La Stanza il film diretto da Stefano Lodovichi è un thriller che si svolge interamente all’interno dell’abitazione di Stella (interpreata da Camilla Filippi). Questa scelta ricorda molto “Room” di Lenny Abrahamson, simile anche per alcuni temi toccati, ma anche “Mother!” di Darren Aronofsky. In quest’ultimo caso il ruolo della casa è fortemente connotato simbolicamente. In “La stanza” è solo un argine di difesa, non solo per Stella: il contrario, o forse non così tanto, di quanto accade in “Room” dove la stanza è una costrizione e un limite insuperabile.
Il nuovo film di Stefano Lodovichi è un film incentrato su tre soli personaggi. Si tratta di Giulio, Stella e Sandro, interpretati rispettivamente da Guido Caprino, Camilla Filippi ed Edoardo Pesce.
La casa è resa protagonista da Lodovichi (regista e cosceneggiatore) al pari degli altri personaggi. Una casa isolata, non più elegante come un tempo, ora porta sulle pareti i segni degli anni e delle persone. Il corridoio delle camere con il piano reclinato del muro blu è indimenticabile.
Una sola ambientazione, un interno, pochi personaggi. Elementi minimali per una struttura complessa.
Tanti indizi sono disseminati per preparare il momento in cui la direzione cambia e i segreti cominciano a emergere. Non si tratta di segreti che possono sconvolgere il mondo, ma certamente il mondo che si crea attorno a una famiglia, “il regno” che si costruisce per i propri familiari. Questo mondo, questo regno, viene violato da uno sconosciuto che però sa fin troppo dei suoi meccanismi interni. Stella è spaventata e incuriosita allo stesso tempo. Giulio rassicurante con i suoi occhiali dalla montatura nera (rivelatori della sua personalità specie quando verranno tolti), i capelli mossi e senza barba. Ma anche minaccioso.
Si insinua nella vita di Stella gradualmente e inesorabilmente. È una costante presenza che aleggia, prima di rivelarsi: la messa in scena lo fa parlare sempre fuori campo, prima di mostrarlo. Se anche non lo si nota è lì, pronto a entrare, deciso a superare ogni soglia, prima fisica e poi psicologica, forzando Stella ai limiti del gaslighting.
Una presenza-assenza in qualche modo simile alla stanza che dà il titolo al film, la cui vera natura è una delle rivelazioni della storia. La sua prova di attore è molto convincente. C’è un passaggio della sua interpretazione in cui non si può non pensare a una citazione da Jack Nicholson in Shining di Stanley Kubrick.
Stella, non si dicono bugie! Tensione piú che suspense
Stella è catatonica, quasi, spesso riportata alla realtà proprio da Giulio. Come all’inizio del film quando si sofferma con il bicchiere sotto l’acqua anche dopo averlo riempito, con lo sguardo perso e Giulio che la scuote. Un personaggio triste, psicologicamente molto provato dalla vita. La sua recitazione è ottima.
Aveva un marito dal quale ora è separata, Sandro (Edoardo Pesce). Il film ce lo fa conoscere e con il suo ingresso in scena la situazione precipita di colpo. Da subito il rapporto tra lui e Giulio si fa chiaro. Sandro chiede, stizzito: “come mai hai la mia camicia?”. “Ho anche i tuoi pantaloni”, risponde Giulio.
È un thriller in cui gli episodi di suspense non sono ricorrenti ma la tensione è costruita tutta sulla psicologia dei personaggi. La rivelazione chiave della sceneggiatura, considerata dal punto di vista del messaggio implicito che ha per lo spettatore e al di là degli artifici tecnici di scrittura, può essere vista come un dono: la possibilità di conoscere in anticipo, dalla viva voce delle persone con cui ci relazioniamo, gli errori che stiamo commettendo. “Stella, non si dicono le bugie. La verità è alla base di ogni buon rapporto”, dice Giulio rivolto alla coppia.
La casa dalle finestre che non ridono
Tornando sulla casa com’è stata messa in scena da Lodovichi, un ruolo importante è rivestito dalle finestre. Stella vorrebbe lanciarsi dalla finestra; in seguito, come fa anche Sandro, cerca una via di fuga facile dalla finestra. Ma lo sguardo del regista non è mai davvero verso l’esterno, anzi sempre rivolto verso l’interno. La macchina da presa quando esce dalla casa si posiziona al di fuori di una finestra, ma continua a guardare dentro.
È impossibile poter uscire da quella casa, anche solo con lo sguardo, senza aver messo sul tavolo (letteralmente, guardando il film) tutti i problemi e le loro soluzioni. Suona come un invito a non lasciare irrisolti i problemi della vita domestica quotidiana, prima di affrontare il mondo esterno.
Condito da una musica che spesso pare provenire dalle stesse menti dei personaggi e che pare essere il rumore dei loro pensieri, il film ci trascina dentro un piccolo mondo fatto di segreti e contrasti. Colto nella freddezza di una giornata piovosa che fa venire alla mente “Una pura formalità” di Giuseppe Tornatore. Ma anche un altro suo film, “La migliore offerta”, ricordato da una fessura nella parete e la stanza al di là di essa.
Dopo “In fondo al bosco” Lodovichi torna a parlare di temi analoghi e torna a lavorare con Camilla Filippi. Il suo primo lungometraggio era stato “Aquadro” del 2013. Sempre regista e collaboratore nella scrittura, questo è il suo terzo lungometraggio.
Ci sono le battaglie di ognuno che spesso con piccole attenzioni possono essere concluse senza farle ristagnare nell’animo fino a lasciarglielo corrodere.
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