Vi sarete chiesti piú volte quali sono i film horror da vedere. Su Prime, Netflix, Sky si trovano tantissimi film horror belli, ma é difficile scegliere. L’horror è un genere fondativo dell’immaginario cinematografico. Questo breve excursus si vuole concentrare sulla produzione più significativa degli anni Dieci di questo nuovo secolo senza avere però l’ambizione di essere né esaustivo né completo. Lo scopo è quello di fornire delle linee guida sullo stato dell’horror oggi e di indicare le dieci pellicole, a nostro giudizio, da (ri)vedere. Film horror streaming ce ne sono tanti, ma é difficile orientarsi per cui meglio farsi indirizzare. Un inizio per il lettore che vuole approcciarsi a questo genere e anche a quello più smaliziato che lo voglia approfondire. Un modo per gettare le basi per intraprendere un percorso più personale. Se non vi piace il genere horror e avete paura, non perdete almeno altri titoli che invece possono fare al caso vostro.
Ma torniamo ai film horror belli. In attesa del 9 aprile e di farci terrorizzare dalla nuova serie Prime Them, la serie horror sul razzismo in America iniziamo a introdurvi ai film che dal 2010 in poi hanno lasciato il segno nel genere horror
Tra Wes Craven e il New Horror francofono
È indubbio che gli anni precedenti hanno visto due eventi significativi. Da un lato, il compianto Wes Craven (1939-2015) che con Scream ha portato alle estreme conseguenze il concetto dell’horror inventando una nuova icona entrata nell’inconscio collettivo e sovvertendo i meccanismi del genere, esplodendoli, denudandoli e moltiplicandoli. Del resto, l’ultima opera, prima della morte, è stato il quarto capitolo della serie sui serial killer che si celavano dietro la maschera ispirata all’Urlo del pittore norvegese Edvard Munch. Simbolo di quel terrore della quotidianità che si è instaurata nella società moderna.
Dall’altro lato, abbiamo assistito alla stagione (breve) del “new horror francofono” – i cui principali artefici sono stati Pascal Laugier, Alexandre Aja, Alexandre Bustillo e Julien Maury, Xavier Gens, Fabrice Du Welz – che hanno rivitalizzato il genere rivelando l’orrore dietro ambienti borghesi, con uno sfondo politico e al cui centro c’è il corpo, la sua decostruzione fisica e violenta, campo di uno scontro per il possesso e l’affermazione del potere sull’umano.
Molti di questi autori hanno continuato anche in anni recenti, spesso perdendo la loro originale vitalità innovativa, riciclandosi in altro (come il fantasy o il thriller), ma agendo da elementi seminali per nuovi autori affacciatisi negli ultimi tempi. Pascal Laugier con il suo La casa delle bambole – Ghostland(2018) cerca di restare nel solco iniziato con Saint Ange (2002) e Martyrs (2008), pur trasferendosi in terra americana con il successivo I bambini di Cold Rock (2012). L’allieva di questa scuola con maggiore talento, che ha assimilato la lezione, è sicuramente la giovane Julia Ducournau che, con l’opera prima Raw – Una cruda verità (2016), ha fatto sentire una voce originale e cristallina, in attesa di conferma.
I fratelli maggiori e gli outsiders
Ci sono poi autori affermati che si sono cimentati con il genere continuando un discorso personale, come ad esempio Jim Jarmusch con Solo gli amanti sopravvivono (2013), che rielabora i topoi del vampirismo in ritmi lenti e in scenari decadenti, pieno di fascino visivo e con uno sguardo intimista. Oppure, il messicano Guillermo Del Toro che riprende le storie gotiche di fantasmi con il suo Crimson Peak (2015) in un’operazione di riuscita memorabilia.
Invece, Il francese Gilles Marchand con Dans la foret (2016) si cimenta in un horror psicologico, mentre Gore Verbinski, regista di Rango, dirige La cura del benessere (2016) tra denuncia di un capitalismo chiuso in se stesso e un recupero degli stilemi del cinema degli anni Trenta. Ma abbiamo anche la commistione tra horror e western di Bone Tomahawk (2015) opera atipica di S. Craig Zahler, autore che gioca con il genere e in cui trasla la lucidità della sua scrittura (è anche autore di romanzi e musicista) in immagini secche e violente.
La nuova factory dell’horror: Blumhouse
Si deve poi citare la Blumhouse Productions fondata nel 2000 da Jason Blum che ha praticamente segnato – nel bene e nel male – tutto la produzione del genere, applicando idee semplici ed efficaci, lavorando sul jump scare e sull’essenzialità delle scenografie e dei cast. Un lavoro che ricorda l’operazione compiuta da Roger Corman con la sua factory negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso. A Blum si devono i successi della serie Paranormal Activity, Insidious, La notte del giudizio, Sinister, Ouija, tra alterne riuscite qualitative ma di sicura presa sul pubblico (in particolare giovanile). Grandi successi commerciali che gli hanno permesso di produrre anche film mainstream e autori di grande interesse (tipo DamienChazelle, M. NightShyamalan, Spike Lee) oppure di lanciare nuovi giovani autori (come Scott Derrickson, Mike Flanagan o Jordan Peele).
I temi principali del decennio
È solo la punta dell’iceberg. È un possibile percorso di un genere vasto e commercialmente vincente.
Di questo decennio possiamo riassumere tre elementi principali.
Il primo è la commistione dei generi cinematografici – elemento ormai acclarato nel cinema dagli anni Ottanta in poi – ma che nell’horror ha visto la sua assimilazione in questi ultimi tempi. Così la cosiddetta “purezza” dei topoi dell’horror si è persa e per trovare opere originali bisogna guardare a quei registi che innestano, sperimentano, tradiscono, recuperano, decostruiscono la macchina cinema, creando paura e disagio spesso dall’assemblaggio di elementi diversi e contrastanti.
Il secondo elemento è la centralità del corpo. Il maestro assoluto è stato David Cronenberg con le sue prime pellicole del “body horror”. Quel virus visivo si è diffuso anche nelle generazioni successive, in cui il corpo è terreno e cultura delle paure che nascono nella mente dei personaggi e crescono al di fuori di esso.
L’ultima caratteristica è che un genere “antico” come l’horror vede temi e personaggi “giovani”. Quasi sempre i protagonisti sono bambini, adolescenti, giovani donne e uomini in cui il momento della crescita o il confronto con il mondo degli adulti provoca delle rotture insanabili dove si annida il seme della paura e lo scoppio dell’orrore.
Infine, ecco che vi segnaliamo dieci film di altrettanti registi rappresentativi di questo decennio. Lo ripetiamo: è un possibile percorso, consci che molti sono rimasti fuori.
1. Quella casa nel bosco (2012) di Drew Goddard
Il mondo racchiuso in una scatola dell’orrore. Ogni anno quattro giovani sono attirati in un luogo predefinito per essere sacrificati a divinità antiche e ancestrali. Il meccanismo del genere è rivelato e scoperto, messo in scena come in un gioco di ruolo. Rivoluzionaria discesa verso l’Apocalisse, metafora del mondo adulto conservatore e controllore in cui le giovani generazioni non sono altro che oggetti inconsapevoli di un destino già deciso. Goddard prende a sberle il pubblico, se ne fa beffe e alla fine fa crollare l’intera realtà. Meglio l’estinzione che una vita senza senso e ingabbiati come animali. Un capolavoro per l’apertura del decennio.
2. Le streghe di Salem (2012) di Rob Zombie
Musicista e regista Rob Zombie è un autore horror a tutto tondo e tra i più interessanti e discussi di questi anni. Ha creato la famiglia di assassini cannibali in La casa dei 1000 corpi (2003), La casa del diavolo (2005) e 3 From Hell (2019). Ha rinverdito e rielaborato in modo originale la maschera di Michael Myers creata da John Carpenter con Halloween – The Beginning (2007) e Hallowen II (2009). Le streghe di Salem è la sua opera più matura, in cui la fusione tra immagine e musica crea un evento ipnotico e psichedelico. Riprendendo la leggenda delle streghe della cittadina del Massachusetts, trasporta gli eventi ai giorni nostri. Sheri Moon Zombie, moglie, attrice feticcio e musa, dà il meglio di sé nell’interpretazione di una dj di una radio locale che presto scoprirà essere una strega. Opera sinestetica, oltre a essere vista va ascoltata e sentita con tutti i sensi per trapassare il mistero della storia messa in scena con molto controllo dal regista.
3. Sinister (2012) di Scott Derrickson
Ancora un prodotto della Bloomhouse. Ancora l’inizio di una serie. Ma il primo diretto da Derrickson è quello più riuscito. Il Male si nasconde all’interno di un filmato e la sua visione da parte di un gruppo di bambini avrà conseguenze devastanti. Operazione metacinematografica, citazione di Ring (1998) di Hideo Nakata, la bobina che si trova nella casa infestata diventa veicolo di omicidi incontrollabili. Mai come in questo caso la “visione” provoca la morte. Tensione alle stelle, innesti anche da Cigarette Burns – Incubo mortale (2005) di John Carpenter, Derrickson compie un’operazione di ibridazione tra cinema giapponese e americano.
4. L’evocazione – The Conjuring (2013) di James Wan
Quel geniaccio di James Wan: inventore di Saw – l’enigmista (regista del primo nel 2004 e sceneggiatore e produttore dei vari sequel) e anche regista del primo film della serie Insidious (2010) prodotto dalla Bloomhouse. Basato su una storia vera e sulle attività di cacciatori del paranormale della coppia Ed e Lorraine Warren, L’evocazione rielabora il topos della casa infestata riuscendo a costruire una continua suspense fino al climax esplosivo. Una certosina ricostruzione degli anni Settanta e la capacità di mescolare realtà e finzione danno un senso quasi da reportage finzionale. Il dubbio tra ciò che è veramente accaduto e ciò che è fantasia crea un senso di angoscia che ti accompagna anche dopo la fine della visione. Gli oggetti intorno a te prendono un diverso significato e lo sguardo dello spettatore rimane modificato così da cambiare la visione della realtà. Il primo di una trilogia che mantiene un’ottima fattura nella messa in scena e nella direzione degli attori (il terzo episodio è di prossima uscita). Film seminale che ha creato diversi spin off (questi, purtroppo, di scarsa qualità come Annabelle del 2014, oltre a vari sequel, e The Nun – La vocazione del male del 2018).
5. Babadook (2014) di Jennifer Kent
Debutto nel lungometraggio della giovane regista australiana, Jennifer Kent rielabora in modo originale la maschera del “baubau”, del mostro che si nasconde sotto il letto o nell’armadio e che di notte viene a tirarti i piedi negli incubi infantili. Qui abbiamo una madre single con un figlio con problemi comportamentali e uno strano libro illustrato che racconta del Babadook, essere della notte e del buio. Ombre e suoni sinistri, primi piani urlanti del bambino e del volto stravolto dalla stanchezza della madre. La difficoltà di crescere un figlio si traduce nella metafora della paura inconscia che si materializza in uno spirito maligno. Con eleganza, misura e pochi mezzi, la Kent costruisce una favola nera che indaga sulle nostre paure più intime. Un film che non lascia indifferenti (e ti fa lanciare uno sguardo sotto il letto prima di andare a dormire).
6. It Follows (2014) di David Robert Mitchell
Coming of Age da paura. La maledizione che si trasmette per via sessuale. Una ragazza fa sesso con un ragazzo e comincia a essere perseguitata da una presenza maligna che la insegue per ucciderla. Per liberarsene deve trasmetterlo a qualcun altro. Straniante, desolante, crudele, il gruppo di amici della ragazza cerca di risolvere il mistero e di salvarla. Una continua fuga, metafora dell’età adulta che vuole ghermire e uccidere la giovinezza. Crescere fa paura. Mitchell mette in scena l’assenza-presenza del Male, giocando sugli scarti della macchina da presa e di quello che rimane fuori quadro. Tra le scene più belle, quella nella piscina di notte per catturare il demone, sentito omaggio a Il bacio della pantera (1942) di Jacques Tourneur.
7. The Witch (2015) di Robert Eggers
Il Seicento dei Puritani nel Nuovo Mondo. Una famiglia abbandona la comunità per vivere isolata ai margini di una foresta. Ma il diavolo è una presenza che si rende visibile grazie alla figlia adolescente. Eggers è tra i registi più talentuosi di questi anni – suo anche il notevole The Lighthouse uscito quest’anno – e The Witch è cinema in cui le immagini sono materiche e pittoriche. La palette dei colori e la luce naturale creano l’atmosfera dell’avanzare ineluttabile del Male. Intensità visiva in un controllo dello spazio-tempo scenico che rasenta la perfezione. La paura dell’ignoto è in ogni inquadratura dall’inizio alla fine.
8. Goksung – La presenza del diavolo (2016) di Na Hong-jin
I tempi d’oro del J-Horror sono passati, ma hanno lasciato il segno. Dal Giappone ci trasferiamo nella Corea del Sud. Uno straniero (un giapponese, tanto per intenderci) arriva in un piccolo villaggio sudcoreano. Iniziano strane possessioni, morti che camminano, tempeste improvvise. Un poliziotto cerca di lottare contro la presenza malvagia con l’aiuto di un esorcista, ma il Diavolo riesce a dare l’ultima zampata. Confronto politico-culturale tra giapponesi e coreani, tra cristianesimo e buddismo. Na Hong-jin ibrida un po’ tutto: dai film di zombi a quelli di esorcismo, dalla possessione alla casa infestata. A volte ci riesce a volte si fa prendere la mano. Ma rimane un’operazione coraggiosa e un film da vedere per uno sguardo all’evoluzione dell’horror nel cinema dell’Estremo Oriente.
9. Scappa – Get Out (2017) di Jordan Peele
Altro enfant prodige, Peele è un comico di colore e la sua opera prima è un horror-sociopolitico. Il razzismo è una prassi costante nella società statunitense e il giovane protagonista fidanzato con una ragazza bianca passa il weekend nella casa di famiglia. Genitori ambigui e da brividi fin dall’inizio, con il nostro che cadrà in un incubo senza fine. Ma la ribellione della comunità nera contro i ricchi bianchi è dietro l’angolo. Candidato agli Oscar in diverse categorie, Peele lo vince per la miglior sceneggiatura (caso raro). Si ripete con il recente Noi (2019), continuando il discorso di analisi spietata e di condanna di una società oppressiva e razzista. Ormai, Peele, con Eggers, è una certezza del new horror americano (e sempre prodotto dalla Bloomhouse di Jason Blum).
10. Hereditary – Le radici del male (2018) di Ari Aster
Finiamo con un altro giovane di talento anche se tra i più divisivi. Una famiglia con strane origini (la nonna apparteneva a una congrega di un culto pagano) si confronta con strani eventi fino a un finale dove il Male ottiene ciò che si prefiggeva. Attento al dettaglio, Aster muove la macchina da presa come un demiurgo e utilizza gli attori come burattini facendoli agire in spazi claustrofobici. Siamo in una casa di bambole del demonio, dove i destini di tutti sono già segnati. Il suo successivo Midsommar – Il villaggio dei dannati (2019) ripete l’operazione ampliando lo studio dello spazio come contenitore dell’orrore dalle radici folcloriche (nordiche questa volta). Per molti il suo migliore, noi continuiamo a preferire il suo debutto. Comunque, da vedere entrambi. A voi la scelta.