Quasi un piccolo “Judgment Day” venerdì 2 novembre, per questa scoppiettante edizione del Trieste Science + Fiction Festival: in serata è stato proiettato l’attesissimo Ederlezi Rising, opera prima del regista serbo Lazar Bodroža. Perché attesissimo? Qui a Trieste è ormai il segreto di Pulcinella: protagonista femminile del film ed ospite assai gradita – se non addirittura venerata – del festival è la seducente Stoya, al secolo Jessica Stoyadinovich, icona del cinema hard qui alle prese con altri spazi dell’immaginario cinematografico; anzi, per dirla tutta, alle prese con lo Spazio in senso lato, trattandosi di un’eccentrica space opera! Particolarmente azzeccata, poi, la scelta degli organizzatori di invitare l’attrice nella data novembrina tradizionalmente dedicata ai defunti: saranno stati contenti anche loro, di fronte a tale visione, dato che l’adorabile Stoya è realmente una in grado di far resuscitare i morti. E non aggiungiamo altro a riguardo, per non scadere ancora di più in quell’avanspettacolo d’anteguerra che pure ci affascina, sollazzandoci impunemente.
Maliziosa ed enigmatica, sensuale e magnetica, la modella americana di origini serbe con gloriosi trascorsi da pornostar ha passato brillantemente l’esame, dando vita sul grande schermo a un seducente androide di ultima generazione lanciato alla colonizzazione di nuovi mondi (e dell’immaginario erotico maschile), che resterà impresso a lungo nella retina di chi ha assistito alla proiezione. Ma parlare solo di lei sarebbe far torto a un’opera di fantascienza che ha anche altri meriti. Oltre ad averci stuzzicato dal punto di vista “sensoriale”, ci è piaciuto per i suoi contenuti, questo Ederlezi Rising. A partire dalla spigliatezza con cui linee guida quali possono essere le tre leggi della robotica di Isaac Asimov, oppure la raffigurazione stessa dell’androide, del “replicante”, come si è sviluppata dai tempi del fondamentale Blade Runner fino ai giorni nostri, vengono infine triturate in un plot attento attento sia ad una dimensione più intima, esistenziale, che agli aspetti prettamente sociologici del discorso. Ed è proprio su quest’altro fronte che si colgono le notazioni più interessanti e, volendo, bizzarre, dell’immaginifico racconto.
Il lungometraggio di Lazar Bodroža, visualmente concepito intorno agli ambienti ristretti dell’astronave e ad effetti speciali low budget di buona fattura, finanche eleganti (positivo che pure da paesi dell’ex Yugoslavia si possa raccogliere, oggigiorno, una buona pellicola di esplorazioni spaziali), ci racconta di un prossimo futuro in cui la Terra è stata talmente devastata dalle voraci spinte del capitalismo che vecchie teorie socialiste sono state riesumate, per essere esportate da una potente corporation in lontane colonie extramondo. Il paradossale background della narrazione arriva al punto di ipotizzare una missione verso Alpha Centauri, varata allo scopo di instaurare persino lì i rigidi principi dello Juche, ancor più dispotica (e distopica) versione del “socialismo reale” di matrice nordcoreana. Da un assunto così grottesco, grazie alle venature gelide e beffarde che ne derivano, il cineasta serbo sembra trarre il mood ideale per affrescare un’attrazione erotica anomala, poco bilanciata sin dall’inizio: quella che un astronauta dalla scorza durissima ma intimamente vulnerabile (ben impersonato dal gagliardo Sebastian Cavazza) rivela nei confronti di Nimani (a.k.a. Stoya), androide femminile dallo straordinario appeal sessuale. Per volontà della cinica corporation che li ha spediti nello spazio (e che intende anche studiarne le reazioni, i comportamenti, come in un rischioso esperimento sociale), la bellissima femmina artificiale dovrebbe essere a completa disposizione dell’uomo, sia per il proprio piacere fisico che per questioni di utilità pratica. Ma l’astronauta non si accontenta e intende concedere a Nimani margini d’azione fino ad allora impensabili, restituendole la libertà di scegliere. Vuole insomma renderla una persona. Senza aver previsto però tutte le conseguenze. E questo finirà per alterare tutti i piani della compagnia spaziale che dirige da lontano la missione, spingendo entrambi i protagonisti verso scelte estreme…
Pur inciampando di tanto in tanto in qualche stereotipo, Ederlezi Rising rivela coraggio nel declinare tematiche simili da un punto di vista spudoratamente maschile, raccontando il gioco di seduzione un po’ come si era tentato di fare (con esiti magari più scontati) nel recentissimo Passengers, evidenziando cioè lo spaesamento e la difficoltà dell’uomo nel far collimare la propria immaginazione erotica coi desiderata di una figura femminile sempre più emancipata, desiderosa di autonomia. Qui però, oltre alle puntuali interferenze di un soggetto esterno in vena di morbosi esperimenti sociali, vi è sul piatto anche l’intenzione del personaggio umano di risvegliare una umanità latente in un essere identificato inizialmente come macchina, come “cosa”, al di là del suo bellissimo aspetto fisico. E per un appassionato di fantascienza la portata di tale processo, se messo in scena con modalità sufficientemente plausibili e stimolanti, è facilmente immaginabile.