Per sua natura La donna dello scrittore è un film meno esplicito di altri tuoi lavori. Il suo essere immerso in una sorta di limbo esistenziale, e quindi narrativo, lascia allo spettatore il compito di completare taluni passaggi della storia, assegnandogli significati e motivazioni. Tale processo fa si che il film coinvolga in prima persona chi lo guarda. Sei d’accordo con questa interpretazione, e mentre lo scrivevi hai pensato a questa possibilità?
Mi piace quando lo spettatore partecipa attivamente e non insegue solo strani sogni. Io stesso sono prima di tutti uno spettatore, vado regolarmente al cinema, non più come prima, ma ancora molto spesso. E mi piace quando sono considerato seriamente come spettatore al pari dei protagonisti.
Come Georg e Marie anche il personaggio di Nina Hoss in La scelta di Barbara vive la condizione di intervallo tipica di chi attende di espatriare in un altro paese. Nel Il segreto del suo volto la protagonista è una donna che cerca invano il proprio marito e che agli occhi degli altri appare il fantasma di una persona che non esiste più. In questo senso La donna dello scrittore, al di là della propria specificità, sembra quasi una continuazione degli altri due film. Nelle tue intenzioni esisteva questo filo rosso che lega i tre lungometraggi?
La condizione di intervallo ne La donna dello scrittore, tipica di chi attende di espatriare, è per me una caratteristica degli eroi e delle eroine che popolano il cinema, a prescindere se hanno perso il loro lavoro, l’amore, la loro patria, la società. Il senso dello scopo che perseguono, la loro volontà, la loro disperazione, di tornare a ottenere qualcosa, è ciò che spinge i personaggi nei film.
La sospensione dei personaggi corrisponde a quella della messinscena in cui elementi del passato si mescolano a quelli del presente creando una sorta di neutralità temporale. Volevo capire come hai lavorato sul paesaggio per ottenere questa sorta di Purgatorio di anime in pena.
Se mi trovo a girare per una città, mi rendo conto che il vecchio convive con il nuovo. Le rovine dell’epoca moderna accanto a quelle della guerra. Le case del “Neoliberismo” accanto a quelle del XIX secolo. Così mi sono immaginato La donna dello scrittore. Una città così.
Anche la fotografia mi pare vada nella medesima direzione, in virtù del fatto che i colori accesi e il contrasto scaturito dal loro accostamento sembrano riflettere le passioni dei protagonisti. Quali obiettivi vi eravate posti con Hans Fromm Bvk?
Il film noir, che è stato inventato a Hollywood, ispirato alla luce di Berlino, alle tenebre, alle ombre, è il riferimento di tutti coloro che sono dovuti fuggire dai fascisti. Siodmak, Wilder, Lang, Ulmer, Sirk. Noi volevamo un noir a colori: pervaso di luce e vento.
Il colore contribuisce non poco al senso di straniamento. Mi riferisco allo scarto tra quelli utilizzati in chiave antinaturalistica nella prima scena, che sembra ambientata effettivamente nel 1940, e le altre in cui la fotografia si arricchisce di un realismo che ci riporta ai nostri giorni. Se questa opzione esisteva nei tuoi piani mi piaceva capire come ci avevi ragionato.
Per rispondere mi piace citar la frase di Nicholas Roeg: “il cinema è per me rendere il quotidiano estraneo. Incantare la realtà, nel bene e nel male“.
Il tuo cinema ha la caratteristica di essere immerso fortemente nella realtà, e mi riferisco al fatto che spesso le storie sono collocate all’interno di cesure storiche epocali. Al tempo stesso, tutto questo convive con l’assoluto idealismo con cui i personaggi si rivolgono al loro tempo. La donna dello scrittore non fa eccezione. Anche se le definizioni sono quasi sempre riduttive ti ritrovi dentro quella che ho appena affermato?
Sgomento, sì, questa è una bella parola. Una frase di Heinrich von Kleist, annotata in uno dei suoi diari, riporta, mentre guardava verso l’alto, sotto l’arco della cinta muraria: “tutto si schianta, ogni pietra, e mentre tutti cadono, si forma uno spazio“. Queste sono le storie.
La scelta degli attori va di pari passo con le caratteristiche dei personaggi. Se la fisionomia più marcata e il corpo nervoso di Franz Rogowski corrispondono al senso dell’agire proprio di Georg, così i tratti rarefatti e verginali di Paula Beer ben si addicono a Marie, che invece è un personaggio sfuggente, quasi volatile. Esiste questa corrispondenza e, ancora, che tipo di attori sono?
Non credo che chiunque possa recitare tutto. Ci deve essere un’idea, una comprensione. Ho letto una volta che i doppiatori sono scelti non per le voci simili, ma per un fisico simile. In qualche modo anche io procedo così. Ho le foto degli attori accanto alla tastiera e scrivo per i loro corpi.