La strada, un film del 1954 diretto da Federico Fellini. È l’opera che diede notorietà internazionale al regista, nel 1957 vinse l’Oscar al miglior film in lingua straniera alla 29ª edizione, in cui fu istituita tale categoria di premio. Il film è stato in seguito selezionato tra i 100 film italiani da salvare. L’idea de La strada risaliva già al periodo de Lo sceicco bianco. Tullio Pinelli racconta che durante un viaggio in auto vide per strada una coppia di girovaghi che tiravano una carretta e pensò che su dei personaggi così si potesse fare un film. Al suo rientro a Roma raccontò l’idea a Federico Fellini il quale, a sua volta, espose la sua idea riguardo ai circhi. Insieme strutturarono il film ed in seguito ne parlarono con Ennio Flaiano che però sembrava essere contrario. Fellini incontrò molte difficoltà prima di realizzare il film: venne rifiutato da tutti i produttori e distributori ai quali lo propose poiché ritenuto di scarso appeal commerciale. Il produttore Lorenzo Pegoraro propose invece a Fellini e Flaiano di realizzare una commedia: il risultato fu I vitelloni che ebbe un grande successo. L’unico ad accettare La strada fu Dino De Laurentiis. Il film venne presentato alla 15ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia dove fu accolto male dalla critica di “sinistra”, poiché accusato di rifiutare il realismo e aprire alla favola e allo spiritualismo, mentre la critica “cattolica” se ne appropriò. De Laurentiis decise di far uscire il film in Francia; affittò quindi un locale agli Champs-Élysées e ottenne un enorme successo. Con Giulietta Masina, Anthony Quinn, Richard Basehart.
Sinossi
Gelsomina è una ragazza candida che ha uno strano rapporto, fatto d’amore e soggezione, con Zampanò, un rozzo girovago che si guadagna da vivere con numeri circensi. Un giorno questi uccide il “Matto”, altro giramondo a cui Gelsomina si è legata d’amicizia. La ragazza, sconvolta, impazzisce. Zampanò l’abbandona ma, più tardi, avuta notizia della sua morte, scoppia in pianto dirotto.
Carlo Lizzani: “È finita la fase della ricognizione in superficie dei primi materiali offerti dalla memoria, è finita la rievocazione macchiettistica e aneddotica del mondo minore conosciuto durante le prime esperienze giovanili; è compiuto il cammino a ritroso tra i vitelloni e dal confronto con essi è iniziata la scoperta della propria personalità. L’io che aveva finora riflettuto e ricordato la realtà, si è affacciato alla soglia dello schermo. Comincia ad effettuarsi, con La strada, l’esteriorizzazione completa della poetica di Fellini e la rivelazione cauta di quel personale intimo rapporto con le cose e il mondo che egli ha cercato di instaurare prima raccontando, poi confessandosi”.
Federico Fellini, che cercava un posto tra gli dei del cinema, sceglie con gli sceneggiatori Tullio Pinelli ed Ennio Flaiano un soggetto che possa essere simbolo della condizione umana. Lo trova nel racconto delle vicissitudini di una coppia talmente strana, così unica e strampalata, che nei loro sentimenti e nelle loro avventure ogni spettatore prova una empatica emozione. La strada, presentato nel 1954 alla 15ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (Leone d’argento) e vincitore nel 1957 dell‘Oscar come miglior film straniero, consacra al mondo per la prima volta il furore poetico di Fellini.
È nel segno di Charlie Chaplin che Fellini trova la sua via al post-Neorealismo. Dopo aver deformato un popolo già infatuato di idoli mediatici (Lo Sceicco Bianco) e tinteggiato l’indolenza della borghesia di provincia (I Vitelloni), l’autore riminese si butta in un territorio ambiguo, al confine fra la favola e gli ultimi retaggi rosselliniani. Il dato storico-sociale resta sempre in agguato e talora riaffiora nella sua problematicità (la povertà, le difficoltà materiali del dopoguerra), ma è perlopiù trasfigurato in un limbo incantato e surreale, dove i personaggi sono ammantati di quel candore lirico evitato per principio da Rossellini ed impedito, in De Sica, dagli orrori di una realtà troppo tragica per essere oggetto di trasfigurazione.
Realismo magico/poetico, quindi. Il riferimento è verso quei cineasti che in passato hanno affrontato la realtà col filtro della poesia o che, viceversa, hanno fatto emergere la fantasia da uno sfondo di misera realtà: Chaplin sicuramente, ma anche Carnè. La strada inaugura un cinema anti-psicologico, episodico, in cui il tempo pare ristagnare: e fin qui c’erano arrivati anche Renoir e Rossellini. Quello che ci ha messo, di suo, Fellini è la componente fantastica: ma è un fantastico del tutto privo di effetti speciali o elementi soprannaturali. È un fantastico fatto tutto di realtà, plasmato dalla realtà, conchiuso nella realtà. Da qui il peculiare surrealismo di Fellini: un cinema “di evasione”, ma non “dalla realtà”, bensì “nella realtà”.
Il circo, con tutta la sua galleria di tipi bislacchi, è solo un dettaglio. Solo un espediente allegorico di cui Fellini si è servito per dispegare la propria poetica. La strada è forse il primo passo di Fellini in direzione di un cinema esistenzialista, che non dimentica la Storia, ma che estrae da essa l’amaro nettare. La strada è quindi un film disperato. Una buffa tragedia della solitudine e dell’emarginazione, condotta sull’affiatamento di una memorabile ed irripetibile coppia attoriale: le smorfie del burbero Anthony Quinn e gli occhioni teneri di Giulietta Masina sono iperboli che non ammorbidiscono certo la tristezza della loro condizione, ma la rendono anzi ancora più dolente.