Voluta da Missing Film e Italian Film Festival in Berlin, l'anteprima tedesca di Euforia conferma la vocazione internazionale della sua regista, pur in presenza di un'opera che si ispira ai grandi della commedia all'italiana. Del film abbiamo parlato con Valeria Golino
Mi sembra che la sequenza iniziale di Euforia riassuma le tante anime del tuo essere regista, a cominciare dall’alternanza delle canzoni, una francese e un’altra italiana. Alla complessità della composizione, fatta di campi lunghi e luci intermittenti, si aggiunge l’effetto spiazzante della pantomima di Riccardo Scamarcio, lontana per toni e modi dall’immaginario a cui quest’ultimo ci ha abituato.
Quello che dici è interessante e ha anche ragione di essere, per cui sono d’accordo con te. Allo stesso tempo per me la prima lettura della sequenza – aldilà di quello che si può dire a posteriori, perché poi la teoria ha sempre ragione di essere – era di far capire chi era il mio eroe senza dover dire una parola. Volevo far intendere in pochi minuti che era notte fonda, che c’erano la musica e due uomini, di cui uno dominante, pronto a dire all’altro cosa fare; mi interessava raccontare del suono del campanello e della persona che andava alla porta per prendere della droga e della festicciola intima che continuava nella contemplazione della bellezza del corpo maschile, con tanto di contaminazione musicale. In pochi minuti si dicevano tante cose del mio personaggio, come è fatto e cosa gli piace, senza doverle spiegare. Capiamo tanti aspetti di lui senza perdere tempo e senza uso di retorica. In più, per me si trattava di una scena visivamente cinematografica.
Non a caso, nel tuo cinema la forma è sostanza, nel senso che le immagini riescono a comunicare senza il bisogno di aggiungervi parola. La conferma arriva dalla similitudine della scena in questione con quella con cui si apre Miele. Anche lì nascondi qualcosa che deve essere scoperto e l’utilizzo del campo lungo suggerisce che lo farai andando a scavare nella profondità delle vite dei personaggi.
Hai ragione, sono d’accordo ed è una cosa che rifarò se ci sarà una prossima regia. Se vogliamo è la stessa presentazione di Miele, in cui fondamentalmente introduco il personaggio. In quel caso il carrello aspetta che lei apra la porta e poi la segue, mentre in Euforia la macchina da presa rimane ferma ed è Matteo che viene viene verso di noi per andare ad aprire la porta. Le scene sono uguali, con un piccolo escamotage che le diversifica. Diciamo che rappresentano il mio gusto e dipendono dal mio modo di vedere il cinema.
Con soli due film all’attivo dimostri di saper padroneggiare tutti gli elementi del linguaggio cinematografico. In questo senso, fai entrare in rapporto dialettico la bellezza visuale con la drammaticità del tema. Una delle possibili ragioni potrebbe essere quella di ricompensare i personaggi e lo spettatore della drammaticità di alcuni dei temi trattati.
Si, ci sono la malattia, la morte e l’accettazione, ma anche la loro rimozione perché le reazioni sono diverse e molteplici. Più che un regalo che faccio allo spettatore per ammorbidirgli la pillola, è un modo di percepire la realtà, in cui anche nella quotidianità si creano momenti di bellezza quasi involontari. Di essa i protagonisti si rendono più o meno conto. In più, questo è il mio modo di vedere la vita, nel senso che è la mia maniera di percepire la vita di tutti i giorni e non solo quando mi capita di girare un film.
A proposito di questo, in una scena successiva Matteo, il personaggio interpretato da Scamarcio, parlando con un alto prelato, a cui sta sottoponendo il progetto di restauro di un dipinto, dice che la priorità è quella di proteggere la bellezza, aggiungendo che la gente si ricorderà solo di quest’ultima e non della maniera in cui si è proceduto a salvaguardarla. Con questa affermazione non solo anticipi il senso della storia, ma affermi che l’importante è amare, indipendentemente da come lo si fa. Alla pari delle opere d’arte anche noi verremo ricordati per la capacità d’amare, dunque per la bellezza che avremo lasciato.
Quello che dici è molto bello. Si, questo penso sia anche quello che Matteo cerca di comunicare al cardinale che peraltro, secondo me, lo capisce ancora meglio di lui. Non so se hai notato che il ritratto di quest’ultimo non è quello del solito uomo di chiesa, grottesco, caricaturale e cupo a cui oramai siamo abituati, spesso frutto di pregiudizio. Io ne ho fatto un interlocutore molto esigente, sofisticato, forse anche distratto dalle tante cose di cui si deve occupare. Di fronte a Matteo mi interessava avere una persona di livello, lontana da certe figure incartapecorite e prive di comprendonio. Una cosa che non voglio fare attraverso il mio cinema è comunicare pregiudizio sulle persone e su quello che rappresentano. Certo, nel discorso di Scamarcio al cardinale ci sono anche cose che non approvo: parlo della spettacolarizzazione della fede e di tutto quello che ci riguarda nella società dello spettacolo, in cui tutto deve essere messo per immagini al solo scopo di intrattenere.
A differenza di altri uomini di Chiesa il tuo non è dogmatico. Dopo una prima risposta negativa, riflette sulla replica di Matteo ed è pronto a rimettere in discussione le proprie parole.
All’inizio le parole dell’imprenditore lo mettono a disagio poi, quando Matteo usa un linguaggio in cui il vescovo si riconosce e che gli sembra interessante, è pronto a cambiare idea dicendogli: “Mi ci faccia pensare”. Anche se si tratta di una sola scena per me era molto importante che apparisse così. Volevo che l’eroe del mio film fosse in realtà un antieroe, uno che fa tanti errori e che nonostante la sua vita scentrata si ritrova ad avere a che fare con il Vaticano. Non intendevo fare di quella scena una barzelletta ma mettergli dentro le ragioni di tutti. Non volevo farla dogmatica, né prendere in giro nessuno, ma mi piaceva avesse una complessità leggera, anche perché poi il film non parla di quello. Per questa ragione non ho scelto un professionista per il ruolo del cardinale. Io che sono attrice e amo gli attori penso che spesso quando devono fare i medici, i preti o gli ubriachi risultano poco credibili. Per quella parte ho scelto un mio amico, un cardiochirurgo che non aveva mai recitato, mentre per l’oncologo che cura Ettore, il personaggio di Valerio Mastandrea, ho assegnato la parte allo scrittore EdoardoAlbinati. Per qualche motivo l’ho fatto fare a delle persone che avevano un’autorità, che avevano un’intelligenza e che non erano attori.
Per concludere il discorso sulla forma, mi pare che in Euforia le composizioni e i movimenti di macchina riproducano il mix di leggerezza e profondità su cui è costruito il film. Mi riferisco per esempio a carrellate come quella in cui per la prima volta Ettore entra nella casa di Matteo e si reca in balcone. Penso alle ombre sul muro prodotte da Isabella Ferrari, mentre sale le scale per raggiungere Matteo.
Guarda, era quello a cui aspiravo e che mi ha tanto preoccupato quando giravo e montavo Euforia. Desideravo fare un film che fosse profondo e leggero, a tratti divertente: che potesse turbare e metter a disagio, magari arrivando a commuovere, evitando che i toni facessero a botte tra di loro. Volevo che questi ultimi cambiassero continuamente, per questo Euforia rispetto a Miele, a cui per ovvi motivi sono molto legata, era un film molto più complicato, per il fatto di articolarsi su differenti stati d’animo. Devo dire che solo alla fine mi sono resa conto che in parte sono riuscita a fare ciò che avevo in mente.
Secondo me, sei riuscita in una cosa ancora più difficile e cioè a riprendere con una forma contemporanea i grandi archetipi della commedia all’italiana, di cui oltre alle storie, ai toni e ai personaggi ricalchi la compresenza di dramma e commedia.
Puntavo a questo. I miei riferimenti si ispiravano ai lavori dei grandi maestri e a un certo tipo di cinema agrodolce, buffo, amaro e disperato, però anche ridicolo e con un certo tipo di umanità che i nostri autori maneggiavano con grande leggerezza. Oggi c’è ancora qualcuno che lo fa ma diciamo che si tratta di un modo di fare cinema in cui noi siamo stati unici.
A un certo punto fai riferimento a Stan Laurel e Oliver Hardy e alla canzone Guardo gli Asini che volano nel Ciel. Prendendo spunto dalla sequenza trasmessa dal televisore, i due fratelli si mettono anche loro a ballare. Il che ci dice di come Ettore e Matteo, alla pari di Stanlio e Ollio, abbiano un rapporto conflittuale ma non possano fare a meno di stare insieme. Parlando di riferimenti, i due protagonisti a me hanno ricordato Sordi e Gassman ne La grande guerra.
Ma certo! Mi ricordo di Stefano Mordini, persona intelligente e colta e soprattutto caro amico, e della prima volta che gli ho fatto leggere la sceneggiatura. Per me quello è un momento di massima delicatezza perché mi espone al giudizio degli amici. Ebbene lui mi telefonò dicendomi che i protagonisti gli avevano ricordato quelli di La grande guerra. Io ovviamente gli dissi di non prendermi in giro però, a parte questo, se riesci a fare qualcosa che abbia dentro quel tipo di musica sei in grado di toccare il cuore delle persone. Stefano per esempio mi disse che dopo aver visto il film aveva pianto molto.
Rivedendolo per preparare l’intervista è successo anche a me.
Le persone che mi dicono di aver pianto e di essersi commosse mi toccano nel profondo, fanno commuovere anche me.
Sia in Miele che in Euforia parlidella morte, uno dei grandi rimossi della nostra società. Da una parte, questo ti permette di uscire fuori dal coro, regalandoti una distanza favorevole oggettività del resoconto. Dall’altra, la complessità dell’argomento favorisce una narrazione – anche – verticale, corrispondente alla profondità e alla delicatezza dell’argomento. A mio avviso questo ha giovato tanto allo sguardo quanto alla scrittura.
È sicuramente così. Ti dico, non è stata una scelta consapevole o cerebrale. Di più, non è stata una scelta. Dopo Miele l’unica storia che mi è venuta in mente, la sola capace di giustificare l’urgenza di essere raccontata era quella di Euforia. Questo perché ruotava su un problema etico che adesso è la cosa a cui sono più interessata. Riguarda l’etica e anche l’estetica e quando la tensione prodotta dalla prima riesce a farsi percepire nei personaggi allora la storia mi interessa, sia da spettatrice che da regista. Non so ancora di cosa tratterà il mio prossimo film, ma oggi è questo che mi coinvolge e di cui voglio parlare. Per me è necessario trovare una storia aderente al mio stato d’animo e vicina alle domande che mi faccio. Poi le mie regie non sono mai state delle scelte programmatiche, pianificate apposta per trattare un determinato tema.
Sei tra le altre cose una regista d’attori e lo si vede dalle qualità delle interpretazioni presenti nei tuoi film. Per Euforia ne scegli due dal diverso immaginario, il che, da una parte ti permette di rendere al meglio gli opposti caratteriali dei personaggi, dall’altra, per le caratteristiche degli interpreti, di metterne in risalto la carica di umanità. In particolare, offri a Scamarcio il ruolo della definitiva maturità, consentendogli di mostrare bravura e versatilità. A suo tempo lo segnalai come miglior attore dell’anno.
Condivo la tua opinione. Riccardo è un grande attore, così come Valerio. Sono due discoli (ride, ndr) dotati di un talento degno dei nostri grandi interpreti. È una dote che noto sempre, anche nei film meno riusciti. A un certo punto, il loro modo di essere risuona nel mio immaginario, come mi capita quando vedo Gassman, Mastroianni, Manfredi. Questo lo dico molto anche rispetto a Valerio che secondo me nel mio film è meraviglioso. Fa delle pennellate che rivelano quanto sia sofisticato come attore. Finge di fregarsene, di non interessarsi nemmeno a quello che sta per fare, mentre invece si avventura in cose di invisibile profondità. Poi, è inutile parlare di Riccardo che secondo me ha veramente i tratti della grande movie star all’italiana.
Ne sottolineavo la performance proprio perché rispetto alla sua bravura è molto sottovalutato.
Spero sempre meno perché, a parte il mio film, ha appena finito quello di Nanni Moretti (Tre Piani, di prossima uscita, ndr). In generale, succede perché lui paga ancora la sua bellezza giovanile, l’essere stato il sex symbol delle ragazzine e, quindi, il capro espiatorio di tutto quello che ci irrita in questo tipo di riscontri. Sono fattori che dipendono dal suo carisma, ma anche da come è stato rappresentato e da come viene percepito. In generale, c’è la tendenza a sottovalutarlo. Si è molto più contenti di sottovalutarlo che di acclamarlo. Adesso, il fatto di avere quarantanni e di aver raggiunto consapevolezza dei propri mezzi gli consente di lavorare sempre e con grande passione, risparmiandogli sempre di più certi pregiudizi. Certo, ci vuole una grande resilienza per certe ostilità. Ci sono attori che l’industria acclama da subito, presi ad esempio per il grande talento perché così è stato deciso. Poi, ci sono quelli che tutto questo se lo devono guadagnare perché stanno antipatici. È interessante parlarne, ma nel quotidiano è una cosa imbarazzante.
Tra l’altro in Euforia riesce a modularsi su una gamma di stati d’animo non facile da riprodurre.
È talmente evidente. Tutti gli stranieri che hanno visto il film – parlo anche dei registi presenti nei vari festival – non avendo quel tipo di pregiudizio ne sono rimasti sbalorditi.
Nessuno è profeta in patria.
Si, questo lo sappiamo tutti, però in generale noi non corteggiamo i nostri talenti e, anzi, verso di loro c’è sempre una certa puzza sotto il naso. Ci sono paesi dove il talento è messo al riparo e valorizzato. Parlo anche di registi e scrittori. Detto questo, va tutto bene (ride, ndr).
Per concludere ancora due domande. La prima riguarda ancora Scamarcio. Mi interessava sapere che tipo di attore è. La seconda è relativa ai film a cui guardi, da regista e da spettatrice.
Riccardo è un attore molto istintivo, ma anche tecnico perché poi ha studiato, al contrario di me. È anche un attore imprevedibile, di cui devi tenere l’interesse alto perché rischia di annoiarsi. Poi si vuole divertire, si distrae, tutte cose, chiamiamoli anche difetti, che io conosco bene perché appartengono anche a me come attrice. Gli piace stare sul set e recitare, però deve sentirsi ben voluto. Funziona molto bene quando si sente compreso e stimato. Riesce meno bene quando sente ostilità. Io ho lavorato con dei grandi attori che lavorano molto bene in un ambiente inospitale e nella tensione. Riccardo, invece, se si sente protetto può darti tantissimo. Devo dire che il connubio tra lui e Valerio è stato davvero bello, perché si sono voluti molto bene e anche divertiti. Hanno entrambi una grande personalità e Valerio è stato molto generoso e protettivo con Riccardo. Questo ha fatto sì che lui abbia potuto veramente fare il fratello minore. Erano due personalità che avrebbero potuto anche scontrarsi e invece si sono accompagnati nel film. Per me è stato un regalo perché se non si fossero piaciuti sarebbe stato molto più difficile dirigerli.
Ci sono così tanti registi che mi piacciono che sarebbe troppo lungo da scrivere. Come sai, voto per gli Oscar e devo dire che quest’anno sono rimasta un po’ delusa dalla produzione americana perché i film belli erano pochi. Tra quelli che mi vengono in mente il primo è Parasite, davvero sorprendente, anche per i continui cambi di tono e per la presenza di una satira sociale fortissima che però è intrinseca alla narrazione e non ha bisogno di essere spiegata. The Joker mi è piaciuto solo in parte: è recitato da un attore bravissimo e ha una grande maestria che lo rende interessante, senza però essere un capolavoro.
Come attrice cosa ne pensi di Storia di un matrimonio?Mi riferisco non solo al film ma anche alle prove di Driver e Johansson.
Mi è piaciuto molto sia il film che i due attori. Ecco, è un film che non saprei fare e che però apprezzo molto. Gli attori sono molto bravi e in generale voterò per loro nelle altre categorie.
Anno: 2018
Durata: 115'
Distribuzione: 01 Distribution
Genere: Drammatico
Nazionalita: Italia
Regia: Valeria Golino
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