Opposte teorie circolano rispetto all’affidarsi o meno a esperti in materia quando si tratta di muovere i primi passi nel cinema che conta. Sul grande schermo abbiamo appena visto con quali risultati lo ha fatto Margherita Ferri che in Zen – Sul ghiaccio sottile ha utilizzato un cast artistico e tecnico di soli esordienti. Al contrario i fratelli D’Innocenzo, autori di uno dei film più convincenti dell’annata, si sono schierati dalla parte opposta, dichiarandosi favorevoli all’impiego di collaboratori di consolidato successo. In egual modo la pensa Federica D’Ignoti, regista e sceneggiatrice di Anna, corto d’autore presentato al RIFF Awards 2018 (Roma Indipendent Film Festival) in corso al Nuovo Cinema Aquila di Roma, nel quale, oltre a due interpreti della qualità di Valentina Lodovini e Pietro De Silva e a un montatore esperto come Claudio Di Mauro, è presente un maestro delle luci del calibro di Daniele Ciprì. Ovviamente tutto questo non basterebbe a fare di Anna un ottimo esempio di cinema se D’Ignoti non ci mettesse del suo nel fare dello scambio di battute tra la donna del titolo e il suo interlocutore qualcosa di più di un semplice confronto di idee. Con il passare dei minuti (sono solo 8′ 50″, ma tutti ben spesi), infatti, quella che a prima vista sembrava la schermaglia di chi è costretto a difendersi da una colpa già commessa diventa la requisitoria intorno alle contraddizione delle relazioni umane e in particolare a quelle tra uomo e donna, anche in questo caso esaminate a rapporto finito, quando il fatto di parlarne acuisce in chi ascolta la sensazione d’impotenza nei confronti di una condizione a termine come lo è quella dell’innamoramento.
Detto che nulla è come sembra anche per quanto riguarda i ruoli assegnati in partenza ai due protagonisti e che parte di quello che lo spettatore scoprirà nel sorprendente finale c’entra non poco con la capacità che ha il cinema di essere puro infingimento, Anna si regge sulla capacità degli attori di farsi interpreti del fuori campo rappresentato dalle verità nascoste di cui entrambi sono portatori, così come sulla sensibilità di Ciprì di dargli corso visualizzandola nel passaggio dalle luci artificiali – della lampada con cui all’inizio illumina il volto di Anna -, quelle della mistificazione, ad un’altra, più naturale, in cui i colori diventano indistinguibili come il significato della complicità che lega i due personaggi. Qualità destinate a rimanere fini a se stesse se non fosse che Federica D’Ignoti riesce a metterle al servizio della storia senza tradirne il senso e con uno spirito ludico e cinefilo degni di nota.