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Interviews

70 Berlinale: J. J. Abrams ha cambiato la mia carriera. Intervista a Ron Rifkin, interprete di Minyan (Panorama)

Da Woody Allen a Olive Stone. Ron Rifkin ha lavorato con alcuni dei registi più talentuosi del nostro tempo, raggiungendo il successo grazie a J. J. Abrams che in Alias lo ha voluto nella parte del cattivo Arvin Sloane. Presente alla 70 Berlinale con Minyan di Eric Steel, abbiamo parlato con lui del film e della sua carriera

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Ogni volta che vediamo nei titoli di testa il nome di Ron Rifkin sappiamo che si tratta di un film di qualità, perché così sono stati molti di quelli a cui hai preso parte.

Grazie, è molto gentile da parte tua.

Volevo iniziare chiedendoti di Minyan. Nel film quello del nonno di David è un ruolo molto importante. In qualche modo, sembri una specie di Padrino coppoliano che usa la saggezza al posto delle armi da fuoco.

Il ruolo che interpreto è quello di un nonno e quindi un uomo con l’esperienza e le vicissitudini di chi ha già vissuto la maggior parte della sua vita. Lui ama suo nipote, sa cosa sta vivendo, ma desidera che abbia una vita piena delle cose migliori. Credo che lui conosca sua figlia, la madre di questo ragazzo, e anche quanto sia difficile essere genitore, specialmente  padre. Per questo il nonno si preoccupa per lui e gli vuole bene. Al contrario, David non sempre si rende conto di quante volte l’anziano signore abbia cercato di aiutarlo a superare le sue difficoltà.

Mi pare che il tuo personaggio rappresenti la coscienza interiore del lungometraggio. Molte cose accadono ma poi, ad un certo punto, ogni filone della storia si  collega al tuo ruolo. A te, infatti, spetta il compito di essere il tramite tra film e spettatore.

È vero, spero di esserci riuscito.

Quando reciti hai la consapevolezza di svolgere una funzione che va oltre il tuo personaggio ?

Credo che ogni attore porti il mondo in cui si trova in quel momento, quello in cui è cresciuto o in cui avrebbe voluto crescere, le persone che ha amato, quelle che ha sposato. Questo fa parte di noi. Io sono cresciuto in un universo molto simile a quello del film: la mia era una famiglia ebrea di Williamsburg in Brooklyn e da bambino vivevo in una comunità analoga, ma più piccola. Quindi, ho portato questo bagaglio con me, quello che vedi nel mio personaggio. Lui è il riflesso di ciò che provo per un mondo intenso, difficile, doloroso e meraviglioso. Credo che la coscienza interiore di cui parli nella domanda sia una buona interpretazione di tutto questo.

Minyan è un film in cui parole e silenzi sono importanti in egual modo.

È vero, questo ultimi sono molto importanti.

Ci sono molte scene in cui il tuo personaggio e quello di David non dicono una parola ma riescono a farci comprendere i loro pensieri.

Questa è la bellezza del film, non devi dire nulla. Credo che sia la giusta combinazione di attori a permettere tutto questo. È bellissimo.

Per certi versi il modo in cui un attore diventata altro da se è miracoloso. Basta un movimento sbagliato e l’incantesimo si rompe. Osservandoti sullo schermo ogni gesto appare del tutto calibrato, nulla è fuori posto.

Non saprei, tu può giudicare meglio di me ma, per esempio, questo ragazzo, l’attore (Samuel H Levine, ndr) che interpreta David, non aveva quasi mai recitato prima d’ora, eppure sa istintivamente cosa fare. C’è qualcosa in quel viso, nei suoi occhi, di molto intenso. È molto bravo!

Tu parli di istinto, quindi non posso non chiederti quanto vale la sua controparte e cioè il metodo, la tecnica.

Sono entrato all’Actors Studio quando ero ragazzino, Lee Strasberg è stato il mio maestro. Sono cresciuto in quel mondo, per cui a un certo punto tutto questo diventa parte di te e non ci pensi più. È come la vita. Tutto quello che per te era grande allora ora fa parte di te e te ne dimentichi. Non so se è chiaro il concetto. Così è il mio rapporto con la recitazione. Accade.

Il tuo primo film è del 1969, l’ultimo devi ancora farlo, per cui volevo chiederti quanto è cambiata la produzione americana da allora a oggi.

Molta della mia carriera d’attore si è svolta a teatro, che è il mio primo amore, per cui non saprei come rispondere a questa domanda. J.J. Abrams è stata la prima persona che mi ha fatto interpretare un personaggio cattivo. Nessuno mi aveva mai visto così. Tutti vedono questo volto da bravo ragazzo, lui invece ha cambiato le cose. Ti posso dire solo questo.

Quindi, a volte è una questione di fortuna, di qualcuno in grado di vedere in te quello che altri non vedono?

Si tratta di fortuna e di riuscire a trarre il meglio da questo. Ogni tanto può accadere qualcosa di grande, ma si può trovare anche il modo di rovinare tutto.

Tra i tanti autori con cui hai lavorato ce ne sono due dal carattere opposto, come Woody Allen e Oliver Stone.

Allen e Stone? Sono come l’inverno e l’estate (ride, ndr). Non si possono nemmeno fare paragoni tra uno e l’altro. Sono entrambi pazzi, ma ognuno a modo suo.

Sappiamo che Woody Allen lavora sulla base delle affinità degli attori con il personaggio. Da qui la ragione per cui una volta sul set non fornisce molte indicazioni.

Sicuramente non ti dà informazioni. Ricordo che in Mariti e Mogli disse: “C’è un’auto. Esci dall’auto e corri. Puoi andare da qui a lì e dire quello che vuoi”. Stone invece è semplicemente geniale.

Hai detto che Alias ha cambiato la tua carriera anche in termini di ruoli. In quale modo?

Nel senso che il mio personaggio aveva delle qualità che io non possiedo. Non so come lui sia riuscito a vedermi adatto per quel ruolo. Questo è il genio di J.J. Abrams. Si trattava di un personaggio malvagio che non avevo mai interpretato prima d’allora. A lui il merito della riuscita di questa scelta.

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