Dai fatti di Minneapolis a Che fare quando il mondo è in fiamme?
Per commentare i fatti di Minneapolis non c’è bisogno di scomodare la filmografia di Spike Lee. A sorprendere più di tutti per la competenza nei riguardi dell’argomento trattato è un’opera italiana: Che fare quando il mondo è in fiamme? diretta da Roberto Minervini
Per commentare i fatti di Minneapolis non c’è bisogno di scomodare la filmografia di Spike Lee. Da quando le note dei Massive Attack hanno iniziato a istigare la comunità nera a fare la cosa giusta, il cinema afroamericano ha reagito rispondendo alle lusinghe dell’industria con una militanza capace di mantenere alta la protesta, anche a fronte degli inevitabili compromessi. Così, accanto alle vittorie degli Oscar di Denzel Washington e Halle Berry, e alla conseguente commercializzazione del prototipo – anche estetico – da loro rappresentato (valga per tutti Black Panther, cartina di tornasole di un divismo, quello di attori come Michael B. Jordan, Lupita Nyong’o, Chadwick Boseman, in grado di competere – anche – sul piano economico con il modello WASP), è fiorita un poco alla volta una cultura di segno opposto.
È sorto un cinema di denuncia volto ad analizzare le conseguenze della discriminazione sul piano materiale e psicologico
In questo senso la rilettura dell’opera di James Baldwin, figura fondamentale del movimento per i diritti civili degli anni Sessanta e nume tutelare di una nuova sensibilità, intimista oltreché engagé, ha aperto la strada a forme di denuncia volte ad analizzare le conseguenze della discriminazione non tanto sul piano materiale quanto, piuttosto, su quello psicologico, con titoli quali Moonlighte Se la strada potesse parlare, capaci di conquistare ulteriori fette di mercato e di innescare consapevolezze un tempo assenti. Tra conferme e novità spicca negli ultimi anni l’assiduità della produzione documentaria (I Am Not Your Negro, XIII emendamento), pronta a scavare nel passato per rispondere alle sollecitazioni della società contemporanea e nei lungometraggi di finzione, un film come Fruitvale Station, dell’emergente Ryan Coogler, in cui si racconta l’ultimo giorno di vita di Oscar Grant, alla pari di George Floyd, ucciso dalla polizia nel corso di un controllo avvenuto nei pressi di una stazione della metropolitana.
A sorprendere più di tutti per la competenza nei riguardi dell’argomento trattato è un’opera aliena al movimento in questione: Che fare quando il mondo è in fiamme?
A sorprendere più di tutti per la competenza nei riguardi dell’argomento trattato è però un’opera aliena al movimento in questione: Che fare quando il mondo è in fiamme? diretta dall’italiano Roberto Minervini, riesce come pochi (e forse come nessun altro) a filmare dall’interno un ritratto problematico e non conciliante della comunità afroamericana di Baton Rouge, scossa da una serie di cruenti omicidi. Rileggere l’intervista al regista alla luce delle drammatiche immagini provenienti da Minneapolis conferma non solo la ciclicità della storia in rapporto all’agire umano ma attesta, ancora una volta, la capacità del cinema di saper leggere in anticipo il corso degli eventi. In attesa delle prossime puntate.
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