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Morire di lavoro. Conversazione con Licia Lanera protagonista femminile di Spaccapietre di Gianluca e Massimiliano De Serio

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Diretta da Gianluca e Massimiliano De Serio abbiamo chiesto a Licia Lanera protagonista femminile di Spaccapietre di raccontarci il film dal suo punto di vista e da quello dei registi torinesi. Presentato alle Giornate degli Autori, Spaccapietre vi figura come unico film italiano del concorso. 

Morire di lavoro. Vedendo Spaccapietre e sapendo di intervistarti mi è venuto in mente il film di Daniele Vicari Sole, Cuore Amore che come quello di Gianluca e Massimiliano De Serio affronta anche questo tema. In fase di preparazione è un’opera che hai incluso nel tuo percorso formativo?

No anche perché quella che muore di lavoro non sono io. Per quanto mi riguarda tendo ad attingere dal reale. La realtà per me è fonte inesauribile di dettagli dunque più dell’immaginario artistico preferisco ispirarmi alla cronaca o anche alle vicende della mia terra, cioè la Puglia. Poi ti devo dire che essendo Spaccapietre la mia prima esperienza cinematografica ho preferito arrivarci più pura possibile per non rischiare di inficiare in qualche modo il mio lavoro e per non infrangere la dimensione di scoperta presente sul set.

Raccontando del rapporto tra un padre e un figlio freschi di lutto famigliare per la morte della madre – di cui in seguito tu diventerai figura sostitutiva – e costretti a sopravvivere in un mondo desolato e ostile, il film fa riferimento innanzitutto alla condizione dei diseredati italiani e non obbligati ad accettare condizioni di lavoro disumane. Sei d’accordo che sia questo il punto da cui partire per la lettura del film?

Per la sua crudezza Spaccapietre può sembrare in qualche modo un film espressionista. In realtà racconta davvero il presente. In questo caso un tipo di lavoro estremo di cui durante il  lockdown si ha avuto ancora di più evidenza; parlo di quello sommerso dei braccianti del sud Italia ma anche della mia realtà e mi riferisco alla precarietà dei lavoratori appartenenti al mondo dello spettacolo. L’Italia è un paese che si deve interrogare non poco sulla questione del lavoro. Spaccapietre lo fa a livello politico e anche umano.

Spaccapietre film

Backstage in Puglia del film SPACCAPIETRE: nel cast Salvatore Esposito, il Genny Savastano di ‘Gomorra’
Puglia, giugno/luglio 2019. Al via le riprese del film ‘Spaccapietre’: nel cast Salvatore Esposito, il Genny Savastano di ‘Gomorra’
Girato fino al 6 luglio tra il capoluogo, Spinazzola e Pulsano, la pellicola di Gianluca e Massimiliano De Serio. Al centro delle riprese, le conseguenze per la morte di una bracciante.
Foto Kash Gabriele Torsello

Le prime immagini girate in campo lungo all’interno della cava ma anche le altre che ti riguardano da vicino ci mostrano letteralmente quanto i protagonisti siano ingranaggi della macchina lavoro, disumanizzati e considerati solo in veste di pura manovalanza. In questo senso Spaccapietre mi sembra si possa definire tra le altre cose un film marxista nel vero senso della parola.

Ti devo dire la verità, rimango piacevolmente impressionata da questa tua affermazione. Ti posso dire che mentre giravo ho avuto questa sensazione anche grazie alle conversazione avute con i due registi. Dunque la tua mi sembra una grande definizione, peraltro corrispondente al mio punto di vista.

Dopo 7 opere di misericordia anche in Spaccapietre i fratelli De Serio partono dalla realtà per poi trasfigurala attraverso un processo che riguarda tanto le immagini quanto i dialoghi. In questo caso storia e personaggi vengono raccontati per archetipi rappresentando al tempo stesso una situazione reale e contingente ma anche metaforica, simile a una fiaba universale. E qui penso all’affermazione del padre che rivolgendosi al figlio promette di restituirgli la madre appena scomparsa. In quel caso la favola si mescola alla realtà, determinandola.

In generale e anche per un gusto personale frutto della mia esperienza teatrale, penso che quando si racconta una storia così legata alla realtà, l’utilizzo dell’iperbole sia un modo per renderla ancora più viva, più forte. Nel momento che tu fotografi il reale così com’è  cioè nudo e crudo, senza metterci l’elemento iperbolico o fantastico, esiste il rischio di fare una fotografia del modello originale. Al contrario se c’è uno scarto verso la surrealtà è come se il favolesco e ancora l’archetipo facessero diventare universale qualcosa che prima apparteneva solo a noi. In questo modo quel papà e quel bambino e anche la donna siamo noi. Non è più una storia personale ma di tutti. Attraverso la condivisone delle emozioni e l’empatia con i personaggi  la funzione politica del film ha un vero senso perché diventa qualcosa di diverso rispetto ai resoconti televisivi. D’altronde una delle funzioni dell’arte è proprio questa e cioè di creare quella cosa in più rispetto alla cronaca dei telegiornali e dei reality.

Nel film entri in scena per la prima volta in una delle sequenze più belle e significative. La stessa è una summa di quello di cui abbiamo parlato perché il suo oggetto non riguarda solo un fatto contingente, ovvero il trattamento della carcassa di un cinghiale appena ucciso ma anche la rappresentazione metaforica del rapporto tra servo e padrone.

Quella scena oltre a essere incredibile di per se lo era perché il cinghiale aveva un odore nauseabondo. E’ vero ciò che dici perché in qualche modo c’è di mezzo il senso di questo film anche in termini di iperbole. Nella scena vediamo che le interiora nella loro fuoriuscita ricoprono il mio corpo in maniera copiosa. L’idea era quella di rendere lo straboccare del sangue e per questo il cinghiale è stato riempito di un numero di interiora più alto del normale. Oltre all’elemento iperbolico di cui dicevamo la cosa fondamentale è stata che dopo questa violenza psicologica il mio personaggio comunque incassa e va avanti, senza sfogare la rabbia ma neanche mollando la presa. Spaccapietre è pieno di speranza e di dignità senza però entrare nella retorica del lieto fine. La scena è l’iperbole di questa situazione, di questa voglia di appropriarsi di un futuro migliore: senza melò ne buonismo ma con la fierezza e la dignità che rende migliori dandoti la forza per riuscire a compiere uno scarto sociale ed emotivo nei confronti di quel mondo.

Si tratta di una scena altamente performativa valorizzata dalla centralità del punto di vista e dalle riprese in campo lungo. Ad introdurre il tuo personaggio non sono ne i dialoghi ne un immagine pregressa. Appari davanti alla mdp senza che di te si sappia nulla. A fornire le informazioni è altresì il tuo corpo, sottomesso e umiliato da quello del suo interlocutore. Parliamo di una sequenza fortemente pasoliniana a iniziare dalla postura dei corpi atta a stabilire chi è vittima e chi carnefice.

Questo è un film che ha dei corpi importanti. Non solo perché sono tutti quanti dei fisici imponenti ma in quanto ognuno è fortemente performativo. A Teatro lavoro tantissimo con il fisico per cui penso che la scelta dei registi sia anche dipesa da questo. Quando ho portato in scena una piece di Pier Paolo Pasolini un giornalista scrisse che il mio era un corpo politico. Qualche hanno fa misi in scena la rappresentazione di un orgia che credo i fratelli De Serio abbiano visto, intercettato e sfruttato all’ennesima potenza nella visualizzazione del mio personaggio.

Backstage in Puglia del film SPACCAPIETRE: nel cast Salvatore Esposito, il Genny Savastano di ‘Gomorra’ Bari 1 giugno 2019
Al via le riprese a Bari del film ‘Spaccapietre’: nel cast Salvatore Esposito, il Genny Savastano di ‘Gomorra’
Girato fino al 6 luglio tra il capoluogo, Spinazzola e Pulsano, la pellicola di Gianluca e Massimiliano De Serio. Al centro delle riprese, le conseguenze per la morte di una bracciante.
Foto Kash Gabriele Torsello

Nel cinema dei due registi la composizione dell’inquadratura, soprattutto la posizione dei corpi all’interno dello spazio è alla pari del testo scritto foriera di significati. Alla luce di questo che indicazioni ti hanno dato nel girare quella scena? Avete parlato solo del personaggio o hai ricevuto anche suggerimenti tecnici rispetto a come muoverti all’interno di quello spazio?

Per quanto riguarda lo spazio i registi hanno creato una vera e propria geometria. Sui risvolti emotivi posso dirti che quanto accadeva sulla carta si è davvero ripetuto di fronte alla mdp. Poi sai, io vivo molto la dimensione reale di quel momento e rispetto al teatro il cinema ti mette di fronte a cose vere. A teatro facevo uno spettacolo con un maiale ma quest’ultimo era finto come tutto quello che stava sul palco. Nel film invece era tutto vero, l’odore del cinghiale così come l’acqua gettatami addosso. Se, come me, sei un attore che ha voglia di lavorare visceralmente con quello che lo circonda allora ogni tua reazione diventa reale. I registi mi hanno lasciato molto libera di fare e sono state poche le volte in cui mi hanno detto come muovervi o esprimermi. Abbiamo creato delle geometrie all’interno delle quali potevo agire in libertà.

La scena è potente anche come sintesi della condizione femminile. In essa ogni gesto diventa simbolico a cominciare dal fatto che il padrone non tocca l’animale sporco di sangue costringendone la donna a lordarsene. Ed è sempre l’uomo attraverso l’acqua della pompa a detenere il potere di purificare la vittima restituendola alle sue normale sembianze. 

Hai ragione è una scena molto simbolica. L’abbiamo rifatta non più di due tre volte e nell’ultima della serie  piangevo veramente per quanto ero immersa in quella dimensione. Anche l’altro attore, Vito Signorile che conosco da molti anni come persona e come attore, è stato molto bravo. Volendoci bene abbiamo potuto raggiungere quell’abisso senza bisogno di recitare. Ecco, questa cosa ha giocato molto a favore della sua riuscita perché lui è stato di una violenza inaudita. Vito è un corpo molto importante, direi quasi parlante. All’interno dello scannatoio che ha le stesse minuscole dimensioni che hai visto nelle immagini c’era un odore fortissimo del cinghiale morto e una tensione pazzesca che ancora mi porto addosso. Mi sentivo del tutto immedesimata nella situazione del mio personaggio,  nella sua condizione di vittima di una violenza e dello stupro annunciato dal getto d’acqua così come in quella quella di dover essere io a mettere le mani sul corpo maleodorante dell’animale. Lui in camicia e io invece compromessa nella maniera in cui ti ho detto. In quella immagine si interseca la condizione politica, femminile, sessuale e come hai detto pasolinana, data appunto dalla commistione tra politica e sesso.

A tal proposito viene in mente anche Portiere di notte di Liliana Cavani.

Certo certo, sono d’accordo!

Il film procede per ellissi e questo ha comportato per gli attori la necessità di farsi portatori del non detto e del fuori campo che precede la loro entrata in scena. Immagino non sia stato un lavoro semplice?

Soprattutto per me che vengo dal teatro in cui invece si lavora sulla sequenzialità.  Cioè sul palco io inizio da un principio, mi evolvo e arrivo alla fine compiendo un percorso di progressiva continuità. Nel film invece mi sono dovuta buttare alla kamikaze, della serie “siamo in pista dunque balliamo”.

Il film insiste molto sulla contiguità tra uomini e animali, segnati dal drammatico destino che finisce per accomunarli. In una scena al personaggio di Salvatore Esposito viene addirittura chiesto di annusarti dunque immagino che  tu abbia tenuto conto di questa condizione nella costruzione del personaggio?

Si, perché comunque questa dimensione di bestialità era necessaria anche per fare il film. Giravamo nei campi con una temperatura di quaranta gradi per cui se non ti mettevi in una condizione di “sporcatura” reale la recitazione non sarebbe mai stata verosimile. Insisto sulla necessità di immedesimazione e sulla capacità di sentire ciò che ti circonda. Farlo mi ha permesso di connettermi con quella parte della mia bestialità nella maniera in cui serviva al film. e poi a me nel momento i n cui mi sono dovuta rapportare agli animali presenti nella masseria in cui abbiamo lavorato. Pensa che a un certo punto il set è stato invaso da centinaia di pecore che sembravano non volersene più andare. Peraltro per me è stata una cosa piacevole perché io mi sento molto animalesca (ride, ndr). Da questo punto di vista girare il film è stato liberatorio, faticoso ma piacevole. L’animalesco era necessario sempre per quella condizione archetipica e fiabesca di cui parlavamo, spesso  interessata rapportarsi con il mondo animale.

La sequenza conclusiva, una delle più belle dell’ultimo cinema italiano ti vede ancora assoluta protagonista. In essa c’è la corsa senza fine del bambino e del tuo personaggio ma allo stesso tempo una condizione di perdita e insieme di restituzione motivata dal risvolto narrativo della scena precedente. Spaccapietre rimane sospeso in quella fuga verso l’ignoto raffigurato dalla dissolvenza in nero che conclude il film. Lascio alle tue parole il compito di raccontarla ai nostri lettori.

E’ una scena che abbiamo girato di notte ed è stata l’ultima dell’intero film. In quel periodo stavo girando a Roma un saggio accademico per cui viaggiavo avanti indietro senza dormire da circa 48 ore. Per ragioni legate ai piani sequenza con cui è costruita la scena dovevo continuare a correre anche oltre il pick up che seguiva la ripresa per cui ero sempre sul punto di morire dalla fatica. A un bel momento mi sono addirittura lanciata dentro la macchina dove c’erano i registi con i loro monitor.  In realtà incontrandoli a Torino qualche tempo fa i De Serio mi hanno detto di aver organizzato apposta la scena in quel modo perché volevano immergere la storia in una dimensione di totale stanchezza, appunto rappresentata da questa corsa estenuante. Loro cercano spesso questa dimensione e a me piace molto come ci arrivano. Invece di darti suggerimenti diretti sul come e cosa fare ti ci fanno arrivare attraverso una condizione fisica tale per cui l’emozione si libera in maniera naturale. Massimiliano e Gianluca hanno lavorato tanto sulla stanchezza facendoci ripetere più volte la sequenza. Io ero cosi sfinita che alla fine mi sono portata dietro quella stanchezza di cui il personaggio aveva bisogno. Dovevo trasmettere l’impossibilità di continuare a vivere in quel luogo e il desiderio di correre verso un altrove.

Ti sei trovata a recitare in un paesaggio spogliato di riferimenti toponomastici italiani e invece simile a quello di un Western. Considerato quello che abbiamo detto anche a proposito degli animali e dell’ambientazione in termini di suggestioni Spaccapietre mi ha ricordato anche un classico della letteratura come  Uomini e topi di John Steinbeck.

Io credo che ogni scelta è stata fatta per portare la storia in un luogo che non esiste e quindi per favorire l’identificazione e l’universalità. Lo scardinamento totale dalle coordinate della realtà è sempre andato in quella direzione. 

Produzione La Sarraz Pictures con Rai Cinema. In coproduzione con Shellac e Take Five. Prodotto da Alessandro Borrelli con Thomas Ordonneau, Gregory Zalcman, Alon Knoll.

 

  • Distribuzione: La Sarraz Distribuzione
  • Genere: drammatico
  • Nazionalita: Italia
  • Regia: Gianluca, Massimiliano De Serio
  • Data di uscita: 07-September-2020

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