Il mucchio selvaggio di Sam Peckinpah, uno dei manifesti del tramonto del western
Sam Peckinpah celebra la morte del western classico. Ne Il mucchio selvaggio la mitologia fordiana è lontana, il wild west è ora lo scenario di una realtà corrotta in pieno disfacimento, di una presenza civile da poco storicizzata e già decadente, metafora delle crisi che agitano l’America odierna e del destino umano votato al fallimento e alla morte. Capolavoro
Il mucchio selvaggio (The Wild Bunch), un film del 1969 diretto da Sam Peckinpah. Il film (che buona parte della critica statunitense considera tra i 10 migliori western di sempre) divenne famoso grazie all’eccellente cast (William Holden, Ernest Borgnine, Robert Ryan, Warren Oates per citarne alcuni) e per la storia truculenta e “sporca” dei protagonisti, compresa la scena finale del massacro. Tratto da un racconto di Roy N. Sickner, attore e stuntman, la sceneggiatura fu scritta da Walon Green, poi riscritta da Sam Peckinpah stesso. Nel 1999, è stato scelto per la conservazione nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti. Nel 1998 l’American Film Institute l’ha inserito all’ottantesimo posto della classifica dei migliori cento film statunitensi di tutti i tempi, mentre dieci anni dopo, nella lista aggiornata, è salito al settantanovesimo posto.
Sinossi Pike Bishop e la sua banda, inseguiti da Dick Thornton e dai suoi tagliagole dopo una rapina-tranello, arrivano ad Aguaverde in Messico e si accordano con Mapachi, un ex criminale che comanda le truppe controrivoluzionarie, per assalire un treno carico di armi. Il colpo riesce, ma poi Angelo, un messicano della banda di Pike, trattiene una cassa di armi per consegnarla agli indios in rivolta.
Il cinema americano ha fatto del genere western uno dei capisaldi della sua gloriosa produzione. L’epopea del “selvaggio” west, la scoperta di territori inesplorati e ricchi di risorse e lo spirito pioneristico della frontiera hanno rappresentato il quadro prediletto per raccontare le origini della giovane storia di un paese in ascesa prepotente, rinvenendo le tracce fondative del carattere nazionale. Molti grandi autori si sono cimentati con la storia degli Stati Uniti attraverso i caratteri del western: chi presupponendo nello scontro manicheo la presenza necessaria di un opera “civilizzatrice”, chi facendo delle immense praterie il campo di battaglia di guerre senza eroi, chi accentuando l’aspetto mitico dell’epopea e chi ammantando il tutto con tonalità marcatamente crepuscolari. Sam Peckimpah è quello che più di ogni altro ha inteso rappresentare attraverso il genere la natura spiccatamente illusoria del sogno americano. Di questa poetica intrisa di cupo pessimismo, Il mucchio selvaggiooccupa un posto di assoluto rilievo. Non a caso, viene generalmente considerato come il punto di non ritorno del “western classico” e l’inizio di una rilettura del genere che serve, come nella sua migliore tradizione, non solo a scorgervi la storia nel suo divenire, ma anche a legare quella storia, i caratteri che l’hanno permeata nel profondo e la dinamiche del potere che l’hanno indirizzata, al contingente.
Il mucchio selvaggio (e l’intera poetica di Sam Peckimpah naturalmente) segna “l’approdo fisiologico di un corpus mitopoietico cinematografico ed extra, celebrativo dell’ascesa di una nazione e divenuto specchio delle sue contraddizioni storico-culturali”. Il west è un territorio dai confini molto labili, la vita e la morte vi combattono la loro particolare battaglia per la sopravvivenza, l’unica legge che conta è quella del più forte e la sola regola riconosciuta è quella di guardarsi sempre alle spalle. Sam Peckimpah accentua ulteriormente questi aspetti attraverso una poetica del disincanto che si serve dell’estetica della violenza cruda ed eversiva per oltrepassare il genere e la storia e minare dalle fondamenta la presunta perfettibilità di un sistema paese ubriacato di tante pie illusioni. Nel “genere” Sam Peckinpah ha realizzato due capolavori assoluti, La ballata di Cable Haugee Il mucchio selvaggio, due film che sono due facce della stessa medaglia, entrambi attraversati da una linea di sottile nostalgia per una tipologia dell’umano ancora capace di far corrispondere la propria vita alla fierezza di una parola data o alla lealtà di un’amicizia adulta, ed entrambi pervasi dai segni incipienti del cambiamento in fieri. Se Cable Hauge rappresenta lo spirito pioneristico messo alla porta dal capitalismo in rampa di lancio, è lo spirito ribelle dei rivoluzionari messicani che accompagna la fuga della banda oltre le frontiere della “madrepatria” ad offrire agli uomini di Pike, insieme a un diverso modo di concepire la propria morte, la consapevolezza latente che con loro finirà un intero mondo. Pike e i suoi uomini pensano solo all’oro da intascare e a come schivare le pallottole, l’ultimo dei loro pensieri è quello di preoccuparsi del riscatto di un intero popolo aiutando la causa rivoluzionaria.
Tuttavia, sullo sfondo del loro perenne girare intorno al destino che li attende, c’è un popolo di miserabili che ha investito tutte le possibilità di riscatto nella speranza di una rivoluzione e loro, di fronte all’arrogante protervia del Mapache e al coraggio di poveri in armi, capiscono che non tutte le morti sono uguali, che alla crudele lotta dell’uomo contro l’uomo si può opporre il tentativo estremo di non rendere totalmente vano il sacrificio della propria vita. La banda conosce il valore etico della lotta contro i reggitori della storia: la scoperta di una sconfitta annunciata, uno spiraglio di luce che non riesce a penetrare i vecchi e i nuovi egoismi. Il massacro finale è li a mostrarci la voce muta di una speranza che nasce morta, un’allegoria visionaria che sublima gli attimi della tragedia nella ferocia di occhi insanguinati, una danza macabra senza esclusioni di colpi e senza il perdono di un solo brandello di carne. La morte al rallentatore di giganti nani.
Il mucchio selvaggio è disponibile in streaming a noleggio su TimVision, Rakuten, Chili e Amazon Prime Video.
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