Prima della visione di Insulaire l’esistenza di un luogo come l’Isola di Robinson Crusoe poteva essere messa in dubbio da chiunque sospettasse che un posto simile, in realtà, fosse frutto dell’immaginazione di Daniel Defoe, autore del popolare romanzo. Ed invece no. Creazione letteraria è senz’altro l’indigeno Venerdì. Per il resto sembrerebbe che su un’isola allora deserta dell’arcipelago Juan Fernández, nell’Oceano Pacifico, abbia realmente vissuto da naufrago per qualche anno il corsaro Alexander Selkirk, abbandonato lì dal suo capitano. E tale vicenda, avvenuta all’inizio del diciottesimo secolo, avrebbe quindi ispirato il romanziere britannico…
A margine di questo succoso cortocircuito tra realtà e fantasia, vi è da dire che le vicende relative alla colonizzazione dell’Isola di Robinson Crusoe sono state, per molti versi, non meno romanzesche. E a renderle più vive, attuali, creando nel racconto un vibrante parallelismo con il presente dell’isola, ci ha pensato il documentarista svizzero Stéphane Goël: il suo Insulaire ha ottenuto anche la Menzione speciale della Giuria CGIL – La Sortie de l’Usine nella sezione Visti da vicino del 37° Bergamo Film Meeting “per la strabiliante capacità di rappresentare, nel micro, tutte le tematiche e le contraddizioni del macro”.
Apprezzabilissime sia la scelta, che la motivazione offerta dalla giuria: una costruzione di senso generata dal classico interscambio tra generale e particolare, tra macrocosmo e microcosmo, quella posta in atto nel film. Poiché al di là del pur accattivante esotismo della cornice e al netto di qualche lungaggine nelle descrizioni ambientali, Insulaire ha buon gioco nel rendere esemplare tutto ciò che racconta. A partire dal suo “mito di fondazione”, mito destinato peraltro a coincidere con la vivace, sorprendente aneddotica storica, riassunta dalla voce suadente di Mathieu Amalric: è difatti la voce fuori campo dell’attore francese a condensare qui la straordinaria esperienza di vita del Barone Alfred von Rodt, aristocratico bernese che a un certo punto decise di abbandonare gli agi della piccola nazione alpina, avventurarsi in Sudamerica ed acquisire dal governo cileno il possesso di quell’isola remota e poco ospitale, dove porrà le basi di una presenza umana più stabile e duratura, dimorandovi poi fino alla morte.
Nel ripercorrere l’esistenza bigger than life del connazionale rapportandola intelligentemente all’eredità da lui lasciata sull’aspro isolotto, lo svizzero Stéphane Goël ha compiuto un’operazione paragonabile per certi versi a quella dei finlandesi Martti Kaartinen e Niklas Kullstrom rispetto alla singolare figura del linguista G.J. Ramstedt, in un altro bel film visionato al festival ovvero Eastern Memories. Analogo nelle due opere è il desiderio di stabilire un dialogo tra passato e presente.
Un po’ alla maniera del Romolo splendidamente affrescato da Matteo Rovere ne Il primo re, anche il Barone Alfred von Rodt presentatoci da Stéphane Goël è, seppur in scala minore, un visionario, un demiurgo, un eroe eponimo (vedi la straniante e peraltro divertentissima sequenza dell’inaugurazione sull’isola di una strada con il suo nome, allorché il discorso del diplomatico svizzero in Cile va avanti nonostante la pittoresca presenza di una coppia di cani in calore) in grado di fondare qualcosa di nuovo all’interno di una realtà ostile o comunque ancora da plasmare. Tra alte coste rocciose e porticcioli operosi, tra ricordi del terrificante tsunami del 2010 e riferimenti preoccupati al successivo aumentare di presenze umane su un’isola dalle limitate risorse, tra la comunque redditizia pesca dell’aragosta e lunghi viaggi per raggiungere il continente in aereo o via mare, le immagini di Insulaire ci mostrano con notevole varietà di toni il concretizzarsi di quel sogno ottocentesco, in un presente che pone agli abitanti del posto (come pure all’umanità, volendo) sempre più domande riguardanti il futuro.