Nuova prova di estro per lo stravagante regista greco Yorgos Lanthimos, che presenta oggi nella seconda giornata della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, il suo ultimo lavoro, The favourite, nel quale unisce malizia, perizia, intelligenza e la sua solita buona dose di provocazione, realizzando un’opera decisamente godibile e ancora una volta diversa da tutte le sue precedenti, confermandosi irriverente e spregiudicato. Con un buon margine di prevedibilità, è abbastanza verosimile possa andare a suscitare nel pubblico interesse e risonanza non indifferenti. L’attrattiva sarà favorita anche dall’essersi avvalso di un cast particolarmente imponente, nel quale figurano in modo preponderante tre brillanti prime donne, Rachel Weisz, Olivia Colman e Emma Stone, tutte dotate di forte presenza scenica e ognuna delle quali si è espressa in un’ottima performance interpretativa, infondendo così non poca energia al film e rendendo particolarmente denso un lavoro già di per sé corposo e consistente. Le prime due avevano già lavorato con Lanthimos in The lobster, suo penultimo film prima del recente Il sacrificio del cervo sacro, mentre per Emma Stone si tratta della prima collaborazione con il regista greco. Oltre alle tre attrici, nel cast anche Nicholas Houlz e John Alwin, che assolvono discretamente il loro compito, per quanto messi abbastanza in ombra dalle colleghe. Il film è stato realizzato a partire da un progetto che è diventato un prodotto compiuto soltanto dopo nove anni di lavoro, unica opera di cui l’autore greco non firma anche la sceneggiatura, che invece è scritta a quattro mani da Deborah Davies e Tony McNamara.
Ormai al suo sesto lungometraggio e autore fortemente acclamato, questa volta Lanthimos si diletta nel genere storico, proponendo un film in costume ambientato nell’Inghilterra del XVIII secolo, durante la monarchia della regina Anna (Olivia Colman), ultima della casa degli Stuart, che ha regnato dal 1702 al 1717, in un periodo di conflitto tra il paese britannico e la Francia. Utilizzando un registro ironico e sarcastico, l’autore in qualche modo alleggerisce le consuete tonalità cupe e torbide riconoscibili solitamente nei suoi lavori.
Pur stemperate e mimetizzate dal taglio più giocoso, il regista non si esime dal trattare le sue abituali tematiche ambigue, non certo semplici e cristalline: la differenza è che, questa volta, lo fa attraverso la rappresentazione di un contesto di corte nel quale si manifestano i capricci e i vezzi umani più o meno sfaccettati e complessi che, caratterizzando e muovendo comportamenti di singole persone investite di potere, hanno poi un peso sulla vita di un gran numero di individui, ma non per questo non sono altrettanto volubili, incostanti, facilmente mutevoli e instabili rispetto a quelli di qualsiasi altro essere umano.
Anche durante la conferenza stampa, il regista ha affermato di essere stato affascinato proprio da come atteggiamenti e comportamenti determinati da cambiamenti di stati d’animo anche repentini, o comunque attribuibili a interessi puramente personali appartenenti a dei singoli, possano, nel caso in cui riguardino persone di potere, influenzare il destino di popoli interi. Così, concentrandosi sulle tre donne e mettendo in scena le loro relazioni sentimentali, i loro intrighi sessuali, le loro fragilità, ha deciso di rappresentare, riuscendoci piuttosto efficacemente attraverso il suo linguaggio sfacciato e beffardo, come gelosie, arrivismi, strategie e ambizioni personali possano influire, condizionandole fortemente, su decisioni fondamentali, relative, per esempio, al continuare o meno lo svolgersi di una guerra o alla nomina di leader politici, tema che, come giustamente lo stesso regista ha detto, è abbastanza universale e senza tempo. Oltre al piano esplicito e dichiarato dallo stesso Lanthimos, si può individuare un livello di lettura sottostante, un piano più esistenziale, più intimo, nel quale, espressi sempre con questa modalità canzonatoria e sfrontata, si possono riconoscere i temi più cari al regista.
Nonostante sia nota, a chi conosce il suo lavoro, una sua visione del mondo e dell’essere umano decisamente cinica e sprezzante che lascia ben poco spazio alla speranza – e sarebbe facile interpretare in questo modo anche quest’opera – se si legge un po’ tra le righe, al di là del fatto che l’idea di un mondo squallido, infimo e governato da dinamiche di potere, oltre che dalla menzogna e dalla manipolazione, sia sempre un elemento centrale ben evidenziato dal regista, in realtà si può identificare abbastanza chiaramente come anche in un mondo così brutto e piccolo, nel bene e soprattutto nel male, a governare e a muovere il comportamento umano siano sempre e comunque i bisogni affettivi. E come nessuna manipolazione o strategia, per quanto ben elaborata e astuta e per quanto capace di direzionare il corso di vite intere, sia in grado di alterare o prevalere su quei bisogni rendendoli meno primari.
Funzionali a esprimere questo concetto sono i bellissimi personaggi della regina Anna e della domestica Abigail, interpretati in modo magistrale rispettivamente da Olivia Colman ed Emma Stone, che incarnano il contrasto tra la tendenza allo sfruttare e a mettere in secondo piano qualsiasi principio o valore, pur di ottenere un proprio vantaggio (“Io penso solo a me stessa. Sempre. Talvolta questo può tradursi in una fortunata circostanza anche per voi”) e l’estremo bisogno di essere amati. Il bisogno di sentirsi voluti, il vuoto affettivo relativo alla perdita reiterata e la fragilità che ne deriva rendono particolarmente ingenuo e vulnerabile chi è portatore di tale bisogno, esponendolo così all’egoismo di chi, più difeso e scaltro, si approfitta di personalità così indifese sfruttandone spudoratamente i vuoti. Questi ultimi aspetti sono quelli che caratterizzano il personaggio della regina Anna, forse il più complesso e riuscito del film.
“Io sono l’unica che non ti mento. Questo è l’amore”, le dice la duchessa di Marlborough (Rachel Weisz), attraverso una porta chiusa, dopo essere stata allontanata in seguito alle manovre arriviste di Abigail. Ed è l’unico amore che in fin dei conti vorrebbe, quella regina insicura e sgangherata, indebolita e frustrata dal suo sentirsi totalmente non amabile e improponibile, che finisce sì per essere guidata da sentimenti negativi di vendetta e rancore, manipolata dalla cinica Abigail; ma quest’ultima, apparentemente vincente avendo raggiunto con mezzi sordidi tutti i suoi obiettivi, non resta altro che un misero strumento di appagamento che viene messo in basso e in posizione servile rispetto a chi, seppur più fragile, pesta e provata, ai limiti e oltre della stabilità mentale, è però ancora in grado di amare o quanto meno di desiderare un sentimento sincero. Bellissimo il finale che esprime in un’unica sequenza tutto questo.
The favourite aprirà il New York Film Festival il 28 di settembre e uscirà nelle sale americane a novembre.