Il talento che Claudio Giovannesi ha dimostrato di possedere con i suoi precedenti film (in particolare Alì ha gli occhi azzurri e Fiore) ne La paranza dei bambini trova l’occasione per esprimersi al meglio, segnalando il valore di un giovane autore capace di raccontare la realtà con grandissima misura, senza cadere nella trappola della spettacolarizzazione della messa in scena per accattivarsi l’apprezzamento del pubblico. Questo grande equilibrio gli deriva senza dubbio dal passato di documentarista che gli ha consentito di delineare personaggi e situazioni verosimili, quantunque il suo sia stato un lavoro di ricerca emotiva, per delineare gli slittamenti interiori dei protagonisti. La fonte letteraria – il testo omonimo di Roberto Saviano – ha senz’altro fornito una materia prima molto efficace, ma Giovannesi è riuscito a trattare superbamente la narrazione schivando – tanto per essere chiari – il rischio di scimmiottare il fortunato Gomorra di Matteo Garrone, laddove si è fermato sempre un momento prima di sconfinare – come lui stesso ha raccontato a Taxi Drivers – nel “pornografico”. Insomma, non ha mai colluso con il voyeurismo dello spettatore contemporaneo, alzando l’asticella del visibile, anzi, ha resistito quasi eroicamente, rappresentando con grande incisività l’umanità di un’infanzia negata.
Ciò che emerge in maniera cristallina ne La paranza dei bambini è il momento della perdita dell’innocenza e della successiva e rovinosa discesa agli inferi: ma quella che sembrerebbe essere una storia-limite, circoscritta a un dato ambiente, acquisisce una dimensione universale che invita a riflettere su come molto spesso ci si lasci sussumere da un modo di essere nel mondo che comporta lo smarrimento di se stessi, del proprio nucleo più profondo, in nome di una serie di rapporti di forza cui si ritiene di non potersi sottrarre. È come se un destino più forte della volontà dei singoli incombesse, senza dare scampo, instillando il desiderio del possesso, del consumo e di un godimento effimero fatto di eccessi (sesso, droga, beni di lusso e quant’altro).
Se da un lato, quindi, ne La paranza dei bambini è in parte presente l’iconografia tipica di tutto quel cinema che si è confrontato con realtà dure e criminali, dall’altro Giovannesi è riuscito a dare corpo a un controcampo che produce una felicissima sintesi, capace davvero di rigenerare uno sguardo che necessitava da tempo di una torsione in grado di produrre una significativa trasfigurazione. Per il raggiungimento di tale risultato, il regista è stato coadiuvato dall’ottimo lavoro svolto dal direttore della fotografia, Daniele Ciprì, ma anche e, soprattutto, dalla connaturata bravura dei suoi attori, primo fra tutti Francesco di Napoli, il protagonista: in questo senso, Giovannesi è stato bravissimo nella scelta, laddove i tratti del volto di Nicola possiedono un meraviglioso contrasto, fatto di innocenza e ferocia, di tenerezza e durezza.
Presentato in concorso al Festival di Berlino, La paranza dei bambini è un film che non potrà passare inosservato e, ne siamo persuasi, si aggiudicherà qualche riconoscimento importante. Non ci resta che fare un grande in bocca al lupo a Claudio Giovannesi.