Tutti i giornali ne parlano, lo abbiamo scritto anche ieri. Ci ha lasciato, all’età di 91 anni, il Maestro Ennio Morricone: icona, esempio, modello, creatore, musicista, artista, italiano. Lui avrebbe dovuto vivere per sempre e continuare a regalarci il suo talento sotto forma di note.
Dove c’era musica, c’era Morricone. E ogni radio nel mondo in questi giorni lo sta omaggiando. In Italia si è mosso in qualunque ambiente ci fossero note volanti, cinema ovviamente, ma anche televisione, scena musicale nazionale, orchestre, avanguardie, e chi più ne ha più ne metta. La storia di chiunque sia cresciuto dagli anni 70 in poi, ha sicuramente incrociato le sue melodie, quando per alcuni sono diventate un sigillo o una madeleine proustiana.
Ennio Morricone, da dove inizio
La mia storia, inizia con la televisione in sottofondo quando la sera mio padre si chiudeva in cucina per guardarsi in solitaria quelli che lui chiamava “gli spulvrazun”, un neologismo dialettale emiliano, che si potrebbe tradurre in “gli spolveroni”. I western, i capolavori, così come i film minori. E io mi fermavo lì accanto a lui anche da piccina a guardarmi un po’ di queste pellicole, che poi ho scoperto dopo non aver niente a che fare con me, ma di cui ricordo nettamente le musiche incalzanti. Quando anni più tardi, ho riguardato e studiato il genere per esigenze universitarie, ricordo che la mia scarsa simpatia per cavalli e finti indiani non era mutata; ma il rispetto profondo che nutrivo per le colonne sonore, si era piuttosto consolidata. Mio padre suonava il “ciddì” di Morricone in auto, ancora e ancora, perché troppo pigro per cambiarlo, o perché drogato di terriccio rosso.
Ennio Morricone deve la sua musica al padre, Mario Morricone, musicista. Fu lui che lo indirizzò a seguire i suoi passi, tant’è che la tromba li accomunava. Iniziò a comporre musica già negli anni 50, ma è solo agli inizi degli anni 60 che arrivò al cinema. Collaborò fruttuosamente con i registi della commedia all’italiana, tra i quali cito la recentemente premiata agli Oscar Lina Wertmuller, e il suo esordio alla regia I basilischi (1963). Ma chi è meno ferrato delle produzioni minori, o della carriera di Morricone in genere, tenderà a riconoscerlo a partire dal 1964, quando esce cioè la prima grande stella del firmamento della Trilogia del dollaro: Per un pugno di dollari (1964), poi seguito l’anno successivo da Per qualche dollaro in più (1965), e infine da Il buono, il brutto, il cattivo (1966). Li avevano chiamati Spaghetti western, ma gli spaghetti la coppia Leone-Morricone, li mangiavano in testa al resto del mondo.
Quello che i due sono riusciti a creare con la musica e le immagini, ha mostrato il ruolo indissolubile della colonna sonora nella struttura narrativa e significativa del film. La Trilogia del Dollaro senza l’opera di Morricone, non varrebbe neanche mezzo centesimo. E viceversa. Contemporaneamente in quegli anni, continuava a produrre per il western (Corbucci, Sollima, Giraldi, tra i tanti…) e non solo; collaborò con Pasolini per Uccellacci e uccellini (1966), e poi da lì in poi, tutti i più grandi se lo contesero.
E non eravamo ancora agli anni 70, quando davvero probabilmente avrà composto musica anche prendendo il cappuccino al bar. Sul finire di quel decennio, quando C’era una volta il West (1968) lo consegnò all’eternità, lui aveva già musicato Bernardo Bertolucci, Liliana Cavani, Elio Petri, Marco Bellocchio, Marco Ferreri e così via.
La super produzione degli anni 70
Una produttività travolgente: ci entrò immediatamente nelle orecchie con Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto di Elio Petri (1970), e iniziò a collaborare con Dario Argento con L’uccello dalle piume di cristallo (1970). È impossibile elencarli tutti, conferendo tutti dignità, soprattutto per qui rimangono parole e sarebbe più appropriato leggerle “in musica”. Nel 71 scrive, tra le altre, Sacco e Vanzetti di Giuliano Montaldo,di una carica travolgente ed eterea – Here’s to you con la voce di Joan Baez, che altro aggiungere… -, piuttosto che La classe operaia va in paradiso ancora con Petri.
Fu un creatore plastico, dalle molteplici percezioni. Si gettò anche nel documentario, calpestò i terreni della narrativa sperimentale, onirica. Nel mentre, registi stranieri lo reclamarono, e lui passò dalla Russia agli Stati Uniti alla Germania, componendo sempre con puntualità e una precisione minuziosa. La musica si adattava alla sceneggiatura, la storia riviveva nelle note. Leone fu il primo a capirne il potenziale: si muoveva come fosse un regista-ombra. La sua musica, soprattutto nei due “Once upon a time…”, nasceva prima della realizzazione della scena e gli attori ne traevano spunto, si allineavano, dal momento che veniva riprodotta durante le riprese.
Lungimiranza e talento, unita ad una serietà e una professionalità superiori, senza le quali non avrebbe potuto gestire l’enorme mole di lavoro che gli era richiesta.
Continuando ad arricchire il cinema italiano, arriviamo al 1976, quando Bertolucci gli affida Novecento e lui fa esattamente quello che gli è chiesto: condensa in un brano la storia di un secolo. Nel 1977 arriva L’esorcista II – L’eretico. Sul finire del decennio sembrò rallentare, sebbene nel 1979, dalla collaborazione con Terrence Malick, nasceva I giorni del cielo, l’ultima produzione prima del lungo stop del regista, con la quale Morricone finalmente ricevetta la prima candidatura agli Academy Awards.
Gli anni 80 e i grandi successi internazionali
Gli anni 80 furono un periodo di grande riscossa ed ascesa internazionale. Da questo momento Ennio Morricone infilò una serie di successi che si ripresentarono di frequente nelle collezioni di dischi e poi nei lettori mp3 del mondo.
Alla commedia nostrana regala i contorni scanzonati e fischiettanti dei film di Verdone, Un sacco bello (1980) e Bianco, rosso e Verdone (1981).
C’era una volta in America (1984) fu l’ultima collaborazione con Sergio Leone, che morì pochi anni dopo appena sessantenne. La colonna sonora è un delicato appunto che segue i personaggi e li delinea, favorendo la materializzazione delle loro vite nel tempo. Un capolavoro di ogni tempo, una di quelle musiche con cui mi piace educare le mie figlie ad immaginare con la loro testa. E con quello, Mission (1986), di Roland Joffé. Per tanti anni, anche da studente di cinema, mi riferivo al film come “quello musicato da Morricone”, che nella mia testa la colonna sonora prevaricava e avvolgeva la regia.
Intanto, in Italia diede vita alla struttura sonora di La piovra, con tutte le sue serie successive. La televisione italiana ha anch’essa un tributo da pagare alla musica di Morricone, che non si è mai concesso con troppa leggerezza al piccolo schermo, ma solo per prodotti di forza e tenore. Ad esempio, per Ultimo (2004) o le miniserie su Karol Wojtyla.
Si unì professionalmente in una florida collaborazione con Brian De Palma che lo volle innanzitutto per Gli intoccabili (1987)… e come dargli torto. Ma di quegli anni, mi rimane molto più nel cuore il toccante appunto regalato a Nuovo Cinema Paradiso (1988): Tornatore probabilmente eredita il posto di Leone e le produzioni che il connubio regista-musicista regalano la pubblico, sono un successo universalmente acclamato. I vertici del loro cinema, in questo decennio, sublimano nell’appena citato Nuovo Cinema Paradiso e, dieci anni dopo, ne La leggenda del pianista sull’oceano (1998).
Anni 90 e 2000
Tornando indietro, negli anni 90 Ennio Morricone lavorò al fianco di Pedro Almodovar (Legami, 1990), Barry Levinson (Bugsy, 1991, e più tardi Rivelazioni, 1994), Mike Nichols (Wolf – La belva è fuori, 1994) e nuovamente con Roland Joffé per una pellicola non troppo famosa, ma dalle note notevoli: La città della gioia (1992). Tutti i registi che hanno collaborato con Morricone, hanno riconosciuto l’assoluta miracolosità della sua attività di creazione: non arrivava per tentativi, la musica era come fosse già lì, solo da riportare sul pentagramma.
Negli anni duemila, Morricone ormai settantenne, rallentò le collaborazioni, selezionando con cura le sue produzioni, rallentando probabilmente anche il processo creativo. Iniziarono quindi ad arrivare i premi alla carriera. La collaborazione con Tornatore si fece sempre più solida: Malena (2000), La sconosciuta (2006), Baarìa (2009), La migliore offerta (2013) e La corrispondenza (2016). Questi sono i film la cui narrativa deve moltissimo al contributo sonoro di Morricone. Tornatore non sarà più lo stesso senza il contributo del Maestro.
Sul finire della sua carriera, tornò con Malick in un visionario viaggio, Voyage of Time (2016), che lo portò nuovamente lontano dai generi battuti; o forse, nell’era del digitale, molto più vicino al cinema in tutte le sue sfumature più evolute.
Quando mancava soltanto l’Oscar
Rileggendo l’infinita filmografia, e scorrendo tra i premi vinti, sembra ironico notare come l’Oscar, questo potentissimo creatore di colonne sonore immortali, se lo sia sudato fino al 2007, all’età di quasi ottant’anni. Delle sette nomination avute nel tempo, il film che lo ha premiato di più è del 2015: doveva arrivare Tarantino per aprirgli, anzi no spalancargli, le porte dei festival più rinomati. C’era una volta in America passato senza premi, probabilmente per un errore di iscrizione. Mission non era bastato, ed è diffusamente ritenuto un grande errore (o un bieco scandalo). Gli intoccabili, neppure.
Furono gli otto odiosi di The hateful eight (2015) che gli consegnarono la statuetta per la Miglior Colonna Sonora. Per un film che, tra i tanti, non mi sembra neanche fosse la perla delle sue creature.
Così, se ne va con una libreria piena di riconoscimenti: quattro Grammy, nove Nastri d’Argento, dieci David di Donatello, eccetera eccetera. Premi che attraversano la sua lunga e produttiva carriera di oltre cinquant’anni e diverse centinaia di concerti dal vivo. E due Oscar di recente conquista appunto, quando, nella sua maturità, continuava a strabiliare e rendere le platee dipendenti dalle sue melodie. Ma soprattutto, ci lascia con ancora la voglia di ascoltare la sua prossima composizione, come se non fosse possibile che questo tornado creativo abbia ora smesso di comporre. Abbia smesso di ammaliare il pubblico e influenzare generazioni di artisti.
Nel silenzio che ci lascia, sovrasterà per sempre la sua musica.