, Carolina Cavalli e Lisandro Monaco.

Una sceneggiatura credibile e aderente alle performance attoriali del cast.

Otto episodi, firmati per Netflix da Paola Randi, Ivan Silvestrini, Margherita Ferri e Mohamed Hossameldin, raccontano la storia del giovane Zero, eroe di periferia, con un lavoro precario come molti e un sogno nel cassetto. I suoi progetti per il futuro subiranno una deviazione grazie all’incontro/scontro con un gruppo di coetanei del quartiere che diventerà la sua “crew”.

Il cast è composto di giovani talenti italiani: chi muove i suoi primi passi sul set come Giuseppe Dave Seke nel ruolo di Zero/Omar e chi ha già avuto esperienza come Beatrice Grannò nel ruolo di Anna e Haroun Fall nel quello di Sharif. Inoltre Richard Dylan Magon (Momo), Daniela Scattolin (Sara), Madior Fall (Inno), Virginia Diop (Awa), Alex Van Damme (Thierno), Frank Crudele (Sandokan), Giordano de Plano (Ricci), Ashai Lombardo Arop (Marieme), Roberta Mattei (La Vergine), Miguel Gobbo Diaz (Rico) e Livio Kone (Honey)

Nonostante le differenze stilistiche dei registi chiamati a raccontare Zero, permane un filo conduttore visivo che fa da collante tra le diverse lingue, costituito dal lavoro puntuale e preciso del direttore della fotografia, Daniele Ciprì, che condensa nell’atmosfera pop la narrazione visiva, creando una liaison tra gli episodi.

Le avventure di Zero sono accompagnate da una colonna sonora puntuale. Il brano di Mahmood dal titolo Zero, scritto da A. Mahmood, D. Petrella, D. Faini e prodotto da Dardust, è la colonna sonora che chiude la serie e farà parte del nuovo album di Mahmood. I brani selezionati rappresentano quello che è il panorama musicale contemporaneo: hip hop, rap, trap e declinazioni presenti e future.

Zero nasce da un idea semplice, che dimostra come si possa fare serialità di genere, spesso dominio indiscusso delle produzioni d’oltreoceano, anche in Italia, senza essere così radicati nella propria “periferia” da lambire il provincialismo.

Antonio Dikele Distefano con Zero rappresenta la black wave del panorama artistico italiano, in cui sono molti i professionisti di origine africana che si danno da fare nel cinema e in altri settori della cultura in Italia.

La serie Zero che Ilaria Castiglioni, manager per le serie originali italiane di Netflix, ha tenuto a battesimo, rappresenta un normale contesto sociale suburbano. Ciò che la rende un “fenomeno” è che la storia ha come protagonisti dei ragazzi italo-africani. Stupore immotivato,  scollamento dalla realtà, perché le periferie italiane sono un incredibile crogiuolo multiculturale, dove spesso l’unico “bianco” sei tu.

Ciò che davvero è fenomenale, è godere di un buon prodotto di intrattenimento, in cui i giovani di molti paesi riusciranno facilmente ad identificarsi.

Zero e i suoi amici, come molti ragazzi, hanno voglia di riscatto, di emergere, di esistere e fare la differenza. Finalmente la narrazione cinematografica delle periferie si è evoluta dai cliché a cui siamo abituati. Niente più “impicci” di droga o territori da spartire, ma studi di registrazione, musicisti e fumettisti, perché anche questa è la periferia.

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