Chissà cosa avrebbe pensato Bruce Lee davanti a un prodotto come Warrior, serie di dieci episodi (ma già una seconda stagione è in produzione) ambientata nella San Francisco di fine ottocento, tra immigrati, politici corrotti e combattimenti clandestini, tratta proprio da un suo vecchio soggetto mai sviluppato. Quello che è certo – mentre il cinema, non senza polemiche, riportava la figura dell’attore sotto i riflettori in un film come C’era una volta…a Hollywood di Quentin Tarantino – è che i tempi erano finalmente maturi perché l’eredità della leggendaria star marziale si ripercuotesse, attraverso altre vie e modalità, anche sulla serialità televisiva.
Il risultato è un prodotto che, pur senza rinunciare agli inevitabili omaggi e ammiccamenti alla storia del genere, non vive nel passato e nel culto del suo ideatore, ma si smarca da un immaginario derivativo costruendo un ibrido fatto di differenti suggestioni, dall’action all’affresco storico, dal western al dramma politico, il tutto racchiuso in una confezione capace di garantire, prima di tutto, un alto tasso di intrattenimento. Sì perché, al di là della cura filologica per costumi e ambientazioni e dei suoi forti rimandi all’attualità (la vicenda ruota attorno alla nascita del “Chinese Exclusion Act”), resta l’intrattenimento il vero protagonista di Warrior, un intrattenimento che non disdegna di farsi, all’occorrenza, esplicitamente politico, immerso com’è in quel calderone fatto di immigrati sfruttati, criminalità organizzata e un potere sempre pronto a sporcarsi le mani per accrescere il proprio consenso.
È così che, mentre Ah Sahm (Andrew Koji), esperto di arti marziali in cerca della sorella, viene assoldato da una delle più temibili tong di Chinatown in vista di una guerra imminente, l’action trova finalmente il suo posto nella nuova offerta seriale contemporanea, adattandosi ai suoi tem(p)i e al suo respiro senza tradire se stesso, fino a rinnovarsi dialogando coi generi (divertente l’episodio autoconclusivo che omaggia il western) e prendendo il meglio tanto dai film di azione contemporanei (uno su tutti il The Raid di Gareth Evans, qui incarnato dalla figura di Joe Taslim) quanto da esempi solo apparentemente lontani da esso (le atmosfere di The Alienist, la crudezza di The Knick). Tra razzismo, complotti politici e tanto kung fu, va così in scena il migliore esempio di come la tradizione marziale si possa sposare perfettamente all’idea di intrattenimento seriale, restituendo piena dignità a un genere spesso ignorato o male utilizzato (soprattutto dal piccolo schermo: vedere su Netflix Iron Fist o Wu Assassins per credere), spesso ridotto a pallida ombra di se stesso.