La mia Befana vola per davvero: intervista a Michele Soavi, regista di La Befana vien di notte
Dopo anni in cui era stato considerato come uno specialista di film di genere, Michele Soavi è oggi al centro di una rivalutazione volta a evidenziarne le qualità autoriali. In questo senso, La Befana vien di notte, interpretato da Paola Cortellesi e Stefano Fresi, rappresentava per il regista milanese un'occasione da non perdere: scopriamo perché chiedendolo direttamente all'interessato
Sei al centro di un rinnovato interesse da parte della critica che oggi ti considera un autore e non solo uno specialista del cinema di genere. La Befana vien di notte è un altro attestato di stima, trattandosi di un film distribuito nel periodo più ambito dell’anno e con una delle attrici più amate dal pubblico italiano. Un ritorno in grande stile, visto che la tua ultima volta sul grande schermo era stata nel 2008 con Il sangue dei vinti. Come stai vivendo questo momento?
Lo vivo come un sogno dal quale spero di non svegliarmi mai. È stato bellissimo avere l’occasione di ritornare al cinema di genere perché anche se non si tratta di un horror,La Befana vien di notte ha a che fare con le cose che mi hanno formato nella mia crescita lavorativa. Con questo non voglio dire che ho finito di imparare, ma solo che sono riuscito a servirmi dei segreti appresi dai maestri con cui ho lavorato: nello specifico da Terry Gilliam e Dario Argento. Come fossero strumenti del mestiere mi sono portato dietro queste esperienze, coniugandole con le risorse offerte dagli effetti speciali più moderni. Rispetto al film ho cercato di fare la cosa per me più difficile, e cioè di mantenere sospesa la storia tra realtà e immaginazione, perché in fondo raccontiamo un mito, una fiaba, un super eroe che vola. Mi sono chiesto più volte come fare a rendere coerente la storia senza venire meno alle regole per cui lo spettatore si identifica con questo tipo di film. La sfida è stata quella di mantenere fede a tali premesse, nonostante la narrazione offrisse più di uno spunto per allontanarsene. Sono voluto rimanere all’interno di un contesto sospeso e magico, nutrito con quello che è il mio bagaglio personale e nella fattispecie la pittura finnica. Insomma, quel mondo che mi porto appresso e che mi capita di innescare anche quando faccio televisione. La Befana vien di notte era una grande occasione, quindi non potevo sbagliare. Per fortuna ho avuto il regalo di incontrare attori straordinari, un musicista strepitoso come Andrea Farri e un comparto di specialisti degli effetti speciali davvero bravi: nonostante questo, penso di non averne abusato e che tutto sia stato calibrato. Volevo creare un film che per un’ora e mezza facesse sognare il pubblico, distraendolo e facendolo divertire.
La tua regia si inseriva in un format già consolidato dal testo di uno sceneggiatore di peso come Nicola Guaglianone e da un’attrice importante come Paola Cortellesi. A te spettava la responsabilità di raccontare l’uno e l’altra attraverso il tuo immaginario.
Il cuore del film sono i ragazzi e il loro viaggio. Di quest’ultimo, come sempre succede, non era importante la meta ma il percorso effettuato per arrivarci. Anche se stiamo parlando di due soli giorni, i bambini fanno in tempo a sperimentare il primo amore, il dolore e persino la possibilità della morte, arrivando al termine dell’esperienza cresciuti e migliorati. Siamo dalle parti del romanzo di formazione e di autori come Dickens e il Salinger de Il giovane Holden in cui i personaggi partono in un modo e arrivano in un altro. La difficoltà era quella di dosare ogni elemento in maniera che uno non prevalesse sull’altro e poi di riuscire a inserirvi l’immaginifico che mi porto dietro e che costituisce la mia forza. Me lo dicono in molti per cui penso che sia vero.
A proposito di immaginario: nel film entra a farvi parte sia attraverso uno dei tuoi marchi di fabbrica, dato appunto dalla presenza degli animali (qui ti sei potuto addirittura sbizzarrire vista l’ambientazione), sia con la scelta di riprese in cui, privilegiando campi lunghi e panoramiche, hai avuto modo di costruire l’universo dei personaggi. Per non parlare della ricchezza dei riferimenti cinematografici. Il primo titolo che mi è venuta in mente guardando l’avventura dei bambini è stato I Goonies.
Sul Barbagianni oramai ho il copyright (ride, ndr). Dici bene, c’è tutto un’immaginario specifico, perché certi film si stratificano dentro di te e non li puoi cancellare. Comunque prima di girare ho rinunciato a vederli: tieni conto che in alcuni casi, com’è successo per I Goonies, si tratta di visioni vecchie di almeno 20 anni. La produzione mi diceva di prendere spunto da Stranger Things, ma ho evitato di farlo perché volevo realizzare il mio film e non copiare quelli già fatti. Quindi, come giustamente hai detto, ne è venuta fuori un’opera autoctona che speriamo possa competere con le produzioni americane pur essendo nostrana e non recitata in inglese. Nei miei primi lavori la lingua straniera era indispensabile; per vendere i film all’estero, soprattutto se parliamo di prodotti di genere, l’inglese era fondamentale perché non li faceva sembrare italiani. Qui, invece, le nostre radici sono evidenti, a cominciare dalla figura della Befana che è un fenomeno tipico del nostro paese, seppur ereditato dalle leggende del nord Europa. Il fatto che la protagonista fosse a suo modo una strega mi ha fatto sentire ancora più a mio agio.
Complice la sceneggiatura di Guaglianone, ti rendi artefice di un’operazione simile a quella fatta da Mainetti per Lo chiamavano Jeeg Robot, nel senso che prendi caratteri e contesti legati alla tradizione italiana, raccontandoli con codici e stilemi che li rendono universali. Da una parte abbiamo la Befana, con la sua storia legata alle tradizioni popolari nostrane, dall’altra una sorta di super eroina che, alla pari dei personaggi della Marvel, è chiamata a salvare il mondo. Come questi, la tua Befana si avvale di un’ identità segreta e può contare su poteri straordinari.
Si! Tra l’altro hai usato un bellissimo aggettivo perché si tratta di un’opera universale, nata dalla volontà di fare un film d’evasione, di quelli per le famiglie che a Natale vanno al cinema per sognare e quando escono dalla sala vogliono portare a casa un messaggio di speranza. La Befana vien di notte ha una grande leggerezza anche se farlo non è stato uno scherzo.
Come dicevo, il film è ricco di riferimenti cinematografici. Ci sono Tim Burton e la Fabbrica del cioccolato, I Goonies di Richard Donner, per non dire della caverna segreta della Befana, simile a quella di Batman. Quando poi vediamo la scopa che torna alla sua “padrona” non possiamo non pensare al martello del mitico Thor, allo scudo di Capitan America e all’armatura di Iron Man.
Come già detto, prima di iniziare a girare non ho voluto rivedere nessun film. Pensa che La fabbrica del cioccolato lo conosco solo per averne visto il trailer. Mi avevano detto di dargli un’occhiata ma mi sono rifiutato perché ne sarei stato in qualche modo condizionato. D’altronde Tim Burton è un genio totale! Copiarlo sarebbe stato un errore. Me la sono cavata usando il mio immaginario. Le citazioni che hai scritto sono presenti, ma nel film vengono rielaborate dalla mia fantasia. Solo in questo modo potevano diventare altro da ciò che già conosciamo.
Tu sei nato in un cinema in cui l’artigianalità vi consentiva di supplire alla mancanza di effetti speciali con risultati altrettanto strabilianti. Ne La Befana vien di notte questa arte e rimasta intatta e lo spettatore può constatarlo nella scena in cui i lupi minacciano i giovani protagonisti. Tutto appare assolutamente reale; d’altro canto la pericolosità del contesto, dato dalla vicinanza tra animali e attori, farebbe pensare all’impiego del digitale, che però non si riesce a scorgere.
La ragione è spiegata dal fatto che la scena è reale. Abbiamo cercato in tutta Italia ammaestratori di cani cecoslovacchi, che non sono veri e propri lupi ma gli assomigliano parecchio. Certo non è stato facile lavorare con animali veri, costretti a muoversi a comando. Comunque, non li abbiamo mai maltrattati e per farli stare fermi, a poca distanza dai bambini, li abbiamo semplicemente ancorati per terra con un cordino. La cosa più divertente è stata quando ho detto di portare sul set una gallina: è bastata fargliela vedere per scatenare la loro ferinità e farli abbaiare con l’intensità necessaria a dare senso alla scena. Ho usato lo stesso metodo anche con la protagonista. Paola l’abbiamo fatta volare davvero: stava attaccata a un robot, di quelli che si usano per le automobili e con i quali si programmano traiettorie di ogni genere, con parabole e pieghe a sinistra e a destra. L’idea era quella di allontanarsi dall’immagine della Befana immobile e rigida sulla scopa alla maniera della Pivetti. La mia, con la sua scopa, disegna traiettorie caratterizzate da curve paraboliche pazzesche. Un altro regista avrebbe affidato tutto agli effetti speciali a partire dalla creazione dei lupi, mentre per me la combinazione vincente era quella di mescolare cose girate dal vero con sfondi e altri dettagli frutto dell’elaborazione tecnologica. Mi fa piacere che tu ti sia accorto di questa differenza nella sequenza citata nella domanda.
Hai lavorato a fianco di Argento e Gilliam: mi puoi dire che tipi di registi sono e come ti sei trovato con loro sul set? La stessa cosa vale per la Cortellesi.
Dario Argento è la luna, Terry Gilliam il sole. Anche se coetanei si tratta di due persone opposte. Ho imparato da entrambi anche se mi viene difficile dirti che cosa in maniera specifica. Dario era la notte, Terry la luce. Di Paola cosa posso dire, è stata fantastica, sempre puntuale e disponibile, disposta a farsi fare di tutto. Tra l’altro ha messo in discussione la sua bellezza sottoponendosi a cinque ore di trucco per diventare una vecchia di cinquecento anni, recitando al freddo fino a diventare paonazza. Non potevo pretendere di più!
Anno: 2018
Durata: 89
Distribuzione: Universal Pictures, Lucky Red
Genere: Commedia
Nazionalita: Italia
Regia: Michele Soavi
Data di uscita: 27-December-2018
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