Gebo e l’ombra è un film del 2012 diretto da Manoel de Oliveira. Ultimo film del maestro portoghese, fu da lui girato a 104 anni, ed è in assoluto il lungometraggio realizzato all’età più avanzata da un cineasta. Il regista ha dichiarato di aver voluto fare un film sulla povertà, e di essersi ispirato all’opera di Raul Brandão (1867 – 1930) perché le considerazioni dello scrittore portoghese gli sembravano di valore universale. Il film è stato presentato fuori concorso il 5 e 6 Settembre 2012 alla 69ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. È stato trasmesso in televisione da Raitre a Fuori orario. Cose (mai) viste il 10 Settembre 2012, con titoli di testa e dialoghi in lingua francese e sottotitoli in lingua italiana. Con Michael Lonsdale, Claudia Cardinale, Jeanne Moreau, Ricardo Trêpa, Leonor Silveira.
Sinossi
Il film, ambientato a Parigi in epoca contemporanea, è ispirato al dramma in 4 atti O Gebo e a Sombra di Raul Brandão del 1923, nel quale si denunciavano i cambiamenti sociali che si manifestavano nella società portoghese negli anni venti, negli ultimi anni della prima repubblica portoghese, con impoverimento generale della maggior parte della popolazione e il repentino arricchimento di speculatori e finanzieri. Nel film, Gebo è un vecchio contabile, onesto e scrupoloso, che sopravvive in condizioni di povertà con la moglie e la nuora Sofia. La moglie accusa Gebo di disinteressarsi della sorte del figlio João, sparito otto anni prima; il figlio, in realtà, ha abbandonato la famiglia, per mettersi a delinquere.
Con un racconto dall’impostazione teatrale – affidato alle parole dei sei attori costantemente in scena che si fanno carico di sostituire le immagini di un passato e del mondo esterno – dalla scarna ed essenziale scenografia, Manoel de Oliveira, a 104 anni, sorprende per la modernità con cui adatta la piece di Brandao: pur mantenendo l’ambientazione da fine Ottocento, sceglie di parlarci dell’attuale crisi economica, del ruolo predominante del denaro e della concezione di onestà.
La suggestione di ambienti familiari poveri ma dignitosi crea un’atmosfera magica in cui le mura e le stanze conferiscono nella loro ricercata spontaneità quel senso di protezione contro le insidie della vita, rappresentate visivamente da un cupo temporale che porta gelo e crea comunanza e solidarietà. In questo contesto, un cast eccellente di pochi attori meravigliosi, i tre portoghesi preferiti da de Oliveira (Silveira, Trepa, Cintra) più tre star internazionali mature (Lonsdale, Cardinale. Moreau) – ma pur sempre giovani rispetto al veterano regista di Porto – molto in parte e molto coinvolti, rende l’opera un capolavoro di costruzione scenica e di resa interpretativa, in cui la cinepresa sempre fissa di de Oliveira si prodiga questa volta in stacchi che seguono i protagonisti nel loro rutilante inseguirsi e cercarsi.
Nella fotografia a lume di candela di Renato Berta, i personaggi dialogano di vita e morte, arte e denaro in una recitazione che, nel suo sottile straniamento, conferisce al dramma spessore simbolico eppur palpita di umanità: un interno alla Vermeer, più umile, in cui sono plasticamente messi in rilievo vizi e virtù, con una porta che divide da un mondo freddo, bagnato e invisibile. Il regista festeggia il suo talento con una grande compagnia di attori: Michel Lonsdale è di una palpabile, infinita tristezza con cui rappresenta il sesto stato dei poveri, dei deboli rassegnati. Intorno a lui girano tre donne variamente illuse: la moglie Claudia Cardinale che vuole ignorare la verità sul figlio fuggito, la nuora Leonor Silveira che ha un sesto senso che la aiuta a capire la verità, la vicina Jeanne Moreau in visita ottocentesca. Gruppo di famiglia di terza età (meno Ricardo Trepa, il fuggiasco), cui l’autore affida un messaggio di poca speranza nella bottiglia.