Quando si parla di arte e delle sue funzioni non c’è occasione in cui le opinioni si dividano tra i fautori di una visione esclusivamente estetica e coloro che invece preferiscono collegarla a scopi pedagogici. Da qualunque parte si decida di stare, su una cosa sono tutti d’accordo, e cioè che un’opera per considerarsi tale non deve passare inosservata. Il perché Sacco e Vanzetti di Giuliano Montaldo rientri in ciascuna delle categorie appena enunciate lo si intuisce assistendo alla proiezione de La morte legale, il documentario che Silvia Giulietti e Giotto Barbieri hanno dedicato a uno dei film più importanti del nostro cinema. Questo perché la rievocazione della diverse fasi della realizzazione, ricostruite nel dettaglio dai ricordi del regista genovese e da quelli di una piccola parte di coloro che vi parteciparono (Lea Pescarolo, moglie di Giuliano, e Rosanna Fratello, assoldata per il ruolo di Rosa Sacco), è accompagnata dagli effetti che l’uscita del film suscitò sull’opinione pubblica mondiale, tra cui la riabilitazione postuma dei due imputati. Davanti ai nostri occhi non ci sono solo le facce belle e indimenticabili di Gian Maria Volontè e Riccardo Cucciolla, così come la consapevolezza da parte dei partecipanti di vivere un’esperienza diversa dalle altre, come si verificò, appunto, nel caso di Cucciolla, vincitore del premio per la migliore interpretazione al Festival di Cannes. A stupire di più, infatti, sono le immagini di repertorio che danno conto del seguito riscosso dal film, capace di riportare all’attenzione internazionale l’incredibile vicenda dei due anarchici italiani, condannati a morte dalla giustizia americana il 23 agosto del 1927 per colpe mai commesse. E, ancora, l’onda lunga propagatasi soprattutto tra il pubblico più giovane e impegnato che – sulle note di Here’s to you di Ennio Morricone e Joan Baez, rispettivamente compositore e interprete della colonna sonora – fece di Sacco e Vanzetti e della loro storia uno dei simboli di lotta contro l’intolleranza e le ingiustizie del potere ufficiale.
Partendo dagli aspetti cinematografici, La morte legale si allarga a un discorso più ampio, nella rilettura di un’epoca (a cavallo tra gli anni Venti e Settanta) i cui risvolti politici e sociali, innestati su questioni ancora aperte, quali l’immigrazione, il razzismo, la pena di morte (di cui peraltro furono vittime proprio Sacco e Vanzetti), anticipano il presente, aiutandoci a interpretarlo con gli strumenti offerti dagli interventi di storici e critici cinematografici (Mario Sesti), corredati da un ricco archivio di filmati e di fotografie scattate sul set del film. Nelle sue molteplici sfaccettature, la visione de La morte legale si offre allo stesso tempo agli appassionati di cinema e allo spettatore curioso di conoscere di più sull’incredibile vicenda di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti.