In fuga dalla Svezia, Jack (George Clooney) killer professionista, viene mandato dal suo capo, nell’attesa che si tranquillizzino le acque, in un piccolo paese nella provincia de L’Aquila. Qui l’americano trascorre le sue tranquille giornate con il prete del paese, Don Benedetto (Paolo Bonacelli) e le notti con la prostituta Clara (Violante Placido). Nel suo esilio montano viene contattato per un ‘lavoro’, l’ultimo prima del suo già dichiarato ritiro. Deve costruire, grazie alla sua abilità di artigiano, un’arma per una misteriosa donna, Mathildha (Thekla Reuten).
La seconda prova da regista di Anton Corbijn accentua tutti quegli aspetti che avevano contraddistinto, in negativo, il suo primo lavoro, Control (2007).
Fotografo e regista di videoclip di fama internazionale, attraverso il suo obbiettivo, ha plasmato e dato nuova vita a tantissimi gruppi rock come: Depeche Mode, U2, R.E.M, Nirvana, Metallica, David Sylvian e, in particolar modo, i Joy Division. Questi ultimi sono stati il primo vero trampolino di lancio per la carriera dell’allora giovane fotografo olandese, che ha omaggiato la memoria del loro storico leader, Ian Curtis, morto suicida all’età di 24 anni, narrandone l’ascesa e la caduta nel suo primo film.
La pellicola, visivamente parlando, è una summa dell’arte di Corbijn. Ci lascia immergere, camminare in silenzio in quel mondo in bianco e nero che lo ha reso una e vera e propria ‘rockstar’. Ma, sul piano della narrazione e della struttura, il film non riesce a superare i facili clichè del biopic, lasciandoci con l’amaro in bocca. Il sapore di un’occasione mancata. Lo stesso sapore che ritroviamo nell’ultimo thriller, tratto dal romanzo dello scrittore inglese Martin Booth (A Very Private Gentleman): il film è quasi un’antologia di luoghi comuni del genere. Il killer solitario/straniero e misterioso alla sua ultima missione, il prete/peccatore, la prostituta/redenta.
I silenzi quasi imbarazzanti sono lontanissimi da quelli che hanno contraddistinto grandi sicari di celluloide come quelli interpretati da Chow Yun-Fat nei film di John Woo, fino al Frank Costello di Alain Delon. Di certo non aiuta l’economia del film l’omaggio a C’era Una Volta il West, dove il confronto tra i killer, Frank (Henry Fonda) e quello di Clooney, è abissale.
Anche un topos tipico del regista, quello della religione (il dualismo santità e tentazione), viene banalizzato attraverso dialoghi superficiali e retorici. Solo la stanza da letto della prostituta ci ricorda chi è Anton Corbijn. Immagini della Madonna incorniciate da luci a neon, ma è solo un piccolo sprazzo.
Enzo Pompeo
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