Nel 1816 lo scrittore E.T.A. Hoffman scrisse il racconto dickensiano Lo schiaccianoci e il Re dei Topi. Le ambientazioni, la morale e le componenti strutturali lasciavano presupporre che il successo dell’opera sarebbe stato limitato al suo stesso secolo, eppure, quando Alexandre Dumas nel 1845 lo liberò dalla sua pedanteria, lo rese più frizzante e fantasioso, avvicinandolo, insomma, allo shakespeariano Sogno di una notte di mezza estate. La sua affascinante piacevolezza divenne ancora più popolare grazie a Pëtr Il’ič Čajkovskij che nel 1891 portò la storia a teatro realizzando una delle coreografie più belle e profonde di tutti i tempi. Dopo svariate trasposizioni cinematografiche poco riuscite, la Disney decide di adattare la versione di Dumas per il grande schermo affidando la regia de Lo schiaccianoci e i Quattro Regni ai registi Lasse Hallmstrong (autore de Il pescatore di sogni) e Joe Johnston (padre di Capitan America: Il primo vendicatore). A metà strada tra balletto, pièce teatrale e pellicola fantasy, la pellicola si rivela subito un’opera machiavellica e prolissa che trova la sua metafora nel regalo di Natale della protagonista.
La giovane Clara, infatti, addolorata per la perdita della madre, passa la Vigilia di Natale a cercare il modo per aprire la serratura con blocco a cilindro del suo carillon. Seguendo letteralmente un filo d’oro, entra in un mondo fantastico popolato da creature dei boschi, fate, confetti e fiocchi di neve che hanno preso vita grazie a sua madre, una donna ingegnosa e intelligente, capace di posporre i propri interessi personali a quelli del suo popolo. La ragazzina, aiutata da un fedele soldato schiaccianoci, affronterà la perfida Madre Cicogna per salvare il regno incantato dalle mire espansionistiche della donna.
La sceneggiatura dell’opera redatta a quattro mani dall’esordiente Ashleigh Powell e dal Tom McCarty de Il caso Spotlight, è funambolicamente divisa tra l’universo del burtoniano Alice in Wonderland e quello più labirintico de Le cronache di Narnia. Impreziosita da costanti mise en abyme e trovate metateatrali, la narrazione portata in scena da Hallstrom sembra avere tutte le carte in regola per diventare una scenografica trasposizione cinematografica capace di unire diverse forme d’arte nello stesso prodotto. Sfortunatamente, non è così. Già dalle prime inquadrature, infatti, appare evidente che il ritmo è troppo lento, la componente musicale è spenta, i colori sono denaturati e gli attori non sono all’altezza delle aspettative. La giovane Mackenzie Foy ha difficoltà a portare sulle proprie spalle il peso della narrazione, venendo supportata da uno schiaccianoci che, da prode scudiero, diviene vittima da salvare e Keira Knightley, macchiettistica e logorroica fino alla nausea, dà decisamente il peggio di sé. Davvero un peccato, dunque, che neanche il nuovo schiaccianoci riesca a comunicare quella magia del Natale che tutti i bambini aspettano con ansia, rivelandosi, piuttosto, una saturata elaborazione di un lutto.