Goliardico e parodistico. Mai dissacrante. John Landis ama gli ape suit, i vestiti da gorilla, e il fantastico. A otto anni, nel 1958, come racconta più volte, vide un film su Sinbad con gli effetti speciali realizzati in stop-motion da Ray Harryhausen, «uno dei ricordi d’infanzia più forti». L’eterogeneità sembra la sua forza propulsiva: è stato fattorino di Hollywood, factotum in Jugoslavia per un film della MGM con Clint Eastwood e Donald Sutherland, stuntman, dialoghista, attore. Poi regista. Un’artigianale passione per il cinema che si riflette nella commistione di generi dei suoi film: surreale, commedia, teen-movie, horror, musical. Il suo sguardo lascia entrare tanti oggetti in scena senza essere barocco, mantenendo anzi uno sguardo asciutto, razionale, che racconta le minoranze e il razzismo.
Oggi John Landis frequenta Villa Getty, a Malibu, replica sgargiante della Villa dei Papiri di Ercolano voluta dal petroliere e filantropo Jean Paul Getty. La struttura si trova in un complesso di edifici classicheggianti, sulle colline di Santa Monica. Ci sono giardini, tetti con travi a vista, un anfiteatro. L’anno prossimo ospiterà il Satiro Ebbro del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, copia romana di un modello forse lisippeo (III secolo a.c.), ritrovato nella Villa dei Papiri, che ritrae, senza idealizzare, un satiro brillo steso su pelle leonina che schiocca le dita. I muscoli sono flaccidi, lo sguardo perso. «Un anno e mezzo fa – racconta il regista californiano – sono stato a Pompei con mia moglie Deborah (Nadoolman, costumista di Hollywood, ndr). C’erano molti più scavi rispetto all’ultima volta che ci sono stato, una trentina d’anni prima, e mi chiesi dov’era finito tutto il resto: le statue, a centinaia, n’è stato fatto un bottino e portato via. Dov’era finito? “Al museo archeologico di Napoli”, mi dissero. E così eccomi qui».
Landis se la ride di gusto, non come un ingenuo turista, piuttosto come un satiro, un satiro-orso. Lo intervisto sul lungomare di Napoli, a colazione, poco prima di partire per Maratea dove ha partecipato a Le giornate del cinema lucano, ha tenuto una lezione sul cinema e si è fatto intervistare da Alberto Barbera. L’ho conosciuto per caso qualche settimana prima, a Villa Getty, in occasione della presentazione dell’arrivo del Satiro Ebbro nel 2019.
Mister Landis, le piacciono le interviste?
No. (Ride)
Tre giorni di vacanza a Napoli.
Abbiamo mangiato un sacco di pizza, troppa. Visitato Capodimonte, il Museo della ceramica, Napoli è un grande centro della porcellana e della maiolica. Sia chiaro, ho pagato io per stare tre giorni a Napoli, il festival mi ha pagato il resto. Frequento Villa Getty, dove c’è un bellissimo anfiteatro che mette in scena tragedie greche. Così, per quasi un giorno intero, siamo stati al Museo Archeologico Nazionale. Le racconto una cosa buffa. L’autista che ha lasciato me e Deborah al Museo, ci ha detto: vi aspetto qui che tanto ci vorrà un’ora. Ho pensato: un’ora?! Ma questo museo è uno scrigno di tesori, ma come “un’ora”?!
Poi il festival.
In genere non ci vado, ai festival. È come essere morto: ti mostrano i tuoi film, parlano della tua carriera, è come andare al proprio memoriale. La ragione principale per cui ci vai è per viaggiare.
E vivere un’esperienza retromaniaca….
Bizzarra. Abbiamo pensato: il festival di Maratea ci ha fatto volare qui. Così, quando siamo stati invitati, abbiamo risposto: vorremmo stare tre giorni a Napoli.
La prima impressione che hanno i non europei che vengono a Napoli è la grande quantità di vecchia roba di cui si è circondati.
È una città. Riesci a conoscere bene una città quando ci cammini. Quando sei in auto ti scorre via veloce, mentre a piedi vedi un sacco di cose.
L’inverso della mia esperienza a Los Angeles.
Quanto tempo sei stato?
Otto giorni.
Visto qualcosa in particolare?
Il Sequoia National Park.
Hai visto quella ‘fetta’ di tronco d’albero che ti mostra come l’umanità occupa solo una piccola parte della storia?
Sì. Gli scienziati calcolano che se l’età dell’universo fosse riducibile a un anno, l’esistenza dell’umanità è pari solo alle ultime due ore e un quarto.
Sono sorpreso che sia così tanto. Mia moglie sta lavorando a uno show a Londra, una grande esibizione sulla science fiction al Museo della Scienza che aprirà nel 2020. È davvero incredibile, non è qualcosa che la gente si può immaginare, è qualcosa di diverso. Non riguarda i film, che non mancano, ma idee più grandi, quelle proprie della scienza e della science fiction. Ray Bradbury disse: prima che tu possa costruire un’arma, una lancia, devi immaginare una lancia. La definizione che Deborah dà di science fiction non riguarda navicelle, missili e Star Trek, è molto di più perché ha a che fare con la religione, la mitologia. La mostra va molto indietro. Che cos’è Icaro se non science fiction? Sarà innovativa e speciale, consiglierei a tutti di andarci: 2020, Londra, mi raccomando.
Sta lavorando a un documentario?
Sì.
Lo sta girando?
Inizio tra un paio di settimane.
C’è Napoli?
Siamo stati qui per il Museo Archeologico.
Di cosa parlerà?
È difficile da spiegare. Riguarda il pregiudizio, il razzismo, la religione, i colori: perché le persone si odiano l’un l’altro, perché hanno bisogno di un nemico. Mi sono spaventato quando Trump si è candidato alla presidenza. Nessuno pensava che avesse una possibilità, era una barzelletta. Ha detto cose veramente offensive, razziste, ignoranti, stupide, fasciste. Ho pensato: cazzo, sta dicendo cose scioccanti. È come se si fosse aperto il vaso di Pandora. Ora è il presidente. Non è populismo, è fascismo e ora è ovunque, in Europa, in Italia proprio in questo momento, in Spagna. L’Ungheria, adesso, è uno Stato nazista, come la Polonia. Se penso al voto per la Brexit: what the fuck!
È come un vento.
Un vento diabolico. È interessante, specialmente per gli europei: hanno davvero una memoria così corta? Sai, non è passato molto tempo.
Due, tre generazioni.
Si sono dimenticati cos’è successo qui, per le stesse ragioni? L’esempio di Hitler funziona sempre: anche quando era chiaro che fosse uno psicopatico, i tedeschi lo supportarono, lo elessero e andarono in guerra con lui. Sono affascinato dalle persone che sono affascinate dalla svastica: non si ricordano che distrusse la Germania? Di quel Paese dopo rimasero rovine. Sono come le persone che sventolano la bandiera degli Stati Confederati. In generale, ho sempre pensato a quella bandiera come una cosa che rappresenta schiavitù, traditori e perdenti. (Ride)
Ti fa sentire aggregato, inserito in qualcosa.
Non ha senso. Cosa ti fa nostalgia, tempi migliori? Un esercizio che le persone fanno sempre: i bei tempi andati. Non sono mai stati migliori, i bei tempi andati. Quasi in tutto il mondo oggi le persone vivono di più, la vita è più facile, il crimine cala ovunque, in tutte le classi. C’è uno studio che mostra come, quando il crimine cala, aumentano le denunce.
Forse la spiegazione è materialistica: è una dinamica di classe.
Non lo so. Sono tempi strani e spaventosi e voglio fare un film a proposito. E come tutti i miei film sarà difficile per le persone e complicato trovare i soldi per farlo perché non capiranno cosa voglio fare. Spero che sia illuminante, capace di aprire gli occhi, spaventoso e divertente. Ho scritto Un lupo mannaro americano a Londra nel 1969, ma l’ho fatto nel 1981, perché le persone lo leggevano e dicevano: “Cosa?!”. E quando realizzai il film la reazione fu: “Ah, ok”.
Oggi parte da Trump.
Penso a Trump e Putin: che cosa bizzarra. Si parla del pee pee tape ma dev’essere peggio, penso si tratti di soldi. Come nell’originale The Manchurian Candidate, dove la premessa è: il pericolo reale non è il comunismo ma la destra che lavora per il comunismo, proprio quello che sta succedendo.
Non è una questione di destra o sinistra, è che il fascismo non è una semplice opposizione al comunismo ma una forma di totalitarismo.
La situazione è grave. Trump è un maiale, e non lo è soltanto lui ma anche le persone che lo circondano, come il vicepresidente. Sono persone pazze e religiose. Pence (Mike, vicepresidente degli Stati Uniti, ndr) ha detto che non rimarrebbe da solo con una donna che non sia sua moglie. La cosa è psicotica. Sono persone pazze, bianche e, facci caso, brutte.
Le sembra connesso alla situazione economica?
Certo, ma la linea di fondo è che tutto ciò che Trump sta facendo è fottere l’economia. Non c’è logica, non c’è razionalità.
Improvvisazione.
Peggio. È improvvisazione maliziosa. Trump è distruttivo, è un buffone. Sarebbe divertente se non fosse così terrorizzante perché è così grottesco. È il nostro Berlusconi.
La versione americana.
Parecchio. Gli evangelici lo supportano e pensi: supportate uno che afferra per la figa, che paga pornostar, cosa?! Sono tempi folli. L’unico film che ha a che fare con questa situazione è La guerra lampo dei Fratelli Marx (1933). La questione è internazionale.
Transnazionale. Non si tratta di territorialismo, non è una risposta nazionale ma globale, una risposta alla globalizzazione.
Del tutto sbagliata. È retrograda e pericolosa. Tutto ciò che si dice è una bugia: il crimine in america cala e dicono che sta tornando, che i fenomeni migratori si intensificano: ehm, no.
La migrazione è un tema attuale per noi.
I rifugiati siriani sono classe media. Contabili, medici, dentisti, non terroristi, e sono perseguitati come ebrei, vengono trattati come gli ebrei nella Seconda Guerra Mondiale.
Ed è la classe media a chiedersi: perché l’economia è così sbagliata?
È una situazione pericolosa, stupida e spaventosa. Dai tempi della guerra civile, questo è il momento più pericoloso per il mio Paese e potremmo solo stare a vedere come tiene la nostra costituzione, come regge il bilanciamento dei poteri, ma i repubblicani imbrogliano. Un partito tradizionalmente di destra, molto conservatore, ma che non è mai stato psicotico.
Non penso sia un partito impazzito. C’è un leader.
Semplicemente non alzano un dito. Possono fermarlo quando vogliono ma non lo fanno, hanno paura.
Perché il partito è davvero forte adesso.
Non così tanto. Sa cos’è spaventoso? Si ricorda le elezioni, quando Clinton ha avuto 3 milioni di voti in più? Abbiamo un sistema elettorale veramente bizzarro. Dopo la Guerra d’indipendenza americana, i Padri fondatori hanno dovuto scendere a compromessi terribili con le Tredici colonie affinché restassero unite, compromessi che ancora paghiamo, come la schiavitù. Ci sono un sacco di cose di cui ancora soffriamo e una di questa è il modo in cui è stata impostata la democrazia: tutti e cinquanta gli Stati hanno due senatori ciascuno. Rhode Island ha un milione di persone, il Wyoming e il Montana sono davvero poco abitati, la California ne ha, che ne so, 75, 100 milioni, ed è la quarta economia al mondo, e abbiamo due senatori, lo stesso potere di qualunque altro Stato.
La rappresentatività è arbitraria, caotica.
È terribile. In Israele c’è un governo autoritario, gli ultraortodossi, persone folli, hanno troppo potere. La maggioranza non è così pazza ma il governo sì, ecco cosa succede. Un’altra cosa interessante è che non c’è una persona all’opposizione che abbia consenso. In Israele la sinistra non ha un referente, ma in realtà è ovunque così. Negli Usa, chi sarà il prossimo democratico? La cosa spaventosa è che il presidente continua a dire bugie, contraddice sé stesso ogni volta che parla, è letteralmente pazzo. La guerra lampo dei Fratelli Marx, uno dei miei film preferiti, racconta tutto questo.
Può aiutarci a capire il momento attuale.
Più che capire, commenta quello che sta succedendo.
Dove sarà trasmesso il suo documentario?
In televisione. Sei anni fa ne ho fatto uno per HBO che non credo sia stato distribuito in Italia, Mr Warmth, parla del comico americano Don Rickles, personaggio unico. Ho vinto un Emmy (ride). È stato un grande successo, non penso sia stato mostrato da altre parti perché è un prodotto americano. Sarebbe come fare un documentario su Totò, che tra l’altro fa una delle mie scene preferite nella storia del cinema.
Quale? Una volta disse che avrebbe desiderato avere Totò in Ridere per ridere (1977) ma purtroppo era morto.
«Da noi si chiama Big deal on Madonna Street (I soliti ignoti, 1958). È una delle più grandi commedie di sempre, una delle mie preferite. C’è una scena in cui sono pronti, devono fare una rapina, di notte. Si radunano per strada, vestiti di scuro, e Totò – il film era in bianco e nero – si presenta con una giacca giallo canarino. Lo guardano sorpresi e lui risponde: “Sportivo!”. È bello vedere un sacco di Totò in giro.
[suonano le campane dal suo telefonino]
Oh-oh. Devo andare. Fammi l’ultima domanda.
Come sta Rick Baker?
È in pensione e lavora ai progetti che gli piacciono, senza commesse che lo stressino. Ha realizzato un tributo a Frankenstein in stop-motion. Dove verrà pubblicata l’intervista.
Non lo so. Sono un giornalista specializzato in shipping.
E il capitano aprì il magazine e disse: “What the fuck!”
Intervista a cura di Paolo Bosso
Per la traduzione si ringrazia Andrea Della Monica, regista. Ringrazio Andrea Borgia, SFX make-up artist, per avermi raccontato un sacco di cose su Landis e prestato il libretto John Landis, a cura di Fabrizio Borin, Circuitocinema, n. 46, Venezia 1993.