“Il film di Richard J. Lewis è lontano da obiettivi meramente economici, dimostrandosi il frutto di una profonda passione per il romanzo del più importante scrittore canadese del ‘900”
Mordecai Richler è stato uno dei più importanti scrittori canadesi del secolo scorso. Scomparso a Montreal nel 2001, il suo penultimo romanzo – La versione di Barney, del 1997 – è stato accolto da critici ed estimatori come il suo capolavoro dai sapori autobiografici. Lo scrittore canadese, all’indomani della pubblicazione del suo romanzo, mandò subito il testo a Robert Lantos – produttore e deus ex machina dell’odierno film – il quale si innamorò immediatamente del racconto chiedendo a Richler di collaborare alla sua trasposizione filmica. Non era ancora il 2000 e già c’era in cantiere l’adattamento del romanzo de La versione di Barney. Ma il progetto fu abbandonato a causa della scomparsa dello scrittore, e perché Lantos – sincero cultore dell’opera di Richler – non riusciva a trovare sceneggiatori che fossero all’altezza di concludere l’adattamento iniziato dal romanziere.
Questo preambolo per mettere in luce, almeno in parte, il laborioso processo che ha portato alla definitiva stesura della sceneggiatura e alla realizzazione del film La versione di Barney, opera fortemente voluta dall’entourage produttivo che circonda il progetto, ma anche per fugare i sospetti da quello che potrebbe sembrare l’ennesimo film hollywoodiano ispirato a un romanzo di successo. Il film è invece lontano da obiettivi meramente economici, dimostrandosi il frutto di una profonda passione, empatia e pazienza realizzativa del romanzo del più importante scrittore canadese del ‘900.
La versione di Barney ripercorre buona parte dell’arco vitale di Barney Panofsky, ebreo acuto e vivace della buona borghesia di Montreal. Dopo aver passato la sua giovinezza da bohemien a Roma, e dopo 2 matrimoni naufragati, incontra la donna della sua vita che sposerà in terze nozze e che gli donerà un’esistenza meravigliosa. Con un lavoro ben retribuito ma non appagante – è il runner da decenni di una soap opera realizzata dalla casa produttrice “Produzioni Altamente Inutili” – e complice il suo alcolismo mal gestito, Barney si troverà a rimettere in discussione la sua vita, con una narrazione che seguirà il protagonista fino alla fine dei suoi giorni.
La versione di Barney è un film sui generis. Ispirato ad un romanzo, di questo ne rispetta profondamente le specificità linguistiche e narrative, senza lasciare che le esigenze cinematografiche ne alterino la poeticità. Nelle oltre due ore in cui si articola l’opera di Richard J. Lewis, la narrazione filmica si snoda con meticolosità e pazienza attraverso la lunga vita di Barney, senza che questa sia rivista e violentata rispetto a quanto Richler aveva previsto, andando a narrare con ponderazione la non breve esistenza del protagonista. Si assiste così ad un film che procede in maniera molto lenta nella sua prima metà, per meglio impostare gli assetti narrativi e sentimentali che verranno nella sua seconda sezione. Quello che rimane, a conclusione dell’opera, è la chiara percezione di aver assistito all’epopea esistenziale di Barney Panofsky, grazie ad una pellicola che ha potuto dare il giusto respiro alle gesta del protagonista e restituire così un affresco vitale degno di questo appellativo. Calibrando alla perfezione introspezione, dramma e commedia, Richard J. Lewis realizza un’opera maestosa, che gli consente di riapprodare al cinema dopo 8 anni di televisione.
Presentato con giusto successo all’ultima Mostra di Venezia, ora La versione di Barney pare essere in odore di nomination agli imminenti Oscar, anche grazie all’ottima prestazione attoriale di un Paul Giamatti perfettamente a suo agio nei mutamenti somatici necessitati dal percorso quarantennale in cui si dipana la narrazione. Fra le nomination, aggiungiamo noi, andrebbe di diritto inserito Michael Konyves per la sceneggiatura non originale, vero pilastro e cifra vincente del film. Colonna sonora tutta italiana del compositore Pasquale Catalano.
Emanuele Protano
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