Mar Nero, un film del 2008, opera prima del regista Federico Bondi, proiettato nelle sale italiane a partire dal 30 gennaio 2009. In contrapposizione ad un successo di pubblico limitato, complice una distribuzione piuttosto debole, la pellicola ha ottenuto un ottimo riscontro dalla critica in occasione del Festival internazionale del film di Locarno dove Ilaria Occhini è stata premiata con il Pardo per la Migliore Interpretazione Femminile. Con Ilaria Occhini, Dorotheea Petre, Corso Salani, Vlad Ivanov, Maia Morgenstern, Theodor Danetti, Vincenzo Versari, Giuliana Colzi.
Sinossi
Gemma è una signora anziana che da poco è rimasta vedova e che si fa aiutare in casa da Angela, una giovane rumena appena arrivata in Italia. Il rapporto tra le due donne sole da professionale pian piano si fa più intimo, sino ad assomigliare a un’amicizia. Questo fino a quando l’atmosfera serena non si turba all’improvviso per un tragico imprevisto: la sparizione del marito di Angela, rimasto in Romania. Angela vorrebbe partire, Gemma non vuole lasciarla andare. E così, grazie al buon cuore di Gemma, una scelta inedita: partiranno insieme per la Romania, in un viaggio di speranza e di scoperta.
Ecco un piccolo film italiano, minimalista, sobrio, che dà dei punti a certe produzioni blasonate dall’elegante involucro ma dal contenuto povero. Federico Bondi, alla sua opera prima, ha saputo proporre un argomento importante senza cadere nei cliché. È entrato in punta di piedi – la sua leggerezza è l’arma forte del film – in un mondo poco noto disegnatoci, in altre situazioni, in maniera manichea al massimo livello. Un debutto in sordina che sa di miracoloso, un giovane regista che è salito alla notorietà grazie al lancio al Festival di Locarno, che ha premiato la meritevole protagonista Ilaria Occhini, candidata anche al David di Donatello. Co-sceneggiato dallo stesso regista con Ugo Chiti, maestro di una certa toscanità, qui lontano dalla commedia. Una pulizia di storia e di immagini di cui da troppo tempo si sentiva il bisogno. Mar Nero è stato realizzato con risorse molto contenute, la sua ricchezza sta proprio nella sobrietà di tutta l’operazione. La cura delle interpretazioni è davvero eccellente e collima con il quadro complessivo che viene fuori: era facile cadere negli stereotipi che arricchiscono certe storie, ma la misura e i progressivi passaggi che ci fanno entrare dentro agli animi dei personaggi sono eccellenti; insomma una sensibilità estrema che non ha mai bisogno di scene madri. A un’Occhini da Donatello (è l’anno delle grandi attrici di teatro adottate dal cinema) risponde una coriacea e sensibile Dorotheea Petre, già vincitrice a Cannes nel 2006 grazie a The Way I Spent the End of the World di Catalin Mitulescu. Qualche sbavatura in sceneggiatura non rovina un’opera importante, densa, che commuove senza lacrime, nell’anima, che cammina dentro inesorabile dopo averla vista.