La ragazza d’autunno di Kantemir Bagalov, Miglior Regia Un Certain Regards 2019, arriva in Italia grazie a Movies inspired e non va assolutamente perso.
Leningrado, 1945: dopo la guerra, dopo un assedio devastante. Iya è la spilungona dell’infermeria. Eterea, timida e goffa figura, vittima dell’’incanto improvviso’: feroce isolamento dalla vita che la blocca per lunghissimi minuti. Iya lavora ed accudisce con amore il piccolo Pashka. Quando la bella e forte Masha torna dal fronte e apprende che Paska è morto, pretende da Iya un altro figlio.
La guerra e la sopravvivenza delle donne
La ragazza d’autunno è il secondo lungometraggio del talentuoso e non ancora trentenne Kantemir Balagov. Dopo il promettente esordio di Tesnota, La ragazza d’Autunno è un ritratto estetico ed etico sulla devastazione psicologica della guerra per le donne che l’hanno vissuta.
Incentrato su due figure femminili atipiche, Iya e Masha (straordinariamente rese da Viktoria Miroshnichenko e Vasilisa Perelygina, entrambe al loro debutto in un lungometraggio), che cercano di affrontare la ‘ricostruzione’ e dare un senso alle loro esistenze letteralmente abbattute. Ognuna in modo diverso. Masha è la più devastata nel corpo e nella mente, privata della peculiarità naturale del femminile, svuotata di riferimenti. Una storia originale, scritta dallo stesso regista, che si è ispirato a “La guerra non ha un volto di donna” del Premio Nobel Svetlana Alexievich.
Cosa può succedere ad una donna, alla fine di una guerra, nel momento in cui la sua mente ed il suo corpo hanno subito un cambiamento radicale, che ne mina per sempre la struttura?
Bagalov affida la risposta e la interpretazione del femminile tragico ad un affresco che incanta e spiazza per i contrasti che produce. Innanzitutto estetici.
L’eredità visiva di Sokurov
La ragazza d’autunno è una visione, in primis. E la scuola del cineasta Aleksandr Sokurov produce effetti che l’occhio non può trascurare. Abbagliati, affascinati da una palette di colore evanescente, dominata dall’ocra e dal verde, che pervade i costumi, le decorazioni d’interni, gli esterni, rendendoci la sensazione di drammaticità e di calore, galleggiando tra intimità e conflitto di un ‘dopo la guerra’, di un ritorno alla vita, al quale i personaggi fanno fatica ad adattarsi. Contrasto tra bellezza esteriore e devastazione interiore non certo casuale, anche nella regia rigorosa, delicata, assorbente, che scava negli sguardi, nei volti, che si allarga e si restringe come un respiro.
Kantemir Bagalov si è documentato attraverso i diari delle persone che avevano vissuto a Leningrado durante l’assedio, rendendosi conto che, a fronte delle avversità, delle privazioni e dell’orrore, erano sempre circondati da colori vivaci. Iya e Masha stesse incarnano questo contrasto: negli attacchi di immobilismo e nella carica di carnefice inconsapevole e vittima della prima, nei sorrisi inquietanti e folli della seconda. Un connubio bipolare stretto e soffocante. Entrambe hanno necessità e reciproco bisogno l’una dell’altra, ognuna per uno scopo diverso.
Il resto della storia è un contorno dominato da figure tragiche, melanconiche, ciniche, che lottano incessantemente e silenziosamente per una resurrezione nel quotidiano difficile da realizzare. La figura maschile diventa un oggetto, un mezzo, inadatta, forse, perché colpevole della guerra. Perché padrone anche della vita delle donne. Iya che chiede a Masha se può fare un figlio da sola è l’inconscia risposta al terrore della guerra e dell’uomo.
Beanpole – Spinlungona
Beanpole, titolo originale meraviglioso del film e che il regista così spiega: «Una parola che, nella sua accezione più larga, descrive gli attributi fisici e l’aspetto della principale figura femminile del film, Iya, che è molto alta. Ma per me, “spilungona” sta più per “goffaggine ed è così che i personaggi del mio film percepiscono ed esprimono i propri sentimenti – sono goffi, sgraziati, stanno imparando nuovamente a vivere dopo la guerra, cosa per loro molto difficile». Non riuscirò mai a capire perché in Italia ci sia sempre la necessità di ovattare, ridimensionare anche nella traduzione del titolo, una pellicola.