Le classifiche: gioie e dolori del critico, insieme al guilty pleasure delle stellette.
All’alba di una nuova era (la Fase 3, e cos’altro), vediamo di stilare non una classifica, neanche una graduatoria a stellette, ma solo un elenco di alcune tra le cose più belle che ci hanno folgorato in questo primo, importante e non tanto fortunato scorcio di 2020.
Tu vo’ fà l’americano
Procedendo per macrogeneri, partiamo dalle produzioni d’oltreoceano in quei campi dove gli amerricani, innegabile, sono imbattibili: ovviamente, il genere sci-fi. Che poi quest’anno siano andate in onda quasi solo distopie, questo è argomento che spetta a sociologi e a Festival: ma possiamo dire che non si può prescindere dalla visione di Upload, TalesFromTheLoop e Westworld. La prima, disponibile per i tipi di Prime Video, è un insolito connubio tra fantascienza futuribile e comedy romantica: due cose che sembrano distanti e sinonimo di fallimento (vedi Passengers, di Morten Tyndlum, del 2016) e che invece la serie di Greg Daniels maneggia con disinvolta abilità e sottile intelligenza. La storia: in un futuro non troppo lontano, chi muore ha la possibilità di far caricare la propria coscienza in una sorta di realtà virtuale, restando di fatto eterno. Dalle proprie disponibilità finanziarie dipende l’agiatezza della vita ultraterrena: se si hanno pochi soldi, ci si deve accontentare di un’esistenza con soli 2 giga al mese. Ma c’è chi sembra voler combattere il sistema: così come sembra che forse può nascere una storia d’amore tra un vivente e un uploadato. La parola chiave però è sembra.
Upload è frizzante e veloce, e nonostante parte da tante premesse che sanno di già visto riesce ad intrecciare la sua trama in maniera mai banale, offrendo riflessioni anche profonde su argomenti più diversi. La prima stagione di otto episodi è già disponibile sulle piattaforme, la seconda in cantiere – anche in vista del cliffhanger con cui si chiude.
Ambiente prorompentemente diverso per Tales From The Loop, che mette in chiaro fin da principio cosa sia una distopia. Ispirata al libro di Simon Stalenhag, e disponibile su Amazon Prime, prende spunto imprevedibilmente non da un racconto scritto in prosa bensì da illustrazioni: che con stile semplice e diretto, ma potentemente evocativo, racconta di un domani prossimo nel quale si presagiscono vite spaventose ed esistenze grigie di malinconia. La serie è ambientata a Mercer, cittadina immaginaria nel cui sottosuolo è tato costruito il Centro di Fisica Sperimentale chiamato il Loop, che nelle intenzioni del suo inventore, Russ Willard, deve esplorare i misteri ancora nascosti dell’universo.
Ma Amazon conferma la sua costante ricerca di autorialità (non dimentichiamo che è stata l’unica casa di produzione a dar credito, qualche anno fa, ad un Woody Allen incredibilmente ostracizzato da praticamente tutto l’enstablishment), e confeziona una distopia che ha il sapore di un racconto retrofuturista -un passato alternativo che ha portato ad uno sviluppo scientifico diverso, in una realtà, un presente, peraltro uguale al nostro. Il risultato è un piccolo gioiello: dalle immagini di Stalenhag vengono fuori dei racconti cupi dal ritmo lento e meditativo, dove i protagonisti devono affrontare, ognuno a suo modo, la solitudine e il lutto, in una costante, imperterrita, vicendevole riscoperta o riconoscimento di sé stessi, apprendendo di volta in volta la (nuova) esistenza loro e di chi gli sta intorno. Tales From The Loop guarda da vicino a Tarkovskij con i suoi Solaris e Stalker, con esiti spiazzanti e originali.
Infine, c’è Westworld, con una terza stagione che spariglia le carte e apre a nuovi scenari: solo in apparenza diversi, ma teoreticamente uguali a quanto raccontato nelle prime due stagioni che, riviste oggi, funzionano da prologo a quanto sta avvenendo nella serie di Jonathan Nolan. Tenendo bene a mente che ciò che indaga è il senso profondo del ricordo e dell’esperienza cognitiva.
Caccia alla spia, al mostro e al mafioso
Anche l’horror è un genere che in terra statunitense ha ricevuto un trattamento sempre sontuoso, sia al cinema che in tv: The Outsider (Sky Atlantic), tratto da Stephen King, è quindi qualcosa di non particolarmente originale ma che vince e convince per come riesce a trattare temi e situazioni già viste. Certo, alla base c’è uno dei più grandi narratori del secolo appena trascorso, ma la storia è inquietante e appassionata, mentre parla delle molteplici facce del male che appartengono ad uomini e donne che pensiamo di conoscere bene e che invece si mostrano all’improvviso nel loro vero volto.
Spostandoci in altri ambiti, quelli thriller, e facendo da ponte tra la terra americana e il nostro suolo natio, abbiamo le notevoli e sorprendenti -ognuna per un suo motivo- Homeland (Fox) con la stagione conclusiva e ZeroZeroZero (Sky Atlantic). E se questa stupisce per la potenza del ritmo, ma che è naturale per un grande autore come Stefano Sollima, regista e showrunner che mette in scena ampliando di molto il materiale di base di Roberto Saviano, Homeland conclude con il botto le avventure di Carrie Matheson, che ha le fattezze aspre e bellissime di Claire Danes. Homeland torna alle origini, a quando otto anni fa costruì un mondo narrativo che ruotava intorno ai nuovi concetti di Bene e Male, di Buoni e Cattivi, all’ombra della tragedia dell’11 settembre e di come il terrorismo abbia oggi assunto forme sempre più nuove e insidiose, innestandosi nel tessuto stesso della cultura e della società.
Messia e Papi amici per sempre
Sempre a cavallo tra Stati Uniti e Italia, tre serial hanno saputo cogliere inquietudini contemporanee riuscendo però a trovare l’equilibrio dell’apologo, eterno.
Come Messiah, la serie statunitense di Netflix bloccata dopo una sola stagione perché fin troppo problematica: e che raccontando di un probabile novello messia, un uomo che a Damasco, in Siria, sembra poter fare miracoli, che raccoglie intorno a sé in pochissimo tempo numerosi seguaci e che viene perciò chiamato Al Mashi (il messia). Messiah è semplice nell’assunto quanto trascinante nei contenuti: niente è come sembra, dallo svolgimento della trama al percorso dei personaggi della storia, stupendo per come riesca a trattare un tema così delicato in maniera così poco derivativa. Eppure la messa in scena dei conflitti interminabili come quello tra Israeliani e Palestinesi, con particolare attenzione a come vengono trattati dalla politica internazionale, ha fatto sì che lo show di Michael Petroni venisse cancellato quasi subito, complice l’arrivo dell’emergenza Covid.
Anche Sorrentino è stato capace di sorprendere ancora: perché in pochi avrebbero scommesso che il seguito del suo Young Pope su Sky Atlantic potesse essere ugualmente coerente, ugualmente bello. E invece The New Pope è forse ancora più sontuoso, ancora più enorme, bigger than life verrebbe da dire, prestandosi perfettamente alla visione di un regista immenso che ha trovato nella lunga serialità l’equilibrio perfetto per il suo universo cinematografico spesso esondante.
Nessuna sorpresa, invece, per L’Amica Geniale: Storia Del Nuovo Cognome. Perché chi ha letto la stupefacente quadrilogia letteraria della misteriosa Elena Ferrante aveva ben capito come le idee e le intuizioni visive del regista Saverio Costanzo calzassero perfettamente a quel mondo, a quei sentimenti, a quelle lacerazioni interiori.
Prodotta da Wildside e Fandango per Rai Fiction, HBO e TimVision, L’Amica Geniale è ad oggi il fiore all’occhiello della moderna serialità italiana, capace di riallacciare il più classico feuilleton televisivo a suggestioni modernissime, con tipologie di scrittura che sanno essere eterne.
Animali sotterranei
E chiudiamo, ultimo ma non ultimo, con la seconda stagione de I TOPI, scritta, diretta e interpretata da Antonio Albanese. Che similmente a Sorrentino, proprio nella prospettiva del racconto lungo data dalle serie tv riesce a dare il meglio di sé, mettendo a frutto l’esperienza non sempre positiva di Cetto Laqualunque su grande schermo inquadrando personaggi e storie nella sua maniera personalissima, con un tono che scivola continuamente dalla commedia al grottesco con punte di dramma sociale. In equilibrio sempre e comunque perfetto.
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